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La lunga marcia dell’equo compenso: una definizione alla ricerca di un contenuto, dal TAR Lombardia alla riforma

  1. Purtroppo, la materia dell’equo compenso sconta una criticità genetica dalla quale ancora non si è affrancata.
    Per quanto l’espressione “equo compenso” sia bella e vincente – e chi mai potrà schierarsi contro un compenso equo, sarebbe come essere contro la pace o i diritti civili – il contenuto della disciplina che lo introduce è invece meno felice e finisce per impedirne la effettiva operatività.
    Esistono infatti affermazioni di principio, alte ed interessanti, che tuttavia faticano a divenire qualcosa di concreto.
  1. È consolante leggere nell’art. 13-bis L. 247/2012[1] che il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, perché quelle parole ci richiamano l’art. 36 Cost.: ma di quella norma – che da’ un senso al richiamo al lavoro compiuto all’art. 1 Cost. – non v’è la medesima forza e tutela.
    È interessante vedere che il compenso deve essere determinato in modo conforme ai parametri, ma non sfugge all’occhio del pratico che non vi sono disposizioni che prevedano la nullità di pattuizioni difformi.
    Ancor di più sembra addirittura assai positivo che la pubblica amministrazione sia tenuta a garantire il principio dell’equo compenso[2], ma, come vedremo tra poco, il rispetto del principio è ben più agevole e fluido del rispetto delle norme.
  1. A fronte, insomma, di un bel nome, di una definizione azzeccata, abbiamo un sistema di regole che porta la sua attenzione su varie clausole vessatorie ma non sui criteri di determinazione del compenso, quasicchè l’attuazione del principio disconoscesse la denominazione del principio stesso.
  1. In questo quadro, normativamente lasso, non deve dunque stupire l’arresto del TAR Lombardia, Milano, che con sentenza 1071/2021[3] ha respinto un ricorso avverso l’aggiudicazione, da parte di un Comune, di un incarico di difesa che sarebbe stato assegnato ad un concorrente che aveva presentato – a dire del ricorrente – un preventivo inferiore ai minimi.
    Le cronache giornalistiche hanno ampliamente titolato sul punto, dimostrando di non avere tanto interesse al contenuto della notizia, quanto ad una titolazione liberamente tratta dalla notizia ed acchiappa click.
    Si è parlato di sdoganamento di lavoro a compensi irrisori, di aggiramento dell’equo compenso e così via.
    Il TAR, in realtà, ha detto cose completamente diverse, che era sarebbe stato meglio leggere invece che commentare senza aver compreso.
  1. Nel caso in esame l’Amministrazione, trasmettendo correttamente gli atti del procedimento e non fissando parametri rigidi di ammissione, aveva richiesto a vari professionisti di presentare preventivi per una difesa.
    Alcuni dei destinatari hanno risposto e l‘Amministrazione ha scelto la proposta più conveniente.
    L’aggiudicatario ha preventivato il valore minimo dello scaglione indeterminabile più basso, mentre altri concorrenti hanno indicato uno scaglione più alto.
    In questa situazione il TAR ha ritenuto che la P.A. non avesse leso la libertà di  determinazione del compenso da parte del professionista, ma si fosse riservata unicamente di scegliere il preventivo più conveniente tra quelli liberamente presentati dai concorrenti.
  1. In questi termini il principio dell’equo compenso, allora, sarebbe salvo: non è stato il committente a danneggiare il ceto professionale imponendo condizioni vessatorie, mentre ogni professionista ha liberamente indicato il compenso richiesto: tutto con chiarezza e trasparenza.
    Come in quegli interventi dei quali si magnifica che siano perfettamente riusciti, pur in presenza di effetti sgradevoli sull’ormai defunto paziente.
    La sentenza del TAR ha dunque messo in luce la debolezza ed inefficienza dell’assetto normativo attuale, che non prevede certamente l’inderogabilità dei minimi.
  1. In effetti, in una stagione in cui l’Europa ci chiedeva tante cose, o almeno così veniva detto, sembrò che ci venisse chiesto anche l’abbandono dei minimi tariffari.
    Ma così non era, tanto che più volte “la Corte di giustizia ha ritenuto la disciplina nazionale in tema di minimi e massimi tariffari conforme al sistema comunitario (Corte di giustizia 19.2.2002, n. 35, Arduino, C-35/99)” (così Cass. SS.UU., 8.7.2021, n.19427[4]).
    La domanda corretta allora sarebbe stata quella di chiedersi, a chi giovasse la norma.
    Probabilmente la lettura dell’art. 13-bis, comma 1, L. 247/2012[5] contiene già un buon inizio di risposta, riferendosi ai committenti forti.
  1. Non si crede di sbagliare nel dire che nella decisione richiamata il TAR Lombardia non ha aggirato la legge, ma ne ha messo in luce le gravissime carenze che non consentono di trovare congruenza tra l’obiettivo dichiarato – l’equo compenso, appunto – e le misure per attuarlo.
    Il TAR ha reso palese come non vi fosse congruenza tra la bella definizione ed il modesto contenuto normativo.
    È stata quindi molto importante la pronuncia in parola, come emerso anche dall’interessante incontro del 21.5.2021 promosso dal Nucleo Equo Compenso, titolato, per l’appunto, “cosa dice davvero il TAR Lombardia?[6]”.
    A fronte di un problema serio, a poco servono lamenti e grida ed occorre un approccio professionale e attivo.
    La risposta a un problema non è il titolone, ma è una soluzione!
  1. In questo senso – e va rimarcato con un minimo di sorpresa – numerosi Avvocati operanti al Parlamento hanno presentato disegni di legge per migliorare la legge sul compenso dei professionisti e rendere concreta la tutela dell’equo compenso.
    Grazie agli sforzi di molti, in questi giorni tutti i ddl sono stati unificati in un unico testo AC 3179[7], che ha iniziato il suo iter parlamentare con parere favorevole di tutti i gruppi parlamentari.
    Il nuovo testo all’esame della camera[8] prevede minimi inderogabili (art.3[9]), tutela collettiva attraverso class action (art. 7[10]), la necessità di disciplinare le conseguenze deontologiche di offerte inferiori ai minimi e l’efficacia di titolo esecutivo del parere di congruità del Consiglio dell’Ordine (art.5[11]).
    Il ddl è stato anche oggetto di altro incontro formativo organizzato dal Nucleo Equo Compenso[12], nel corso del quale si è messo anche in luce come la disciplina da ultimo adottata dal Consiglio dell’Ordine consentirebbe di essere pronti qualora venisse riconosciuta efficacia esecutiva al parere di congruità.
  1. Se allora il ddl venisse approvato dal Parlamento, la disciplina che ne conseguirebbe sarebbe radicalmente nuova e infinitamente più tutelante per i professionisti.
    E soprattutto la normativa risultante conferirebbe finalmente un contenuto buono ed adeguato ad una definizione sinora solo apparentemente felice, ma troppo spesso illusoria.
    In questo quadro, allora, non solo il TAR Lombardia non ha danneggiato gli avvocati, ma ha evidenziato le carenze della legge, dando la spinta per l’abbandono dei particolarismi parlamentari, addirittura attraverso un intervento bipartisan che tardivamente rimedia ad un grave danno che fu a suo tempo creato assecondando le grandi committenze e non certo l’Europa e men che meno i professionisti!

