Varie

Un avvocato italiano a New York: due sistemi a confronto

Introduzione

“Un avvocato italiano a New York” è il titolo della conferenza che l’avvocato Gisella Levi Caroti ha tenuto presso la nostra Università, alla sala delle Armi di Palazzo Malvezzi; il seminario è stato organizzato dalla Scuola Superiore di Studi Giuridici dell’Università di Bologna ed è stato accreditato dall’’Ordine degli Avvocati di Bologna.
Conosco l’avvocato Levi Caroti da poco tempo, ma la stimo e l’ammiro moltissimo.
Io l’ho conosciuta più o meno un anno fa: lo studio dell’avv. Levi Caroti era solito organizzare stage per giovani laureati e laureandi e mio figlio Francesco era alla ricerca di questo, voleva fare un tirocinio, prima della laurea, oltreoceano, in uno studio serio e importante, un po’ come nei film.
E come in un bel film americano, Francesco è stato accolto dall’avv. Levi Caroti presso il suo prestigioso studio, proprio vicino a Wall Street, Herzfveld & Rubin, dove ha vissuto un’esperienza che non solo non dimenticherà mai ma che gli sarà sempre, e in ogni caso, molto utile.
Così, quando ci siamo incontrate di nuovo quest’inverno a Milano, prima nel suo studio milanese e poi a pranzo, abbiamo chiacchierato amabilmente delle nostre vite, la mia più o meno fra quattro strade, e la sua, da Milano a New York, con la famiglia nella tranquillità del Connecticut, che nelle sue parole è un luogo di pace e di serenità.
Allora ho pensato che sarebbe stato bello che lei raccontasse la sua storia a più persone, a noi grandi per farci un po’ sognare, ma soprattutto ai giovani laureati, perché capiscano che il mondo può essere anche molto più grande di come lo immaginano, anche se poi rimangono qui.
L’avv. Levi Caroti mi ha detto di sì, è venuta da New York, sosta a Milano e poi il 16 maggio a Bologna, a Palazzo Malvezzi, a raccontarci in quel suo modo diretto e sincero la sua vita.
Ed è quello che troverete nel suo scritto. Così, senza enfasi, ci parla di un percorso certo non comune, una carriera professionale incredibile, per una infinitesima parte della quale molti di noi, me compresa, si darebbero un sacco d’arie.
Lei no, è la sua vita, e ce ne parla con semplicità.
Non voleva sprecare i suoi talenti, come lei stessa dice, e certamente li ha messi a frutto.
La prof. Daniela Memmo mi ha aiutato nell’organizzazione, il prof. Federico Carpi ha accettato di presiedere l’incontro, Giovanni Berti Arnoaldi Veli di raccontare un po’ di sé e del nostro foro e Bruno Micolano ci ha ricordato l’importanza di spingere il nostro sguardo oltre le mura di Bologna: insieme all’avv. Levi Caroti ringrazio anche loro, con molto affetto, perché hanno contribuito a farci trascorrere un bellissimo pomeriggio.
Ma abbiamo già molte altre idee, Gisella ci ha promesso di tornare.

Avv. Chiara Rigosi


Innanzi tutto devo fare una premessa e raccontare un po’ della mia vita perché Vi domanderete come mai sono andata ad abitare negli Stati Uniti e sono diventata avvocato a New York.

Appartengo ad una famiglia di giuristi, quindi la legge era evidentemente nel mio sangue. Forse è stato questo che mi ha spinto ad andare avanti malgrado le difficoltà. Il mio bisnonno, Giacomo Jona, era stato Primo Presidente della Corte d’Appello di Milano agli inizi del secolo ventesimo. Mio padre, Anselmo Levi, era un civilista molto noto a Milano. Mia madre, Pia Levi Ravenna, è stata una delle prime donne avvocato a Milano e, oltre a tutto, era una penalista. Mio fratello, Giulio Levi, è stato giudice alla Corte di Cassazione.

