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Famiglia e processo – La mia prima udienza telematica

In tempo di emergenza sanitaria da Coronavirus, è con provvedimento ad hoc – depositato nel fascicolo telematico e comunicato via PEC ai difensori costituiti – che il Tribunale Civile di Bologna, sette giorni prima della data d’udienza, ne ha confermato la celebrazione, con contestuale “avviso” che la stessa sarebbe avvenuta “da remoto mediante l’applicazione Microsoft TEAMS”.

Il Tribunale, nella specie, era chiamato a regolare le modalità di affidamento, frequentazione e mantenimento di un minore infradodicenne nato da genitori non uniti in matrimonio, i quali sarebbero dovuti comparire avanti il Giudice Relatore, all’apice di una crisi familiare ormai contrassegnata da elevatissima conflittualità. Prima ancora che ratione materiae, pertanto, le ragioni di indifferibilità dell’udienza rinvenivano dai motivi di particolare urgenza di cui all’art. 83, comma 3 del D.L. n. 18/2020 (cd. “Cura Italia”, convertito con Legge n. 27/2020), ove vengono individuate, tra le cause sottratte al “rinvio d’ufficio” previsto in generale dal primo comma della stessa disposizione, non solo quelle “relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia”, ma anche “tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti” (ancorché previa adozione, in tale ultima ipotesi e con specifico riferimento alle “cause già iniziate”, di un apposito “provvedimento del giudice istruttore”, del tipo di quello emesso nel caso di specie).

Del pari, anche la scelta di ricorrere all’utilizzo “dell’applicazione Microsoft TEAMS” è stata espressamente motivata dal Giudice, mediante l’espresso richiamo di quanto previsto al settimo comma del predetto art. 83 – che consente ai “capi degli uffici giudiziari” di celebrare le udienze “mediante collegamenti da remoto”, purché le stesse “non richiedano la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti” (lett. f) – nonché, per quanto riguarda il circondario bolognese, dalle “Linee Guida per la trattazione dei processi e delle udienze civili nel periodo dal 9 marzo al 15 aprile 2020”, che il Presidente del Tribunale di Bologna ha diramato con decreto n. 28 del 23.03.2020. Dette ultime disposizioni, la cui efficacia è stata poi prorogata sino all’11.05.2020 (cfr. prot. int. n. 119 del 10.04.2020), fissano come “regola” la “tendenziale massima espansione delle udienze in video conferenza” e sempre “con l’impiego della piattaforma Microsoft Teams”, quale misura organizzativa a cui ricorrere per la “trattazione di tutte le cause indifferibili che non richiedono la presenza di terzi ma la presenza delle sole parti e dei loro difensori”.

Con lo stesso provvedimento di “convocazione”, inoltre, il Giudice precisava l’iter da seguire per la corretta partecipazione all’udienza telematica, onerando i difensori di specifici adempimenti, tra cui quello di fornire alla parte assistita una “adeguata informazione” circa le prescritte modalità con cui prendere parte all’udienza. In particolare, ai difensori delle parti veniva anzitutto richiesto di depositare nel fascicolo telematico, entro il termine fissato dal Giudice – nella specie, tre giorni –, un “atto generico” recante:

  1. l’indicazione degli estremi della causa (Autorità, numero di R.G., nomi dei difensori e delle parti);
  2. l’indirizzo di posta elettronica ordinaria, e non PEC, a cui il difensore avrebbe voluto ricevere il link di invito alla videoconferenza, ovvero il nominativo del sostituto d’udienza e il recapito di e-mail ordinaria di quest’ultimo;
  3. espressa comunicazione circa la partecipazione dell’assistito dallo studio del proprio difensore, oppure da una “adeguata postazione informatica personale”, con indicazione – in tale ultimo caso – dell’indirizzo di posta elettronica ordinaria della parte stessa;
  4. il recapito telefonico del difensore o del suo sostituto d’udienza – “preferibilmente cellulare” –, a cui questi “dovrà essere reperibile per eventuali contatti in caso di difficoltà della connessione o gestione dell’udienza”.

Esaurito l’incombente, i difensori – ma lo stesso sarebbe valso per le parti che, eventualmente, avessero fatto richiesta di partecipare all’udienza in videoconferenza da una adeguata postazione informatica personale – ricevevano, agli indirizzi specificati nei rispettivi scritti difensivi, una e-mail dal Giudice contenente l’indicazione del giorno e dell’ora per la connessione da remoto, nonché il link personale “per l’accesso alla stanza virtuale di udienza del Giudice”. A tale e-mail di “invito alla videoconferenza” occorreva dare – “senza ritardo” – una precisa conferma di ricezione, sia premendo il tasto “Accetta” contenuto nella medesima e-mail di invito, sia depositando nel fascicolo telematico un’apposita “nota di conferma di ricezione”.

