Pareri deontologici e ordinamentali

Pareri deontologici 13/1/2016

Riferisce il Consigliere avv. Stefania Tonini sulla richiesta di un parere, pervenuta con email in data 5 novembre 2015.

Con tale comunicazione, un avv. esponeva di avere ricevuto presso il proprio studio un mese prima, previo appuntamento fissato in seguito alla richiesta da parte di una signora, entrambi i coniugi che le chiedevano informazioni sugli accordi da formalizzare in sede di separazione coniugale.

La Collega riferisce di avere, al riguardo, spiegato loro le formalità da adempiere e, sulla scorta degli accordi che i coniugi avevano già delineato e raggiunto in via autonoma, redigeva una bozza di ricorso per separazione coniugale consensuale, inviata dopo qualche giorno dall’incontro ad entrambe le parti via email.

In conseguenza del ricevimento di tale atto, i coniugi chiedevano la fissazione di un altro incontro per discuterne insieme il contenuto.

In quell’occasione, il marito riferiva di preferire di essere assistito da altro avvocato di sua fiducia, nonostante egli confermasse gli accordi raggiunti con l’altro coniuge.

Successivamente la Collega riceveva comunicazione da parte di un avvocato, che adduceva l’incompatibilità dell’avv., si presume a rappresentare la moglie in un procedimento giudiziale di separazione coniugale, sul presupposto di un divieto deontologico, laddove nella richiesta si legge testualmente, come motivazione, «avendo io partecipato alle trattative».

La Collega ha sottoposto, pertanto, i seguenti due quesiti:

  1. come si debba interpretare il disposto dell’art. 68 comma 4 c.d.f., laddove recita «L’avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi». La Collega specifica che, nel suo caso, non ha ricevuto un mandato, nel senso «non ho fatto sottoscrivere procure ma solo redatto una bozza di ricorso per formalizzare quanto da loro deciso»;
  2. se, ove non potesse assistere la moglie per incompatibilità, possa chiedere ad entrambi i coniugi il compenso per la prestazione erogata, specificando di non avere ricevuto alcunché da nessuno dei due.

Con riguardo alla prima questione, si ritiene di poter affermare che il divieto di cui all’art. 68 c.d.f. (Assunzione di incarichi contro una parte già assistita) è conforme, innanzitutto, al principio che vieta, in via generale, l’assunzione di incarichi professionali contro ex assistiti, nei casi e nelle ipotesi espressamente previsti, integrando la violazione dei doveri di lealtà, di correttezza e di fedeltà ex artt. 10 e 13 c.d.f. e l’applicazione delle sanzioni ivi disciplinate[1].

E’, comunque, sconsigliabile assumere incarichi contro la parte precedentemente assistita poiché «il rapporto di fiducia esistito (con ogni conseguente elemento di riservatezza) mal si concilia con l’iniziativa giudiziaria». E ancora «E’ quindi da evitare, in via generale, l’assunzione di incarichi contro ex clienti»[2].

Nell’ambito specifico del diritto di famiglia, poi, il rigore della norma è oltremodo rilevante, avendo recepito nel nuovo testo (comma 4) anche l’ipotesi di conviventi. La ratio è quella di dare risalto all’esigenza di conferire una maggiore severità ed un più stretto rigore, sotto il profilo deontologico, nei confronti degli avvocati che si occupano delle materie familiare e minorile, volta ad assicurare, in tali ambiti, l’esercizio della professione forense quanto più ispirato al perseguimento di un operato professionale corretto e leale, attesi gli interessi coinvolti.

Da qui anche l’estensione temporale del divieto, senza limiti (non valendo il limite temporale dei due anni, come avviene di regola).

Con tali specificazioni, si ritiene di poter affermare che il divieto di assistere un coniuge contro l’altro, dopo averli assistiti entrambi, vada inteso nel senso più ampio, ricomprendendovi, pertanto, non solo le fattispecie che hanno origine dal mandato e dalla rappresentanza giudiziale congiunti[3], ma anche alle ipotesi di cui alla richiesta in esame.