Ho sempre abitato e studiato a Milano. Malgrado nessuno della mia famiglia mi abbia spinto a studiare Legge, tant’è che fino all’ultimo pensavo di laurearmi in Letteratura Italiana e Storia, poco tempo prima della chiusura delle iscrizioni qualcosa è scattato nella mia mente e mi sono iscritta a legge. Ho sempre frequentato l’Università, forse perché abitavo molto vicino, e nel pomeriggio aiutavo mio padre in studio. Appena laureata mi sono sposata ad un chimico e non ad un avvocato, e ho dato l’esame di avvocato a Milano. Ho avuto quattro figli ed esercitato la professione legale per 10 anni a Milano nello studio della mia famiglia. Questo mi era possibile anche perché abitavo a tre minuti dallo studio e potevo correre a casa se ve n’era bisogno. Nei dieci anni in cui ho esercitato la professione di avvocato in Italia ho lavorato per lo più con mio padre ed esercitato diritto civile e commerciale. Gli ultimi anni sono stati molto difficili perché mio padre è morto, mia madre esercitava diritto penale e mio fratello era molto più giovane di me e non ancora avvocato. Abbiamo perso dei clienti ed avuto altri. Quando sembrava che tutto si fosse stabilizzato, mio marito che nel frattempo aveva fatto carriera come businessman per una società americana, ha avuto un’ulteriore promozione diventando Vice Presidente per le vendite in ogni parte del mondo di apparecchiatura scientifica per la ricerca. La sua posizione e lo stipendio erano troppo superiori a quanto guadagnavo io facendo l’avvocato. Inoltre era un periodo difficile per l’Italia, le Brigate Rosse, l’omicidio di Moro. Ci è sembrato sensato trasferirci con i nostri quattro figli negli Stati Uniti e precisamente in Connecticut, nella casa dove vivo tuttora. È da notare che io non parlavo l’inglese avendo studiato Francese al liceo e avendo solo un’infarinatura appresa alla British School a Milano per essere in grado di ricevere gli ospiti americani di mio marito. I primi due anni, oltre ad occuparmi dell’insediamento della famiglia in un nuovo paese, e specialmente dei figli nelle varie scuole (ne avevo uno alla high school, uno alla middle school, mia figlia alla elementary school, e mio figlio di due anni alla nursing school), sono serviti per imparare l’inglese. Ho preso il Proficiency in inglese in una università vicina e poi ho pensato di iscrivermi a legge. Ora gli studenti che vengono dall’Italia per fare un Master negli Stati Uniti sanno già molte cose di come il sistema funziona, anche per avere parlato con altri avvocati che avevano fatto esperienza prima di loro. Io non sapevo assolutamente niente. Mi sono in primo luogo rivolta alla Connecticut Bar Association dove mi hanno detto che per praticare legge in Connecticut dovevo fare il JD come gli studenti americani usciti dal College, dato che la laurea italiana non era riconosciuta. Quindi ho fatto l’LSAT con gli studenti americani, che è un esame molto difficile più che altro di logica, che non era per me necessario, ma che mi è servito più che altro per praticare il mio inglese. Rivolgendomi al Bar di New York, sono venuta a conoscenza dei Master disponibili per avvocati stranieri che permettevano di dare l’esame di avvocato e poi di esercitare a New York. Non sapevo tuttavia la tempistica per l’iscrizione del Master alla New York University a cui era interessata, che era un corso intensivo sui vari istituti del diritto americano per avvocati stranieri provenienti da civil law countries. Occorreva iscriversi un anno prima dell’anno in cui si voleva iniziare. Per non perdere tempo, mi sono iscritta a un Master in International Law che era interessante, ma che trattava di diritto internazionale pubblico e non di diritto privato, e non era proprio quello a cui ero interessata. Ho passato giornate in biblioteca a leggere i verbali delle riunioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Interessante per chi voleva Fare la carriera diplomatica, non l’avvocato come volevo fare io. Ho in ogni caso dato tre esami e poi ho finalmente iniziato il Master in Comparative Law. Gli studenti erano molto più giovani di me e provenivano o dal Nord Europa o dal Sud America, C’era anche un giapponese, intelligentissimo e brillantissimo che è poi diventato partner di uno degli studi più importanti di Tokyo. Gli studenti della nostra classe abitavano tutti nel campus dell’università. Per questo motivo, quando ho fatto l’intervista con il Direttore del Master in Diritto Comparato, non volevano accettarmi, temendo che non riuscissi a studiare abbastanza avendo una famiglia, e dovendo viaggiare su e giù dal Connecticut. Sono stata ammessa con il risultato che passavo tutta la giornata all’Università, andando a lezione e studiando in biblioteca, soprattutto leggendo le sentenze che ci erano state assegnate come lettura dai vari professori per il giorno dopo. Il nostro corso, molto intensivo, aveva i corsi più importanti: Constitutional Law, Contracts, Torts, Corporations, Commercial Law, Real Estate, Conflicts of Laws, Intellectual Property, Federal Practice ed altri che ora non ricordo.