Ed eccomi giunta al giorno della mia prima udienza in videoconferenza, per partecipare alla quale è stato sufficiente accedere alla mia casella e-mail personale dal browser Google Chrome – come raccomandato dal Giudice nel provvedimento di convocazione – e quindi cliccare sul predetto link di accesso alla stanza virtuale di udienza; ha fatto seguito l’apertura automatica del software Microsoft TEAMS e, nella schermata successiva, ho scelto l’opzione “partecipa dal web”, così evitando di effettuare qualsiasi registrazione e/o download.

A quel punto, ho provveduto a digitare nell’apposito campo il mio nominativo, nonché a cliccare sull’opzione “partecipa ora”, avendo altresì cura di abilitare la funzione audio e la funzione video.

Dopo qualche minuto di attesa, si sono collegati in videoconferenza anche il Giudice e la controparte; l’udienza ha quindi potuto avere inizio.

Preliminarmente è stato dato atto a verbale che l’udienza era “celebrata da remoto in videoconferenza con utilizzo della piattaforma Microsoft TEAMS, fornita dal Ministero della Giustizia agli operatori della rete giustizia ed accessibile anche da utenti esterni all’Amministrazione, ai sensi del DL n. 18/2020 e delle Linee Guida diramate dal Presidente del Tribunale con il decreto n. 28 del 23.3.2020 in base all’art. 83, commi 5 e 7, DL cit.”, nonché che la “convocazione” d’udienza era stata effettuata mediante e-mail inviata dal Giudice “agli indirizzi specificati dalle parti nei rispettivi scritti difensivi, contenente l’indicazione del giorno e dell’ora per la connessione da remoto e il link personale per l’accesso alla “stanza virtuale di udienza” del Giudice”, a cui avevano “dato conferma tutte le parti, a mezzo mail e con relativa nota depositata in pct”.

Il Giudice ha proceduto poi alla identificazione dei presenti – entrambi i difensori erano collegati dal proprio studio, insieme ai rispettivi assistiti – e invitato gli stessi a mantenere sempre accese le funzioni audio e video… e l’udienza si è quindi regolarmente svolta.

Ebbene, non nascondo che ho accolto la notizia di dover affrontare l’udienza in via telematica con preoccupazione – anche in relazione agli aspetti tecnici delle stesse – e con scetticismo.

Sono, infatti, un avvocato di “vecchio stampo”, ben poco “tecnologico”, che crede fortemente nel dialogo diretto tra le persone, nella necessità di guardarsi negli occhi, e, per quanto riguarda il processo, nell’opportunità che dovrebbe essere data alle parti di sentirsi ascoltate dal Giudice. Sono, inoltre, un avvocato che si occupa di diritto di famiglia – e soprattutto della famiglia in crisi – e in questo ambito la richiesta di essere ascoltato da parte di chi invoca tutela è tanto più avvertita: anche perché, se si giunge davanti al Giudice in sede contenziosa, qualcosa non ha funzionato nel dialogo tra i protagonisti della vicenda – ivi compresi i professionisti che assistono le parti – evidentemente compromesso ovvero reso infruttuoso dalla gravità della situazione, o più semplicemente a causa dell’indisponibilità – o incapacità – al confronto. E se il dialogo non c’è stato o è fallito, tanto più le parti – le persone – si aspettano di essere ascoltate dal Giudice.

Il mio approccio preoccupato e scettico è stato poi superato dalla considerazione – e dal sollievo che ne è scaturito – che una situazione con reali profili di urgenza, soprattutto in quanto involgente un minore, sarebbe stata tempestivamente valutata dal Giudice ed avrebbe quindi ricevuto immediata tutela. E mi sono poi compiaciuta nel constatare che l’udienza – a parte qualche piccolo problema tecnico, presto risolto – si è svolta nel rispetto delle regole del processo ed in particolare del contraddittorio.

Certo, il ruolo ed i compiti dei protagonisti del processo – tra cui in particolare gli avvocati – nell’ambito dell’udienza telematica diventano ancora più stringenti e le responsabilità si ampliano.