Ciò si desume dall’applicazione dei seguenti principi:

  1. La definizione della nozione di “assistenza congiunta”: in ipotesi di mancanza del mandato da parte di uno dei coniuge. Con tale accezione, rilevante ai fini del divieto di cui all’art. 68 co. 4, CDF, ci si riferisce alla configurabilità di tale assistenza anche nell’ipotesi in cui, pur in assenza di un conferimento formale dell’incarico da parte di entrambi i coniugi, il difensore comunque abbia svolto attività professionale nell’interesse di entrambi. In tal senso si è espressa la Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. Civ. Sez. Un. Sentenza 7/04/2014 n. 8057), affermando che il divieto per il difensore dei coniugi nel procedimento di separazione consensuale, di assistere uno dei coniugi in successivi procedimenti relativi ai medesimi rapporti familiari, sussiste anche nel caso in cui l’avvocato abbia svolto attività di assistenza solo formale[4]. Nel senso che, avallando l’orientamento della giurisprudenza disciplinare del CNF, la Corte ha ritenuto del tutto irrilevante la mancanza di un espresso conferimento d’incarico professionale da parte di uno dei coniugi per escludere il divieto in esame[5].
  2. La nozione di “assistenza congiunta” si amplia sino a ricomprendervi anche l’ipotesi della tutela anticipata al mero pericolo derivante dalla teorica possibilità di conflitto d’interessi. Costituisce, pertanto, comportamento illecito e rilevante, sotto il profilo deontologico, quello assunto dall’avvocato che, ricevuto l’incarico da entrambi i coniugi e dopo avere instaurato un rapporto professionale, assista poi nella separazione giudiziale uno di essi nei confronti dell’altro. Il divieto, com’è noto, in via generale, tende ad evitare «che il professionista sfrutti in favore del proprio cliente il patrimonio conoscitivo acquisito in ragione del precedente rapporto professionale, con ciò neutralizzando il diritto di difesa dell’ex cliente» (cfr CNF sentenza n. 149/2012).
  3. Segue. Anzi, il divieto si estende anche alle ipotesi in cui non si richieda specificatamente l’utilizzo di conoscenze ottenute in ragione della precedente congiunta assistenza. Inoltre, la norma in esame non richiede che si sia espletata attività defensionale o di rappresentanza, ma si limita a circoscrivere l’attività nella più ampia definizione di assistenza, per l’integrazione della quale non è richiesto lo svolgimento di attività di difesa e rappresentanza, essendo sufficiente che il professionista abbia svolto attività diretta a creare l’incontro della volontà seppure su un unico punto degli accordi di separazione o divorzio (cfr CNF sentenza n. 35/2013).
  4. L’obbligo assoluto di astensione è stato, peraltro, confermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nel 2006, laddove si afferma che il divieto è fondato sull’esigenza di garantire la massima tutela possibile agli alti interessi in gioco nell’ambito del diritto di famiglia. Si è rilevato che la valutazione della sussistenza del conflitto di interessi, nelle contr0versi in materia di famiglia, è in re ipsa, senza necessità d’indagine, e ciò «a prescindere se il conflitto è reale o solo potenziale» (cfr Cass. Civ. Sez. Unite, sentenza 10/01/2006 n. 134).

Per quanto evidenziato, pertanto, si ritiene che sussista nel caso di specie il divieto di cui all’art. 68 comma 4 CDF, nella sua accezione più ampia delineata dalla giurisprudenza disciplinare del CNF e dalla giurisprudenza di legittimità. Ciò comporterà l’obbligo d’astensione alla rappresentanza della moglie nel procedimento giudiziale di separazione personale dei coniugi, appalesandosi necessariamente interessi confliggenti fra i medesimi.


