Attività del Consiglio Pareri deontologici e ordinamentali

STA – iscritto albo speciale enti pubblici – carica sociale – of counsel – attività stragiudiziale- verbale adunanza del 29/01/2020

Riferisce il Consigliere avv. Doriana De Simone in merito alla richiesta di parere assegnatale nel corso dell’adunanza del 15 gennaio scorso i cui quesiti sono di seguito elencati:

  1. se è possibile per un avvocato iscritto all’elenco speciale degli enti pubblici, debitamente autorizzato, entrare a far parte di una società tra avvocati ex articolo 4 bis LPF, con l’assunzione dell’incarico di presidente della società, senza poteri gestori e con soli poteri rappresentativi, come previsto dall’articolo 18, comma 1, lettera c) LPF e ovviamente senza esercitare attività professionale in sede giudiziale e stragiudiziale per la società tra avvocati;
  2. se è possibile per un avvocato iscritto all’elenco speciale degli enti pubblici, debitamente autorizzato, entrare a far parte di una società tra avvocati ex articolo 4, con l’assunzione della specifica carica di presidente onorario della società, senza poteri gestori e con soli poteri rappresentativi, come previsto dall’articolo 18, comma 1, lettera c) LPF e ovviamente senza esercitare attività professionale in sede giudiziale e stragiudiziale per la società tra avvocati;
  3. se è possibile per un avvocato iscritto all’elenco speciale degli enti pubblici, debitamente autorizzato, entrare a far parte di una società tra avvocati ex articolo 4 bis LPF, con l’assunzione dell’incarico di presidente del Comitato scientifico della società, lo 18, comma 1, lettera c) LPF e ovviamente senza esercitare attività professionale in sede giudiziale e stragiudiziale per la società tra avvocati;
  4. se è possibile per un avvocato iscritto all’elenco speciale degli enti pubblici, debitamente autorizzato, entrare a far parte di una società tra avvocati ex articolo 4 bis LPF, con l’assunzione dell’incarico di Of Counsel per lo svolgimento quindi di attività di assistenza e consulenza stragiudiziale affidate alla società tra avvocati”.

Sotto il profilo dell’inquadramento normativo, la figura dell’avvocato di ente pubblico trova la propria disciplina originaria nel R.D.L. 1578 del 1933 sull’ordinamento della professione forense, che all’art. 3 (comma 4 lett. b), nel disciplinare l’esercizio professionale dell’avvocato dell’ente pubblico, esclude la incompatibilità di cui al comma 2 (vale a dire attività di un lavoro dipendente) per i soli avvocati inseriti negli uffici legali di Enti pubblici ed iscritti nell’elenco speciale tenuto presso l’Ordine. Per la Suprema Corte gli Avvocati iscritti negli elenchi speciali devono svolgere la loro attività presso uffici legali istituiti presso gli Enti pubblici con carattere di autonomia e separatezza rispetto agli altri uffici, quindi, senza l’obbligo di osservare un orario di lavoro e senza una retribuzione predeterminata a scadenza fissa ed il loro jus postulandi deve ritenersi limitato alle cause ed agli affari propri dell’Ente pubblico di cui sono dipendenti, senza alcuna possibilità di interpretazione estensiva, dovendosi sempre tenere per regola generale quella dell’irrinunciabile esigenza dell’autonomia di giudizio e d’iniziativa degli Avvocati, normalmente garantita dall’esercizio della professione in forma libera (tra le altre, Cass. SS. UU. 19 agosto 2009, n. 18359; 10 novembre 2000, n. 1164; 19 giugno 2000, n. 450; 6 giugno 2000, n. 418; 18 maggio 2000, n. 363; Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 14 del 18 aprile 2019).

Dal combinato disposto dell’art. 18, lett. d) e dell’art. 19 co. 3 della l. n. 247 del 2012, discende, pertanto, che è eccezionalmente ammessa l’assunzione, quali lavoratori subordinati, di avvocati iscritti al relativo Albo professionale, a condizione che gli stessi vengano posti alle dirette ed esclusive dipendenze di una pubblica amministrazione, la quale attribuisca loro, in via esclusiva, la trattazione dei propri affari legali. Tale rapporto di esclusività si giustifica in virtù del particolare vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, cui si ricollega altresì il principio dell’immedesimazione organica, non previsto invece negli ordinari rapporti tra soggetti privati.

Principi, quelli appena richiamati, che eccezionalmente consentono di derogare al generale divieto di subordinazione del professionista legale, divieto che trova la sua ratio nella fondamentale esigenza di assicurarne, in ragione della sua responsabilità professionale, autonomia di giudizio e libertà di orientamento, in ragione del rilievo – che attinge aspetti di rilevante interesse pubblico – della sua attività professionale.

La vigente legge forense, in particolare, qualifica l’avvocato quale libero professionista, che svolge – in via tendenzialmente esclusiva – l’attività di assistenza, rappresentanza e difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali; a dette funzioni vanno peraltro associate, se connesse all’attività in giustizia e svolte in modo continuativo, sistematico ed organizzato, quelle di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale.