Gli attori del processo a distanza, infatti, venendo meno la presenza personale nelle aule di giustizia, sono anzitutto chiamati a scegliere adeguatamente i luoghi da cui effettuare il collegamento da remoto nonché ad adottare misure organizzative di protezione dei dati personali riguardanti la controversia, che, durante la videoconferenza, potrebbero entrare – anche accidentalmente – nella diponibilità di soggetti non legittimati; tale esigenza di garantire una rigorosa tutela del diritto alla riservatezza diviene tanto più urgente nelle controversie – quali quelle di famiglia – in cui la trattazione involge informazioni sensibili (concernenti la salute, le origini, la religione, la sfera sessuale, ecc.) e riguardanti anche soggetti deboli, quali in particolare i minori, che per lo più neppure sono considerati parti processuali. In continuità con il principio di responsabilizzazione (accountability) introdotto dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR), occorre quindi che ciascun soggetto processuale, anche nella trattazione delle udienze da remoto, garantisca l’inviolabilità del luogo da cui viene effettuato il collegamento telematico e – parimenti – l’assenza di qualsivoglia condizionamento esterno, a tutela sia del diritto alla riservatezza che del corretto funzionamento della giustizia. A conferma di quanto sopra, basti evidenziare che è lo stesso legislatore d’urgenza ad aver stabilito l’obbligo del Giudice di dare atto, nel verbale d’udienza, delle modalità “con cui si accerta dell’identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà”. Del pari, il recentissimo D.L. 30 aprile 2020, n. 28, recante “Misure urgenti in materia di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, di ordinamento penitenziario e disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile”, non solo ha aggiunto le “cause relative alla tutela dei minori” tra quelle indifferibili, ma ha altresì modificato il citato art. 83, comma 7, lett. f) del D.L. “Cura Italia” sancendo espressamente che ogni udienza da remoto debba svolgersi “con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario”, così di fatto scongiurando, quantomeno dal lato del giudicante, il rischio di un atipico “data breach” di matrice ambientale.

Quanto all’attività d’udienza, elementi necessari per il suo corretto svolgimento si sono rivelati, oltre alla capacità di conduzione del magistrato, la collaborazione delle parti e dei difensori; nella specie, il Giudice riferiva di poter disciplinare il contraddittorio attraverso le varie funzioni audio e video dei partecipanti, ovvero di consentire loro di ricercare un accordo senza la sua presenza. Evenienza, quest’ultima, poi verificatasi, allorché il Giudice si è allontanato temporaneamente dalla propria “aula virtuale” – di fatto abbandonando la videoconferenza – dando così modo ai difensori delle parti di giungere a una soluzione parzialmente condivisa e persino di formalizzarla, attraverso l’utilizzo dei molteplici strumenti di interazione e condivisione offerti della piattaforma digitale.

Una esperienza, dunque, quella della mia prima udienza telematica, positiva.

A margine della stessa, vorrei però esprimere una perplessità ed una personale opinione.

Quanto alla perplessità, mi pare che la possibilità pur offerta di collegamento della parte da remoto sia, nell’ambito del diritto di famiglia, scarsamente utilizzabile ed in ogni caso insoddisfacente per il cliente. Innanzitutto, già da un punto di vista logistico, il fatto che in molti casi le parti siano ancora conviventi, e con essi i figli, pregiudica la possibilità di collegamenti che garantiscano la necessaria riservatezza, soprattutto a tutela della posizione dei minori. Quanto a questi ultimi, è superfluo precisare che al loro ascolto – del tutto opportunamente, al di là dei limiti rinvenienti dalla legge – non potrà darsi corso nell’ambito di un’udienza telematica, come è stato peraltro già esplicitato anche nell’ambito dei numerosi protocolli che stanno fiorendo presso i Tribunali. Inoltre, ho potuto constatare che gli assistiti, in tutti i casi in cui ho prospettato la possibilità di udienza da remoto anche da una loro postazione, hanno espresso il forte timore di non sentirsi adeguatamente tutelati senza la presenza, a fianco, del loro difensore: del resto, la fiducia si coltiva anche con la prossimità fisica.

Quanto alla personale opinione, sebbene ritenga che il ricorso ordinario alle udienze civili da remoto anche in epoca post-pandemica potrebbe favorire una giustizia più rapida e – forse – più efficiente, credo però che, per quanto concerne il diritto di famiglia, quantomeno contenzioso, gli interessi coinvolti e la specificità e delicatezza della materia chiamino il ritorno, come regola, alla presenza personale in udienza di tutti i protagonisti del processo, derogabile solo in casi straordinari di necessità ed urgenza.

Come diceva Piero Calamandrei, “il rispetto della giustizia sta in una sempre maggiore umanità e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro il dolore”; di dolore, nelle controversie familiari, ce n’è tanto e non si può rischiare che la vicinanza umana necessaria per arginarlo trovi un ostacolo nello schermo di un computer.

Barbara Ruggini

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Barbara Ruggini