Con riguardo alla seconda questione, si ritiene di poter affermare che la Collega possa chiedere ad entrambi i coniugi il pagamento dei compensi per l’attività professionale svolta in loro favore, commisurata alla prestazione effettivamente eseguita, come descritta nella richiesta di parere.

Il Consiglio, all’esito, ringrazia il Consigliere avv. Tonini per il riferimento, e delibera, con l’astensione del Consigliere avv. Antonio Spinzo, di rendere il parere nei termini di cui sopra.

2) Riferisce il Consigliere avv. Beatrice Belli che con richiesta pervenuta a mezzo mail in data 4.12.2015, un avv. espone al Consiglio il seguente quesito:

In occasione dell’inaugurazione dello Studio Legale si terrà un evento in collaborazione con una Galleria d’Arte Contemporanea che prevede l’esposizione, nelle sale dello studio, delle opere di alcuni Artisti.

Ci è stato chiesto di inserire la mostra fra gli eventi off di Set Up (SetUp+), l’evento parallelo ad Arte Fiera che si terrà a fine gennaio 2016.

Se aderissimo compariremmo nella comunicazione di Set Up, folder e sito internet, con la seguente dicitura:

Studio legale XY
avv. X – avv. Y
indirizzo dello studio
numero telefono
Nome Artisti, titolo mostra
La mostra sarà visitabile nei seguenti orari ___
dal ___ al ___
o, in alternativa
La mostra sarà visitabile nei seguenti orari ____
dal __ al___
previo appuntamento

Sono quindi a richiederVi preliminarmente se il Consiglio dell’Ordine ritiene che sussistano uno o più motivi per dover rinunciare all’iniziativa e, in caso contrario, se entrambe le diciture possano andare bene o se sia da preferirne una in particolare. 

Vi informo inoltre che lo Studio ha una pagina Facebook anche per individuare il luogo degli eventi da condividere anche sul social network.”


Non è un fatto nuovo che Professionisti, e fra questi spesso gli Avvocati, aprano le porte dello Studio, utilizzando i locali per ospitare opere d’arte, coltivando una passione parallela all’esercizio della professione.

Occorre verificare, nel caso esposto dalla Collega, se l’inserimento dell’iniziativa nel circuito ufficiale delle manifestazioni parallele ad “ArteFiera” in programma nei prossimi giorni del mese di gennaio 2016, nelle modalità come indicate nel quesito proposto, possa essere in contrasto con i principi che regolano la professione forense.

Primariamente si ritiene di dovere premettere che il presente parere viene reso dal Consiglio con esclusivo riferimento all’edizione Set Up (SetUp+) del gennaio 2016.

In merito al quesito, occorre verificare se l’allestimento di una mostra nei locali di uno studio legale e, soprattutto, la pubblicizzazione di tale mostra in modo da consentire ed incentivare l’accesso indiscriminato ed indeterminato di pubblico presso lo Studio, possa costituire una forma di accaparramento di clientela.

L’art. 37 – Divieto di accaparramento di clientela, del vigente Codice Deontologico Forense stabilisce:

  1. L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro.
  2. L’avvocato non deve offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o altri compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per l’ottenimento di incarichi professionali.
  3. Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi.
  4. E’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
  5. E’ altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare.
  6. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

Il CN.F. con la decisione n. 158 del 15.12.2006 (con riferimento al previgente Codice) ha chiarito che: “In tema di offerta di prestazioni  … deve ritenersi consentito fornire informazioni che offrano alla collettività la possibilità di conoscere l’esistenza di un professionista e la materia nella quale svolge con prevalenza la propria attività professionale, non è invece possibile dare notizia di particolari specializzazioni, non suffragate da titoli legittimamente conseguiti, né accedere ai mezzi di informazione a meri scopi pubblicitari finalizzati all’accaparramento di clientela. Va esclusa, pertanto, la violazione degli art. 17 e 18 c.d.f., nel caso in cui l’articolo di stampa contenga un semplice e del tutto generico richiamo all’esperienza maturata dall’incolpato nelle materie del diritto civile e commerciale, senza, pertanto, l’indicazione di una particolare “specializzazione”, né tanto meno dell’offerta di prestazioni professionali.“.