L’Avvocato degli enti pubblici, a differenza dell’Avvocatura dello Stato, non ha un ordinamento autonomo ma è soggetto all’ordinamento professionale forense con l’iscrizione ad un albo speciale e si muove all’interno di una eterna antinomia tra rapporto dipendente ed autonomia funzionale con un cliente esclusivo, l’ente pubblico di appartenenza.

La società tra avvocati in Italia (di seguito s.t.a.), costituisce una modalità di organizzazione dell’esercizio della professione di avvocato introdotta dal d.lgs 2 febbraio 2001, n. 96 in attuazione della direttiva dell’Unione Europea n. 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio della professione forense nell’UE. Successivamente sul tema sono intervenute la legge 12 novembre 2011 n. 183 sulle società di professionisti con il regolamento di attuazione d.m. 8 febbraio 2013 n. 34; la delega contenuta nell’art. 5 della legge 31 dicembre 2012 n. 247; infine, l’art. 1, co. 141, della legge 4 agosto 2017 n. 124, che ha introdotto nella citata legge n. 247/12 l’art. 4bis, recante la disciplina dell’“esercizio della professione forense in forma societaria”, integrata poi dall’art. 1 co. 443 della legge 27 dicembre 2017 n. 205.

La società de qua ha come oggetto sociale l’esercizio in comune dell’attività professionale (esempio rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio o consulenza legale). Fino al 2011, la società tra avvocati era l’unica forma sociale utilizzabile da chi svolgeva la professione forense. Poi, a seguito della emanazione della legge 12 novembre 2011 n. 183, è stato reso possibile anche la costituzione tra essi di una società tra professionisti. La s.t.a. viene iscritta nella sezione speciale dell’albo degli avvocati ed alla stessa si applicano le norme professionali e deontologiche (ex art. 16). Trattasi di società regolata dalle norme della società in nome collettivo. Quanto alla compagine sociale, almeno due terzi dei diritti di voto e del capitale devono essere riservati ad avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni; la maggioranza dei membri del l’organo di gestione deve essere composta da avvocati; non sono possibili amministratori terzi (non soci), ed “i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori”. La legge non obbliga gli avvocati a conferire la propria opera nella sta, quindi, è possibile che i soci avvocati scelgano di conferire la propria opera oppure di eseguire conferimenti in denaro.

Tutto ciò premesso, per poter dare una risposta ai quesiti formulati, occorre esaminare anche la normativa in tema di incompatibilità con l’esercizio della professione forense, di cui agli artt. 18 lett. d) e 19 della legge professionale 31/12/2012 n. 247, in forza dei quali chi svolge l’attività di avvocato, essendo iscritto all’ordine, non può contemporaneamente svolgere attività d’impresa commerciale in nome proprio e per conto di altri. L’avvocato, insomma, non può fare l’imprenditore, ad eccezione dell’imprenditore agricolo. L’avvocato non solo non può esercitare l’attività d’impresa individualmente, ma non può nemmeno essere: socio illimitatamente responsabile di una società di persone (di una s.n.c. o s.a.s. per intenderci); amministratore di una società di persone; amministratore unico, consigliere delegato o presidente del consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione di società di capitali (s.r.l., s.p.a. o s.a.p.a.). Questo significa che non c’è incompatibilità se l’avvocato è presidente del c.d.a., ma non ha effettivi poteri di gestione. Le uniche eccezioni a queste incompatibilità sono costituite dai casi in cui la società si occupi esclusivamente dell’amministrazione di beni personali o familiari o nel caso in cui la società sia pubblica.

I menzionati artt. 18 e 19 della L.P. si possono ritenere applicabili alle sta, considerando che, ai sensi dell’articolo 4 bis, comma 6, legge 247/2012, le società sono tenute al rispetto del codice deontologico e sono soggette alla competenza disciplinare dell’ordine di appartenenza; oltre a ciò, può ritenersi che siano naturalmente soggette a tutte le norme che disciplinano la professione forense, posto che il loro oggetto è proprio lo svolgimento di tale attività. Difficile sostenere che il legislatore abbia voluto consentire alla società tra avvocati – persona giudica- di fare ciò che è proibito ad un singolo avvocato – persona fisica, posto che esercitano la medesima attività.

Fermo quanto sopra premesso, è in base alle coordinate normative e giurisprudenziali sopra riportate che devono trovare risposta i quesiti di cui alla richiesta di parere. Ebbene, poiché nelle prime due ipotesi ventilate dal richiedente si contempla la previsione di un incarico di presidenza, eventualmente onoraria, con soli poteri di rappresentanza, senza neppure poteri gestori e senza l’esercizio di attività professionale in sede giudiziale o stragiudiziale per la società, la risposta ai suddetti quesiti, a parere di chi scrive, deve ritenersi positiva.

Parimenti positiva è la risposta al quesito n. 3, ossia la compatibilità dell’avvocato di ente pubblico con la carica di Presidente del Comitato Scientifico della società.

