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Gli avvocati di Bologna in visita a Cracovia e ad Auschwitz

Il viaggio ad Auschwitz e Birkenau organizzato dal nostro Ordine per le giornate del 23 – 25 febbraio 2017 non poteva che suscitare emozioni intense. La visita di luoghi eletti a simbolo dell’umana sofferenza è un’esperienza complessa sotto il profilo nervoso ed anche psicologico. Tutti i partecipanti la spedizione del nostro Ordine sono stati provati emotivamente da questa visita, ma sono rientrati certamente arricchiti nello spirito. L’avv. Maria Gloria Basco, che partecipava alla comitiva, ci ha voluto trasmettere le sue emozioni con questo suo personale ricordo della trasferta.


“Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio” (Elie Wiesel, La notte)

“Fra la croce e la sofferenza umana si trova, ai miei occhi, la chiave di quel mistero insondabile dove si è perduta la sua fede di bambino? Eppure Sion è risorta dai crematori e dai carnai. La nazione ebraica è risuscitata da questi milioni di morti. E’ per essi che vive di nuovo. Noi non conosciamo il prezzo di una sola goccia di sangue, di una sola lacrima. Tutto è grazia. Se l’Eterno è l’Eterno, l’ultima parola per ciascuno di noi gli appartiene. Ecco ciò che avrei dovuto dire al ragazzo ebreo” (F. Mauriac, prefazione a La notte).

“Son morto con altri cento, son morto ch’ero bambino: passato per il camino, e adesso sono nel vento” (F. Guccini)

“Cristo, pensoso palpito, perché la Tua bontà s’è tanto allontanata?” (Ungaretti, Il dolore)

La circolare n.13/2017 del nostro presidente, informava che il COA di Bologna organizzava un viaggio a Cracovia e al museo di Auschwitz dal 23 al 25 febbraio.

Mi sono iscritta senza chiedermi e senza sapere chi vi avrebbe partecipato.
Io volevo andare a Auschwitz per una esigenza che nacque lontana, quando ne sentivo parlare la sera in famiglia.

Io sono coetanea delle deportazioni e dello sterminio, sono nata nel 1943.
Non era nata la televisione quando ero bambina e la generazione che aveva preceduto la mia si raccoglieva la sera dopo la cena per liberarsi ognuno di un ricordo, di un dolore, “della guerra”. Io ascoltavo e la mia fantasia costruiva immagini.
Poi ci sono stati i libri, i saggi, i film, le musiche, i documentari, le interviste.

Fino alla circolare n.13 del 23.01.2017. Giovedì mattina, 23 febbraio, i partecipanti si sono ritrovati in aeroporto. Mi sono guardata intorno, tutti più o meno dell’età dei miei figli e pure un nutrito gruppetto di giovanissimi. L’imbarco senza problemi e senza ritardi, siamo atterrati a Cracovia alle 11 e qualcosa. Ad attenderci l’autista che con il suo bus ci avrebbe accompagnato in ogni spostamento. Per farsi riconoscere aveva nelle mani un foglio A4 con il logo del COA. Sul bus c’era la bandierina dell’Italia. Mi sentivo “in famiglia”. Tristissimo, ai miei occhi, il percorso dall’aeroporto all’albergo: costruzioni allineate, grigie, cupe, uguali, impersonali.

Goloso l’arrivo in albergo dove trionfavano vassoi di bomboloni a ricordarci il giovedì grasso.
Ognuno libero fino alla mattina seguente, volevo riposare. Volevo raccogliermi, volevo preservarmi. Ero emozionata, i sentimenti si facevano vieppiu insistenti, profondi, esigenti. Ero lì per il giorno dopo ma mi vinse l’irrequietezza della curiosità. Ero a Cracovia, perché restare in quella stanza?
La sindrome di Sthendal, a me ben nota, mi sopraffece. Mi ritrovai a gironzolare per il maestoso e regale centro storico di Cracovia. Mi ritrovai nel quartiere ebraico pomposamente accomodata in un cocchio bianco trainato da due cavalli bianchi e guidato da una coppia ornata di piume, pennacchi e panni colorati.

