Attività del Consiglio Pareri deontologici e ordinamentali

Parere in materia deontologica sul dovere di restituzione dei documenti al cliente e diritto alla privacy

È stato chiesto parere deontologico riguardo al dovere dell’avvocato di restituzione del fascicolo relativo ad atti delle indagini preliminari nell’ambito di un procedimento penale definito con archiviazione per remissione di querela a seguito di accordo transattivo tra persone offese ed indagati.

La questione può essere così riassunta.

L’Avvocato richiedente espone che una delle parti offese-querelanti del reato per cui si procedeva (che qui per comodità denomineremo Alfa), da lui assistita nell’ambito del suddetto procedimento, ha formulato, tramite altro legale, richiesta di avere copia del fascicolo delle indagini preliminari, adducendo la necessità di dovere agire giudizialmente per far valere un determinato punto dell’accordo transattivo tra la stessa ed uno degli indagati.

L’Avvocato evidenzia tuttavia che all’interno di tale fascicolo vi sono atti e documenti che contengono dati estremamente sensibili che non riguardano in alcun modo Alfa. Fa riferimento, in particolare, alla consulenza tecnica informatica del pubblico ministero avente ad oggetto l’analisi informatica degli smartphone degli indagati, all’interno dei quali si trovavano archiviate numerose immagini sessualmente esplicite di altra persona offesa-querelante assistita dal medesimo richiedente (che qui per comodità denomineremo Beta), come anche di altre persone rimaste del tutto estranee al procedimento penale, oltre che degli stessi indagati.

Come detto, di contro, nessuna immagine di Alfa è contenuta nella consulenza.

La sensibilità di tali dati, ed il pericolo di una loro diffusione, ha indotto il Pubblico Ministero a disporre la distruzione degli smartphone oggetto della consulenza.

L’Avvocato, dunque, avendo ricevuto richiesta formale del collega che assiste Alfa di consegnargli gli atti in suo possesso, pur evidenziando che certamente ha intenzione di adempiere ai propri doveri deontologici, chiede al Consiglio dell’Ordine: “di esprimersi sull’ostensibilità anche della consulenza tecnica (che, come detto non riguarda X, non è essenziale per richiedere l’adempimento contrattuale e contiene, invece, immagini sessualmente esplicite di numerosi altri soggetti, in primis Y, che ho assistito nel medesimo procedimento penale) al fine di poter orientare il mio comportamento a tutela di tutte le parti coinvolte nella vicenda.

  1. Il quesito attiene al dovere di restituzione di documenti alla parte assistita.
  2. Il codice deontologico forense (“c.d.f.”) prevede all’art. 33 che:
    1. L’avvocato, se richiesto, deve restituire senza ritardo gli atti ed i documenti ricevuti dal cliente e dalla parte assistita per l’espletamento dell’incarico e consegnare loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, fermo restando il disposto di cui all’art. 48, terzo comma, del presente codice.
    2. L’avvocato non deve subordinare la restituzione della documentazione al pagamento del proprio compenso.
    3. L’avvocato può estrarre e conservare copia di tale documentazione, anche senza il consenso del cliente e della parte assistita.
    4. La violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione del divieto di cui al comma 2 comporta l’applicazione della censura.”
  3. La questione sottoposta al parere del COA involge però anche un altro fondamentale dovere dell’avvocato, quello di mantenere il segreto e la riservatezza circa le informazioni avute nello svolgimento del mandato.
    1. Sono diverse le norme che codificano e regolano tale fondamentale dovere, a partire dall’art. 13 c.d.f:

      Art. 13 – Dovere di segretezza e riservatezza
      L’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionali.

      Tale norma va letta in combinato disposto con l’articolo 28 del Codice, il quale estende l’obbligo sopra detto sia sotto un profilo oggettivo, all’ipotesi in cui il mandato conferito sia terminato o sia stato medio tempore revocato ovvero rinunciato, che soggettivo, nei confronti dei collaboratori di Studio.