Come precisato più recentemente nella decisione n. 39 del 20.3.2014, inoltre “Le norme deontologiche relative alla pubblicità (art. 17 e 17 bis) [Codice previgente n.d.r.] devono essere lette ed interpretate nel quadro generale del contesto normativo in cui si sono inserite. Ne discende che la pubblicità informativa essendo consentita nei limiti fissati dal Codice Deontologico Forense, deve, dunque, essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica manifestazione dell’avvocato ed in particolare di quelle manifestazioni dirette alla clientela reale o potenziale. …omissis…

Il principio affermato dalla norma [art. 19 Codice previgente n.d.r.] si riferisce a tutte le condotte volte all’acquisizione di rapporti di clientela “con modi non conformi alla correttezza e decoro”, tra le quali possono certamente annoverarsi quelle consistenti nel divulgare informazioni sull’attività professionale con contenuti o modalità non consentite.

La pubblicità illecita e l’acquisizione di rapporti di clientela con modalità non consentite, hanno una ben distinta autonomia e concernono la salvaguardia di diversi valori, da una parte la veridicità e la trasparenza delle informazioni relative all’attività professionale, a garanzia degli utenti delle prestazioni di servizi legali, dall’altra la correttezza, la dignità ed il decoro dell’attività dell’avvocato, anche nei rapporti con i colleghi.“.

Alla luce dei principi sopra ricordati, per quanto qui interessa, dunque, si può affermare che l’utilizzo dei locali dello Studio come luogo per l’installazione di una mostra d’arte, anche nel contesto di una manifestazione pubblica e coincidente con l’inaugurazione della nuova sede dello Studio, sia consentita e non costituisca una forma illecita di pubblicità, né tanto meno di accaparramento di clientela, a fronte, però, della condotta dell’Avvocato che rispetti i limiti fissati dalla vigente normativa deontologica e si attenga ai principi di correttezza, dignità e decoro.

Se l’occasione della mostra nei locali dello studio costituisce anche eccezionale occasione di informazione circa l’attività dello studio, ciò sarà possibile solo ed esclusivamente a condizione che il contenuto delle informazioni e la condotta dell’Avvocato risultino conformi al contenuto dell’art. 35 del vigente Codice Deontologico.


Altro aspetto non secondario riguarda il contenuto dell’iniziativa.

La stessa deve essere finalizzata solo ed esclusivamente alla fruizione dei locali dello Studio per la visione delle opere d’arte che in essi vi vengano esposte, escludendosi qualsivoglia forma di attività imprenditoriale: non può, cioè essere offerta alcuna assistenza e/o consulenza, men che meno nell’ipotesi in cui le opere esposte siano anche messe in vendita (circostanza questa non evidenziata nel quesito posto). Si precisa che in tale ipotesi, è necessario che sia ben chiaro che ogni questione inerente l’eventuale acquisto delle opere deve far capo a soggetto estraneo e diverso dallo Studio e dai suoi componenti e collaboratori, ed essere trattata al di fuori dei locali dello Studio medesimo.

In conclusione non si ravvisano ragioni che possono impedire l’iniziativa proposta, purché avvenga e si svolga nel rispetto puntuale dei principi e delle norme sopra ricordate.


Quanto alla formula da utilizzare per la divulgazione della mostra:

  1. a) La mostra sarà visitabile nei seguenti orari ___ dal ___ al ___ 

ovvero

  1. b) La mostra sarà visitabile nei seguenti orari ____ dal __ al___ previo appuntamento

si ritiene che non competa a questo Consiglio indicare quella preferibile, poiché essa dipende dalle scelte organizzative e gestionali dello Studio, una volta appurato che sia possibile aprire i locali dello Studio ad una manifestazione artistica.