Avevo contrattato costo e percorso e rispettarono le condizioni.
I miei compagni si erano diretti in massima parte verso il Castello di Wavel dove è custodita la dama con l’ermellino ma non riuscirono ad ammirarla perché la vendita dei biglietti era terminata un paio di ore prima che raggiungessero il castello.

Da quanto poi raccontarono, anche loro si erano diretti alla conoscenza della città vecchia e ne avevano tratto piacere. Il mattino seguente, destinazione: Oswiecim. Durante il tragitto in bus, venne proiettato un documentario che anticipava quello che stavamo per vedere e ascoltare.

All’ingresso del campo di concentramento Auschwitz 1 ci dividemmo in due gruppi, ognuno con una guida polacca parlante italiano. C’era molto vento quella mattina a Oswiecim. Credo che come il mio, lo sguardo di ognuno si sia posato, per primo, sulla scritta beffarda “Arbeit macht frei” L’avevo immaginata molto più grande. Auschwitz 1 è geometricamente delimitato dalle “baracche” e per questo la vista si fissa su uno spazio contenibile.
Le baracche espongono, ognuna, quel che è rimasto a prova della ferocia umana.
Vari gruppi di visitatori entravano insieme ma regnava il silenzio nonostante il numero delle persone e le spiegazioni delle guide.
Io sentivo il silenzio.
Avrei potuto chiedere aiuto ai pensieri noti o meno noti di letterati come Levi, Mauriac, Wiesel, Ungaretti ma fu Guccini il più crudo e il più tenero a inchiodarmi con i suoi bambini passati attraverso i camini e rimasti nel vento. Si, in quel luogo dove l’orrore non trova qualifiche, volano davvero e voleranno in eterno i bambini nel vento.

Le loro madri consegnarono ai carnefici i loro capelli, le loro scarpe, il loro grembo; i loro padri consegnarono la loro barba, i loro progetti, le loro menti. Donne e uomini consegnarono con la vita una dignità rimasta intatta nello sguardo. (Bisogna fermarsi su quegli sguardi: fieri e diretti dal più profondo niente).
Ma i bambini!
I bambini, più di tutti,consegnarono al mondo la terribile domanda: “Dove era Dio?” Alla quale ognuno dà, in ogni tempo, la propria risposta.

Qualche chilometro distante da Auschwitz, Birkenau: il vento soffiava forte e gelido. Qui lo spazio non ha confini, è lacerante e infinito. Birkenau vuol dire campo delle betulle. Gli spogli alberi, in questo periodo,somigliano più alle forche disseminate nel campo che alle betulle.
A Birkenau non si può andare oltre, la mente non può contenere. Ma il respiro arriva dal vento, dai bambini che giocano nel vento con i loro aquiloni, dai bambini, angeli purificati e custodi che non lasceranno mai di consolarci quando andremo a salutarli ogni volta.
Eschilo intuì il Mathos pathei come catarsi: la saggia consapevole conoscenza attraverso il dolore. Ebbene, a me è successo di aver placato l’indignazione verso i carnefici con la tenerezza e la pace che mi hanno trasmesso quei martiri, santi nell’eternità. Ho saputo che avevo avuto il bisogno di andare ad abbracciarli tutti insieme e, questo, mi ha messo pace senza tristezza.

Ognuno di noi è tornato a Cracovia con il suo carico di emozioni, commozioni, riflessioni. In quel rientro in bus, dopo la visita ai lager, regnava fra noi una sensibile comunione. Le amicizie consolidate, le conoscenze approfondite dalla comune lacerante esperienza.

Il mattino seguente era ancora notte quando abbiamo lasciato la Polonia, arricchiti da nuove relazioni, rafforzati nei sentimenti, meglio indirizzati alla conoscenza.
A Cracovia scendeva la neve.

Maria Gloria Basco

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Maria Gloria Basco