È allora che ho notato la differenza tra l’insegnamento della legge in una common law country e in una civil law country. Innanzitutto c’è l’obbligo della frequenza e puoi venire interrogato ogni giorno in classe per discutere quanto ti era stato assegnato il giorno prima. I professori non fanno lezione parlando dall’inizio alla fine dell’ora assegnata, ma discutono con gli studenti. La maggiore differenza è nel sistema. Non si studia nulla di prefissato, non si leggono e studiano norme codificate da altri, ma si leggono e si discutono i casi. Mentre il sistema di civil law è deduttivo, si applicano i principi appresi al caso da discutere, il sistema di common law è induttivo, è lo studente che deve trovare il principio dopo la lettura dei vari casi ed applicarlo al caso in questione. Direi che il fatto di avere studiato legge in un sistema di civil law, invece di aiutare può essere controproducente perché lo studente si aspetta qualcosa che non riceve, un principio fisso che non esiste, o almeno non esiste quando si studia legge all’università. In classe vige il sistema socratico della discussione, si leggono casi simili ma con risultato diverso e si esaminano le differenze. Lo studente deve continuare a ragionare. Leggendo molti casi diversi ma simili può creare confusione nella mente dello studente che deve poi preparare l’esame finale che è costituito da un caso da discutere. Tuttavia, proprio la discussione insegna la professione dell’avvocato. Per il professore non è importante il risultato quanto il modo in cui il caso viene discusso. L’impressione che si ha studiando common law è che la legge non è qualcosa di statico, ma in continua evoluzione. Anche per il corso di diritto costituzionale, non si legge la Costituzione e i vari Amendments, ma i casi importanti sui diritti civili ed altro decisi dalla Corte Suprema che hanno portato cambiamenti alla Costituzione Americana.

La dottrina è vista con antipatia, e lo stesso la codificazione. Questo porta al fatto che i codici esistenti, quali il Bankruptcy Code, l’Uniform Commercial Code, e il Codice di Procedura Civile dello Stato di New York, sono scritti male e non in maniera sistematica, e complicati da interpretare. Direi che questo è il maggior difetto del sistema di common law.

Tanto è vero che l’università di legge americana prepara a fare l’avvocato, che soltanto due mesi dopo la laurea si può dare il Bar Exam, cioè l’esame di stato che è diverso in ogni stato americano. L’esame è di 6 ore al giorno per due giorni consecutivi. Il primo giorno si dà il Multiple Choice con 350 domande a cui rispondere sulla legge federale. Il secondo giorno, oltre a una parte dell’esame di Multiple choice sulla legge dello stato, si deve rispondere a otto questioni legali, secondo la legge dello stato in cui viene dato l’esame (diritto societario, diritto delle successioni, diritto di famiglia, procedura civile, ecc.). Ogni domanda contiene a sua volta 4 o 5 punti da risolvere.

Abitando in Connecticut, io pensavo di trovare un lavoro in Connecticut. Quindi ho dato il Bar Exam nello stato del Connecticut. Ho cercato lavoro per un anno e non ho trovato niente perché in Connecticut non vi è una pratica internazionale, ma per lo più locale. Per me non vi era altra possibilità che venire a New York. Ho dovuto quindi ridare l’esame a New York. Dopo varie interviste andate a vuoto, ho trovato finalmente una posizione di “of counsel” nello studio di Herzfeld & Rubin, P.C. dove mi trovo tuttora. Sono stata assunta dall’avv. Rubin personalmente che aveva simpatia per l’Italia, avendo avuto come partner fondatore dello studio dello studio, oltre al professor Herzfeld, tedesco, anche il prof. Angelo Piero Sereni, professore di Diritto Internazionale dell’Università di Bologna. Io riportavo all’avv. Rubin, ma egli era occupatissimo e poteva darmi poco retta. Inoltre, quello che lo studio si aspettava dalla mia posizione di consulente esterno era di trovare clientela italiana. Nessuno mi dava niente da fare ed era quanto mai imbarazzante. Ero l’ultima ruota del carro, sapevo la lingua e anche la legge meno dei giovani associates dello studio, ero una donna, straniera, non più giovanissima. Inoltre, non avevo mai lavorato in uno studio che non fosse il mio e non avevo mai riportato ad altri che non fossero i miei genitori. All’inizio non sapevo come avrei reagito a questo fatto e mi sono adattata con una certa fatica. È per questo che raccomando sempre ai colleghi avvocati di far fare pratica ai loro figli in altri studi, dove hanno a che fare con altri avvocati con cui non hanno la stessa confidenza che hanno con i propri genitori. Ho avuto qualche esperienza negativa. A quel tempo, a capo del litigation department, c’era un giovane avvocato a cui mi ero rivolta per una questione di proprietà intellettuale. Lui mi ha detto chiaramente che, se non gli davo il fascicolo in modo che lui parlasse direttamente con il cliente, non mi avrebbe aiutato. Allora io ho pensato, se gli do il cliente io servirei semplicemente da interprete, conosco l’inglese e la legge meno di lui, l’unica cosa che ho è il cliente, se perdo anche quello non ho più nulla. Non gli ho dato il cliente e mi sono rivolta ad altri nello studio.

