Aggiornamenti in pillole

La nuova disciplina delle intercettazioni: il fine giustifica i mezzi?

La novella normativa in materia di intercettazioni è entrata in vigore il 1° settembre 2020. La riforma avviata dal Ministro Orlando nel 2018 è stata ampiamente rivista dall’attuale Guardasigilli.

Molti i commenti critici sul versante dell’avvocatura penale, a partire da quello espresso dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane, che ne denuncia “l’aperto ed insanabile conflitto con i principi costituzionali posti a tutela sia dei valori fondamentali della persona che del diritto di difesa nel processo penale”.

Al di là delle problematiche di carattere squisitamente processual-penalistico, cui sono dedicate le nostre “Note a commento”, crediamo valga la pena esaminare, sia pure in estrema sintesi, le principali novità introdotte dalla cd. Riforma Bonafede e le ragioni di grave preoccupazione che alla stessa si accompagnano.

Il tema non è, infatti, di esclusivo interesse degli avvocati penalisti, posto che la riservatezza delle conversazioni private è uno dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Carta Costituzionale e riguarda pertanto tutti i cittadini, siano essi sottoposti ad indagini ovvero semplici interlocutori di chi versi in tale condizione. La progressiva erosione di tale diritto non può, dunque, lasciare nessuno indifferente.

Senza pretesa di esaustività, esaminiamo gli aspetti di maggiore criticità

Sul piano della tutela della riservatezza, la “Riforma Bonafede” tradisce lo spirito che aveva animato la “Riforma Orlando”, il cui principale obiettivo era quello di porre un freno alla incontrollata pubblicazione di contenuti privi di rilievo a fini investigativi, ma di grande interesse per il loro impatto mediatico.

A tale fine era stato pertanto introdotto il divieto di trascrivere, anche sommariamente, comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini ovvero concernenti dati personali sensibili. Divieto che operava già in fase di captazione.

Le modifiche introdotte dal D.L. 30.12.2019, n. 161 hanno di fatto abolito tale divieto, affidando al Pubblico Ministero il compito di dare alla Polizia Giudiziaria indicazioni e di vigilare affinché nei verbali non siano riportate “espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali sensibili, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini”.

L’arretramento del livello di tutela è evidente.

L’assenza di un espresso divieto, la mancanza di una sanzione processuale e l’ampiezza del criterio selettivo potrebbero rendere la previsione dell’art. 268, comma 2-bis, c.p.p. scarsamente idonea ad evitare l’ingresso nei brogliacci di ascolto di comunicazioni che, in seguito, si possono rivelare di nessuna utilità probatoria ma che, al contempo, possono determinare una rilevante lesione della riservatezza”, così testualmente l’Ufficio del Massimario della Suprema Corte, che alla novella normativa ha dedicato un attento approfondimento.

Sul piano generale, poi, la Riforma Bonafede amplia ulteriormente le ipotesi di reato per le quali è consentita l’attività di intercettazione ed anche le ipotesi di reato per le quali è possibile intercettare le comunicazioni tra presenti, a mezzo di “trojan”, nei luoghi di privata dimora o nelle loro appartenenze. Tale orientamento normativo risulta in deciso contrasto con l’art. 15 della Costituzione ed anche con quanto affermato dalla Corte Costituzionale, secondo la quale “i limiti apponibili a un diritto personale di carattere inviolabile, quale la libertà e la segretezza delle comunicazioni”, hanno natura “indubbiamente eccezionale”.

Ma v’è di più. La violazione dell’art. 15 Cost. risulta, infatti, ancora più evidente nella riconosciuta possibilità di utilizzare i risultati delle intercettazioni (sia quelle tradizionali sia quelle realizzate mediante “trojan”) disposte nell’ambito di un determinato procedimento in “procedimenti diversi”, qualora risultino “rilevanti e indispensabili” (così testualmente) per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza (innumerevoli le fattispecie) e dei reati per i quali le intercettazioni sono consentite. Ciò, ancora una volta, in evidente contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale, secondo la quale l’utilizzo in procedimenti diversi è consentito solo “eccezionalmente e per reati di particolare allarme sociale”.

Rilevanti anche le compromissioni dell’attività difensiva, pure parzialmente mitigate in sede di conversione del D.L. n. 161/2019:

  • fatto salvo il caso di “grave pregiudizio delle indagini”, subito dopo il deposito nell’archivio digitale (istituto di nuovo conio) dei verbali, delle intercettazioni e dei relativi decreti autorizzativi, di convalida e di proroga, il Pubblico Ministero deve dare avviso ai difensori delle parti (escluso quindi il difensore della persona offesa) della facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni. I difensori non possono tuttavia, in questa fase, estrarne copia. A ciò deve peraltro aggiungersi che, secondo l’attuale previsione normativa, le (sia pur limitate) facoltà riconosciute ai difensori devono essere esercitate entro il termine di tempo (insindacabilmente) stabilito dallo stesso Pubblico Ministero. Una previsione evidentemente inaccettabile oltre che incomprensibile;
  • qualora i verbali, le intercettazioni e i relativi decreti vengano depositati alla conclusione delle indagini, i difensori delle parti avranno la possibilità di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi, limitatamente però a quelli indicati come rilevanti dal Pubblico Ministero. Vale peraltro la pena evidenziare che tale (limitata) facoltà non era prevista dal D.L. n. 161/2019 ed è stata riconosciuta solo in sede di conversione dello stesso, grazie anche alle vibrate proteste dell’Unione delle Camere Penali Italiane. Si evidenzia, tuttavia, che il termine entro il quale ascoltare le registrazioni e individuare le eventuali ulteriori registrazioni ritenute rilevanti, al fine di ottenerne copia, è quello ordinario, pari a 20 giorni dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ciò a prescindere dall’entità del compendio e senza possibilità di ottenere una proroga.

La disparità tra accusa e difesa risulta di palmare evidenza.

Anche la segretezza delle conversazioni tra difensore e assistito non trova adeguata tutela. Contro gli auspici espressi dai penalisti, infatti, tali conversazioni, pur non utilizzabili a fini probatori, possono comunque essere captate ed entrano nella disponibilità del Pubblico Ministero, che può pertanto averne cognizione. La novella continua in tal modo a consentire una inaccettabile intrusione in un ambito che dovrebbe essere inviolabile.

Potremmo proseguire, ma ci pare sufficiente per concludere che il fine sembra, purtroppo, giustificare i mezzi, con buona pace del dettato costituzionale e di diritti inviolabili. Guardiamo però con fiducia al Giudice delle leggi, la battaglia non finisce qui.

Avv. Francesco Antonio Maisano
Dott.ssa Claudia Maria Piazza


Note a commento sulla nuova disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (pdf)

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