Giovanni Delucca


[1] Comma 2: “Ai fini del presente articolo, si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni di cui al comma 1 quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6”.

[2] D.L. 16 ottobre 2017, n. 148 Art. 19-quaterdecies, comma 3: “La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

[3] https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=tar_mi&nrg=202100361&nomeFile=202101071_20.html&subDir=Provvedimenti

[4] https://www.miolegale.it/sentenze/cassazione-civile-sezioni-unite-19427-2021/

[5]Il compenso degli avvocati iscritti all’albo, nei rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività di cui all’articolo 2, commi 5 e 6, primo periodo, in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003, è disciplinato dalle disposizioni del presente articolo, con riferimento ai casi in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese.”

[6] https://www.fondazioneforensebolognese.it/corsi/2087/webinar-equo-compenso-cosa-dice-davvero-il-tar-lombardia.html

[7] http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.3179.18PDL0148770.pdf

[8] https://www.camera.it/leg18/126?tab=&leg=18&idDocumento=3179-A&sede=&tipo=

[9] «Sono comunque nulle ai sensi del secondo comma le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri o dalle tariffe per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto ministeriale ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, per la professione forense”.

[10]I diritti individuali omogenei dei professionisti possono essere tutelati anche attraverso l’azione di classe, ai sensi dell’articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 12 aprile 2019, n. 31, ai sensi del titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile. Ai fini di cui al primo periodo, ferma restando la legittimazione di ciascun professionista, l’azione di classe può essere proposta dal Consiglio nazionale dell’ordine al quale sono iscritti i professionisti interessati o dalle associazioni maggiormente rappresentative, individuate dai rispettivi ordini”.

[11]In alternativa alle procedure di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile e di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, il parere di congruità emesso dall’ordine o dal collegio professionale sul compenso o sugli onorari richiesti dal professionista costituisce titolo esecutivo, anche per tutte le spese sostenute e documentate, se rila- sciato nel rispetto della procedura di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e se il debitore non propone opposizione innanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’articolo 702-bis del codice di procedura civile, entro quaranta giorni dalla notificazione del pa- rere stesso a cura del professionista.
Il giudizio di opposizione si svolge davanti al giudice competente per materia e per valore del luogo nel cui circondario ha sede l’ordine o il collegio professionale che ha emesso il parere di cui al comma 1”.

[12] https://www.fondazioneforensebolognese.it/corsi/2116/webinar-il-nuovo-regolamento-per-i-pareri-di-congruita-trasparenza-e-tutela-del-lavoro.html

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Giovanni Delucca