I clienti sono arrivati poco per volta, per lo più inviati da avvocati italiani che conoscevo. Per farmi conoscere, sono venuta in Italia a parlare a trade organizations, Camere di Commercio, Consigli dell’Ordine ed Università, come sto facendo ora. Andavo spesso all’Assopiastrelle a Sassuolo ed ho avuto ed ho tuttora parecchi clienti produttori di piastrelle. Uno di questi aveva una causa pendente in Michigan ed era in parte assicurato con la SIAC di Roma, che assicura i crediti con l’estero delle ditte italiane ed ha dei recuperi di crediti negli Stati Uniti. Ho telefonato alla SIAC. Il capo dell’ufficio legale si è dichiarato contentissimo del fatto di avere una avvocato che parlasse italiano che li rappresentasse. Mi ha aiutato molto il fatto di essere diventata il legale della SIAC di Roma. La SIAC aveva come clienti le grosse società italiane. Che fossi io a telefonare per il recupero dei loro crediti faceva piacere ai legali della SIAC e per me è stato la predella di lancio per potere andarli a trovare in Italia e diventare gradualmente il loro legale per tutto quello che avevano negli USA, non solo il recupero del credito. Con gli anni la clientela è aumentata e ventun anni fa sono diventata partner dello studio. È stato un bel successo considerato il fatto di essere una donna (quando sono diventata avvocato a New York c’erano molte meno donne avvocato negli Stati Uniti che in Italia), straniera d’origine anche se cittadina americana. Rappresento per lo più società italiane che operano negli Stati Uniti. Sono quello che chiamano qui un business lawyer e mi occupo di consulenza, formazione di società in ogni parte degli Stati Uniti e contrattualistica, più che di contenzioso. Ho creato un Gruppo Italiano nel nostro studio rappresentato da quattro avvocati ammessi sia in Italia che a New York.

Ho imparato tante cose da quando sono entrata nello studio. La cosa più importante è di essere chiara e concisa nello scrivere. Del resto ricordo che mio padre, che era un avvocato italiano civilista che scriveva molto bene, mi diceva sempre che solo chi capisce bene il problema è chiaro e lo sa spiegare senza tanti fronzoli. Ho imparato a non scrivere ai clienti pareri lunghi con citazioni di leggi e sentenze di cui non sono interessati. Al cliente interessa la conclusione, come devono comportarsi in una determinata circostanza, come devono rispondere ad una lettera o trattare con la controparte i termini di un contratto. Ricordo che appena arrivata avevo scritto un lungo parere e l’avevo fatto leggere all’avv. Rubin che mi ha detto che non andava bene perché la maggior parte di quello che avevo scritto era irrilevante per il cliente. Da allora ho capito. Lo studio dei casi e della legge deve essere antecedente e servire per poter dare la risposta giusta al cliente. Va bene menzionare la legge nel parere ma non dilungarsi sulla stessa per far vedere al cliente di avere studiato molto e giustificare la parcella. Ho avuto molti “interns” italiani ed “associates” durante i miei trent’anni di pratica in America e dico questo ai giovani che lavorano con me che tendono ad infiorare quello che scrivono. Vi apparirà strano ma c’è un’altra cosa che dico loro, mentre dovrebbe essere ovvia anche per gli studenti italiani; come scrivere un parere legale. Devo raccomandarmi che la procedura è questa; esporre i fatti, applicare la legge ai fatti, e poi arrivare alla conclusione.