E’ però doveroso da parte del Consiglio rammentare che in occasione dell’accesso da parte del pubblico ai locali, si dovranno rispettare ed attuare tutte le precauzioni necessarie a garantire riservatezza e sicurezza in relazione al materiale presente nello studio medesimo ed inerente i rapporti con la Clientela di quest’ultimo (con riferimento in particolare a fascicoli, documentazione, corrispondenza, pc, ecc.) al fine di preservare tutte le informazioni in possesso dello Studio e relative ai rapporti ed agli incarichi professionali ricevuti.

In tal senso si ritiene doveroso raccomandare che l’accesso ai locali dello Studio non avvenga in modo indiscriminato in tutti gli ambienti che lo compongono, che sia il più possibile controllato e, soprattutto, non interferisca con la normale attività professionale, sempre per la salvaguardia dei principi di riservatezza e segretezza.

Si ribadisce ancora che quanto sopra è riferito all’evento programmato per l’edizione 2016 di Arte Fiera.

Il Consiglio, all’esito, ringrazia il Consigliere avv. Beatrice Belli per il riferimento e delibera a maggioranza di rendere il parere nei termini di cui sopra, riconoscendo efficacia immediata alla stessa.


 

[1] Art.68 comma 6 c.d.f. «La violazione dei divieti di cui ai commi 1 e 4 comporta l’applicazione delle sanzioni disciplinari della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. La violazione dei doveri e dei divieti di cui ai commi 2, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni».

[2] Cfr Remo Danovi «Il nuovo codice deontologico forense- Commentario», art. 68 c.d.f. pag. 412, Giuffrè Editore 2014.

[3] Nella pratica, si tratta di situazioni abbastanza frequenti, oggetto di numerose decisioni disciplinari, Si pensi ai seguenti casi: a) la convocazione dell’altra parte per invitarla a consentire ad una proposta di separazione personale, se non si limita ad una mera comunicazione della volontà del cliente, integra una prestazione di assistenza congiunta, con la conseguenza che successivamente, una volta separati i coniugi, il legale che assista la moglie contro il marito, in un procedimento di modifica delle condizioni ex art 710 c.p.c., incorre nella violazione di cui al disposto in esame (prima ex art. 51 cdf), con conseguente riconoscimento della responsabilità deontologica (CNF sentenza 13/03/2013 n. 35); b)l’assistenza congiunta dei coniugi in sede di separazione consensuale integra la violazione di cui al disposto ex art, 51 CDF (ora ex art. 68 comma 4) laddove il legale abbia successivamente promosso ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio contro l’altro coniuge(CNF 14/07/2012 n. 149); c) Il disposto dell’art. 24 comma 5 recita ”il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano parteci di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale”. Anche la mera condivisione dei locali dello studio osta, pertanto, all’assunzione di incarichi per conto di soggetti che siano stati, in passato, assistiti dal collega con il quale sussista un legame di tale natura. (CNF 22/05/2013 n. 56).

[4] Sul punto, cfr sentenza CNF 23/07/2013 n. 137, ove si afferma che l’assistenza congiunta in una controversia familiare, fornita anche in assenza di formale procura alle liti, nell’ipotesi di assistenza dei coniugi in sede di udienza presidenziale, integra il conseguente divieto di assistere una parte contro l’altra in controversie successive fra le medesime.

[5] Cfr Cass. Civ. Sez. Un. N. 8057/2014: «Ai fini della configurabilità dell’illecito di assunzione di incarichi contro una parte assistita, non importa stabilire se sussista o meno la prova del conferimento formale del mandato o dell’assolvimento di un’attività di consulenza, quanto piuttosto se l’avvocato abbia svolto un’attività di assistenza, anche solo formale».

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