      Art. 28 – Riserbo e segreto professionale        
      1. È dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato.
      2. L’obbligo del segreto va osservato anche quando il mandato sia stato adempiuto, comunque concluso, rinunciato o non accettato.
      3. L’avvocato deve adoperarsi affinché il rispetto del segreto professionale e del massimo riserbo sia osservato anche da dipendenti, praticanti, consulenti e collaboratori, anche occasionali, in relazione a fatti e circostanze apprese nella loro qualità o per effetto
      dell’attività svolta.
      4. È consentito all’avvocato derogare ai doveri di cui sopra qualora la divulgazione di quanto appreso sia necessaria:
      a) per lo svolgimento dell’attività di difesa;
      b) per impedire la commissione di un reato di particolare gravità;
      c) per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita;
      d) nell’ambito di una procedura disciplinare.
      In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato.
      5. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura e, nei casi in cui la violazione attenga al segreto professionale, l’applicazione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

    2. Altra norma che qui assume rilievo è quella contenuta nell’art. 6 (rubricato Segreto professionale) della l. n. 247/2012 (recante Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), che stabilisce, fra l’altro, che l’avvocato è tenuto verso terzi, nell’interesse della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e del massimo riserbo sui fatti e sulle circostanze apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale.

    3. L’avvocato ha inoltre un dovere di trattare i dati personali del proprio assistito in conformità alla normativa privacy applicabile. La normativa (nazionale e comunitaria) applicabile in materia di protezione dei dati personali ha una portata maggiore rispetto alla riservatezza che deve mantenere il professionista, estendendosi a tutta una serie di adempimenti (tra i quali: il dovere di informare il cliente circa le modalità di trattamento dei relativi dati personali; il dovere di custodirli con appropriate misure di sicurezza, tecniche e organizzative; ecc.) che esulano dal mero svolgimento della professione nel rispetto dei principi legali e deontologici.

      A tal proposito, recentemente (17.1.2022) l’International Bar Association (IBA) ha rilasciato una dichiarazione in difesa della riservatezza cliente-avvocato, dopo una serie di recenti attacchi al principio da parte di organizzazioni internazionali di alto profilo, tra cui le Nazioni Unite, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale e la Banca Mondiale.

      Il documento si sofferma sulla definizione del dovere di “riservatezza” dell’avvocato nei confronti del cliente, che (con sfumature differenti a seconda del contesto di civil o common law) deve intendersi esteso a tutte le informazioni trasmesse da quest’ultimo ai fini dello svolgimento dell’incarico del professionista.

      L’IBA sottolinea come la riservatezza dell’avvocato deve intendersi elemento essenziale per garantire il libero svolgimento della professione, l’efficiente amministrazione della giustizia e la corretta applicazione della rule of law. Il dovere di riservatezza tutela sia gli interessi del cliente, sia quelli dell’avvocato allo svolgimento del proprio incarico, posto che nessun cliente condividerebbe le proprie informazioni riservate se sapesse che queste possono essere svelate a terzi.

      È possibile affermare che il rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e il dovere di riservatezza nel rapporto con il cliente sono strettamente connessi: come evidenziato dall’IBA nello statement in esame, il rapporto di riservatezza avvocato-cliente consente di tutelare i diritti fondamentali di quest’ultimo (ivi incluso, pertanto, il diritto alla privacy). Dall’altro lato, prosegue l’IBA, tale tutela dei diritti del cliente è possibile proprio perché il professionista è vincolato da un dovere di riservatezza.

      In altri termini: da una parte, la corretta tutela e la corretta conservazione dei dati personali aiutano a mantenere il segreto professionale e la riservatezza in favore degli assistiti; dall’altra, la sussistenza di un obbligo (legale e deontologico) circa il mantenimento del segreto professionale incoraggia una corretta tutela e conservazione dei dati personali.