Per quel che, invece, concerne l’ultimo quesito, ossia la possibilità che un avvocato di ente pubblico assuma l’incarico di Of Counsel per lo svolgimento di attività di assistenza e consulenza stragiudiziale affidate alla società tra avvocati, si impongono le seguenti considerazioni.

L‘Of Counsel è un collaboratore esterno che opera generalmente all’interno degli studi professionali in via non continuativa. Si tratta di professionisti esperti in settori e materie complementari a quelle trattate in ambito legale o fiscale. Questo professionista, soggetto esterno ad uno studio legale strutturato in forma associata o societaria, è di fatto un collaboratore che mantiene una sua autonomia gestionale, lavorativa e contabile.

Tuttavia, lo “ius postulandi” degli avvocati degli enti pubblici, iscritti negli elenchi speciali, va riconosciuto limitatamente alla tassativa ipotesi dell’esercizio professionale per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, non essendo consentita alcuna interpretazione estensiva (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30 marzo 2018, n. 7992).

La Suprema Corte, sulla base dell’art. 3 del R.D.L. n. 1578 del 1933, ha osservato che la norma in questione dispone che gli avvocati degli uffici legali istituiti presso gli enti e le amministrazioni pubbliche possono esercitare la professione forense solamente per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera e sono all’uopo iscritti nell’elenco speciale annesso all’albo. La pregnanza dell’obbligo di esclusività alle superiori esigenze che esso è destinato a tutelare induce ad escludere la possibilità di deroga in presenza di fattispecie ad esempio nelle quali il legale abbia un interesse personale e diretto nella controversia. Nel caso di specie, il legale aveva patrocinato se stesso in un procedimento monitorio. La Suprema Corte ha ritenuto condivisibile la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui gli avvocati degli enti pubblici iscritti all’albo degli elenchi speciali previsti dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, rivestono contemporaneamente la qualità di professionisti e di impiegati e in tale ultima veste sono assoggettati ai doveri e alle limitazioni derivanti dal rapporto di impiego, compreso l’obbligo di esclusività dell’espletamento delle attività di assistenza, rappresentanza e difesa dell’ente pubblico nelle cause e negli affari dell’ente stesso; pertanto, essi non possono stare in giudizio senza ministero del difensore nelle controversie in cui sono coinvolti a titolo personale (Cass., sez. un., 23 giugno 1995, n. 7084; vedi anche Consiglio nazionale forense, parere 16 marzo 2016, n. 26).

Considerato che la previsione di cui dell’art. 3 cit., comma 4, costituisce una deroga alla regola generale, dettata dai commi precedenti, la stessa è di stretta interpretazione e non è suscettibile di interpretazione estensiva (Corte Cost. sent. 22 maggio 2013 n. 91). Gli avvocati degli enti pubblici, iscritti negli elenchi speciali, sono da considerare nello stesso tempo professionisti ed impiegati, nel senso che, nello svolgimento del loro lavoro professionale hanno garantita una posizione di indipendenza e sono sottoposti al controllo dei Consigli dell’Ordine professionale, mentre, per gli altri profili del rapporto di impiego, sono assoggettati ai doveri ed alle limitazioni derivanti dal rapporto stesso (Corte Cost. 28 luglio 1988 n. 928). In tale contesto, va ricompreso l’obbligo dell’esclusività dell’espletamento, da parte loro, dell’attività di assistenza, rappresentanza e difesa dell’ente pubblico, presso il quale prestano la propria opera, nelle cause e negli affari dell’ente stesso (Consiglio di Stato, Sez. 4, sent. 372 del 2001 e Sez. 6, 25 maggio 2000, n. 3023 e Cass. civ. sez. un., 23 giugno 1995, n. 7084).

Il Cnf, con parere del 16 marzo 2016, intervenendo su una richiesta del COA Bologna relativa alla circostanza se un avvocato di un ente pubblico potesse svolgere la propria attività professionale, di assistenza giudiziale e stragiudiziale, in favore di enti diversi da quello di appartenenza ma a questo legati da apposita convenzione, ha fornito risposta negativa. Ciò in quanto la facoltà che la legge assegna alle Amministrazioni Pubbliche in ordine all’istituzione di Uffici Legali comuni, allo scopo di rendere maggiormente efficace l’organizzazione e la gestione dell’attività di assistenza legale, non può far derogare alla norma, come si è sopra detto di carattere eccezionale e dunque di stretta interpretazione, che l’attività di difesa in giudizio è consentita solo entro i limiti “della trattazione esclusiva e stabile degli affari dell’ente”, secondo il dettato dell’art. 23 della Legge 247/2012.

A fortiori, deve, pertanto, escludersi, a parere di chi scrive, che un avvocato di un ente pubblico, che non può neppure patrocinare se stesso, possa svolgere attività di assistenza e consulenza stragiudiziale affidate alla società tra avvocati.

Il Consiglio, all’esito, ringrazia il Consigliere avv. De Simone per il parere reso che delibera di fare proprio.

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