All’inizio della mia pratica nello studio ho fatto molto contenzioso insieme agli avvocati americani per clienti italiani che volevano iniziare una causa qui, ed ho potuto realizzare la differenza tra il contenzioso civile e commerciale in Italia e negli Stati Uniti. Non so se ora è cambiato ma ricordo che la maggior parte delle cause civili in Italia comportano la preparazione di comparse e memorie, molto meno negli Stati Uniti, in cui l’istruttoria ha una parte molto rilevante, in particolare le deposizioni di clienti e testimoni. Le deposizioni istruttorie si svolgono negli studi dei rispettivi avvocati delle parti e possono durare giorni e giorni. Il giudice non è presente, ma solo un Court Reporter che trascrive la deposizione e fa giurare i testimoni. Anche l’attore e il convenuto in giudizio sono considerati testimoni e sono sottoposti al giuramento. Per preparare i clienti italiani alle deposizioni ho scritto delle istruzioni speciali che potessero leggere più di una volta prima della deposizione. Abbiamo dovuto istruire il cliente che deve rispondere il meno possibile, essendo interrogato dal legale di controparte, di non aggiungere niente di più alla risposta alla domanda, di non cercare di convincere il legale avversario di avere ragione, perché si tratta della controparte e non del giudice, ecc. La deposizione finisce in pagine e pagine di verbali che non vengono mai letti dai giudici. I testimoni che servono alle singole parti vengono rinterrogati al processo (trial) e le deposizioni servono agli avvocati solo per citare al processo le parti che servono per contraddire il testimone al processo. Al processo possono o non possono esserci i giurati (ogni parte ha il diritto di chiedere la giuria). In ogni caso la giuria può solo decidere sulle questioni di fatto, non su quelle di diritto, demandate al giudice. Solitamente nelle cause commerciali non viene richiesta la giuria, a meno che non si tratti del caso dell’individuo contro la grossa società o dell’incidente grave contro la grossa causa automobilistica. Se è la giuria a decidere, è solo la stessa a decidere, il giudice dirige solo il processo, come si vede nei film. Un altro fatto importante è che in genere le cause durano meno che in Italia. Direi che in generale, a meno che non si tratti di una questione molto complessa che richiede una lunga istruttoria, sono risolte entro due anni. Inoltre devo dire che, specialmente nel caso delle Corti Federali, i termini assegnati d’ufficio dalla Corte, sono molto stretti.

La cosa che è molto difficile far digerire al cliente italiano è che, in caso di contenzioso, a meno che non si tratti di casi speciali, o di accordo in tal senso tra le parti, ogni parte deve sostenere le proprie spese legali anche in caso di vittoria. Tale norma è stata decisa per sfoltire il lavoro delle Corti ed indurre i clienti a transigere la causa per non sostenere troppe spese.

Avrei ancora tante cosa da raccontarvi perché trent’anni di pratica sono lunghi e ho avuto un’esperienza interessante. Del nostro studio debbo dire che, essendoci ancora l’avv. Rubin, che ha 98 anni e viene tutti i giorni in studio, lo studio ha mantenuto una certa individualità. Alla fine il cliente preferisce parlare con un determinato avvocato, non con un numero indiscriminato di avvocati che si occupano della sua pratica. Nel caso del nostro gruppo italiano, i clienti italiani si rivolgono a me e sono contenti che io risponda direttamente al telefono perché talvolta hanno problemi di lingua. La mia duplice esperienza di avvocato sia italiano che americano è molto utile per la clientela italiana perché riesco meglio a capire la mentalità italiana, quello che i clienti vogliono, ed a spiegare loro la procedura americana. Inoltre, molti clienti di piccole e medie industrie non parlano l’inglese oppure non lo parlano tanto da capire le questioni legali. Si apre loro il cuore quando possono spiegarsi in Italiano. Questo non toglie che io debba sempre combattere con i clienti italiani per il pagamento delle parcelle perché con me credono di avere a che fare con un avvocato italiano mentre io li rappresento come avvocato americano e dico loro che, solo per il fatto di essere ammessa nei due paesi, dovrebbero pagarmi il doppio.

Penso che Vi interesserà sapere delle legal fees ai clienti. La norma generale è la hourly fee che nel caso del nostro studio va da circa $600 per i senior partners a $150 per i più giovani associates. La mia è di $525 all’ora. Vi è la possibilità di una contingency fee nell’ipotesi di un grave incidente o di un recupero credito di ammontare importante in cui lo studio può ricevere il 30% del recuperato. Tuttavia l’accettazione della causa a contingency deve essere approvata da due membri del Management Committee dello studio. Molte volte, per i clienti che hanno un lavoro continuo, io propongo un flat fee mensile per sei mesi. Anche questo accordo deve tuttavia essere approvato dal Management Committee del nostro studio.

Gisella Levi Caroti
Herzfeld & Rubin, P.C.

 

Informazioni sull'autore

Gisella Levi Caroti