    4. Va poi aggiunto che la carta dei princìpi fondamentali dell’avvocato europeo (adottata all’unanimità dal Consiglio degli ordini forensi europei (CCBE) nella sessione plenaria tenutasi a Bruxelles il 24.11.2006) e il codice deontologico degli avvocati europei (risalente al 28.10.1988, più volte modificato, l’ultima delle quali nella sessione plenaria tenutasi a Oporto il 19.5.2006) sottolineano la duplice natura del segreto professionale: il rispetto della riservatezza non è soltanto un dovere dell’avvocato ma anche un diritto fondamentale del cliente.

  4. Si tratta, all’evidenza, di principi (riservatezza, privacy, segretezza) fondativi del rapporto di fiducia tra avvocato e parte assistita, che nel caso in esame viene ad assumere pregnante rilievo per quanto concerne la posizione di Beta, altra persona offesa-querelante assistita dal medesimo legale, i cui dati sensibili sono confluiti nella consulenza del pubblico ministero, a differenza di quelli di Alfa, che invece sono rimasti del tutto estranei alla indagine tecnica.Da tali principi, anche derivanti da fonti sovranazionali, emerge una peculiare e rafforzata posizione di garanzia del professionista nei confronti della parte assistita (anche una volta terminato il mandato), che impone un alto profilo di responsabilità nella gestione dei suoi dati personali, tanto più accentuata nei casi, come quello oggetto del parere, in cui tali dati riguardino la sfera più intima della persona, quale quella della propria vita sessuale.Da ciò consegue la necessità di comporre un corretto bilanciamento degli interessi e diritti in gioco, che qui – muovendo da quanto rappresentato dal Collega nella sua richiesta – possono essere individuati:
    1. in quello di Alfa di ottenere atti utili a far valere la sua pretesa nei confronti dell’indagato circa l’adempimento di uno specifico punto dell’accordo transattivo;
    2. in quello di Beta di non subire indebite diffusioni a terzi di dati estremamente sensibili afferenti alla propria vita privata, ed in particolare immagini che la ritraggono nel compimento di atti sessuali.
  5. Così enucleati i termini del bilanciamento, e sempre muovendo dalle circostanze di fatto esposte dal Collega, è possibile affermare, sulla scorta delle norme e dei principi poc’anzi invocati, come non si possa dubitare della prevalenza della necessità di tutelare la riservatezza di Beta a fronte di una pretesa di Alfa la cui legittimità e fondatezza appare del tutto sganciata dall’oggetto e dai risultati della consulenza tecnica del pubblico ministero, posto che, come evidenziato nella richiesta di parere, “non è in alcun modo funzionale per l’azione civilistica che X intende intraprendere, essendo l’obbligo di incontrarsi previsto nell’accordo”.

    A ciò si aggiunga, più in generale, l’esigenza di tutela della privacy di soggetti terzi, i cui dati sensibili, al pari di Beta, sono esposti nella consulenza tecnica del pubblico ministero, pur non essendo parti in causa del procedimento penale.

    Non paiono dunque sussistere quelle condizioni previste dal comma 4 del citato art. 28 c.n.f. che consentono di derogare ai doveri di segretezza e riservatezza del difensore.

    Per i motivi sopra esposti, si ritiene di poter dare una risposta positiva alla richiesta del Collega circa la possibilità di consegnare alla cliente Alfa tutta la documentazione del proprio fascicolo, fatta eccezione per la consulenza tecnica del pubblico ministero, avente ad oggetto l’esposizione di dati sensibili di altra parte da lui assistita, in ossequio al dovere di riservatezza che su di lui incombe nei confronti di quest’ultima.

    Peraltro, trattandosi di procedimento penale archiviato, nulla vieta ad Alfa di formulare richiesta al Pubblico Ministero di prendere visione del fascicolo delle indagini preliminari, che potrà essere autorizzata qualora ricorrano i presupposti che legittimino l’ostensione (integrale o in parte) degli atti in esso contenuti.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

  • con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
  • ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tanto meno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
  • pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

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