Speciale referendum 2022

Aspettando i referendum sulla Giustizia

Come è noto, a seguito del vaglio di ammissibilità della Corte Costituzionale, il 12 giugno 2022 si svolgeranno cinque referendum abrogativi sulla giustizia, in concomitanza con le elezioni amministrative che interessano 981 comuni, di cui 26 capoluoghi di regione e provincia. La concomitanza con il turno elettorale può favorire il raggiungimento del quorum necessario per la validità del voto referendario ex art. 75 co. 3 Cost., e cioè la partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto e la maggioranza dei voti validi dei votanti.

Da sempre, ma non sempre, l’istituto referendario, come strumento di democrazia diretta, ha fatto fatica a trovare una sua collocazione nella vita politica del paese, anche per la difficoltà dei cittadini di comprendere il significato tecnico-giuridico dei quesiti e la non sempre puntuale informazione fornita dai mass media.

La Corte costituzionale ha invece dichiarato inammissibile il quesito relativo alla responsabilità diretta dei magistrati per errori compiuti nell’esercizio della loro attività, tema molto sentito non solo dai promotori dei referendum, Lega e Partito Radicale, ma soprattutto dai cittadini che si erano già espressi con chiarezza l’8 novembre 1987 quando analogo quesito riportò l’80% dei consensi.

Successivamente il Parlamento ha varato la legge n. 117/1988 “Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”, nota come legge “Vassalli”, che prevede non una diretta responsabilità del magistrato, ma quello dello Stato, con possibilità di rivalersi poi sul magistrato nella misura di un terzo dello stipendio annuale.

Sul punto ad oggi nulla è cambiato.

I quesiti referendari riguardano:

  1. L’elezione al CSM Consiglio superiore della magistratura, organo di autogoverno dei magistrati, composto per due terzi da magistrati eletti. Il quesito riguarda l’abrogazione della necessaria raccolta di un certo numero di firme (da 25 a 50) da parte del magistrato che vuole candidarsi. Secondo i proponenti ciò comporta la necessità di addivenire a patti con le correnti associative della magistratura, a discapito di competenza e professionalità di chi verrà scelto.
    Il tema, che ha incontrato un crescente interesse a seguito in particolare della vicenda dell’ex giudice Palamara e delle sue rivelazioni sui meccanismi correntizi di scelta dei magistrati, potrebbe essere risolto in anticipo in sede legislativa, a seguito di presentazione di disegno di legge delega n. 2681 oggetto di attuale dibattito politico e parlamentare.
  2. Altro quesito che forse non vedrà il voto alle urne se venisse disciplinato in sede legislativa è quello relativo alla valutazione dei magistrati in sede di Consiglio giudiziario anche da parte dei rappresentanti dell’Università e dell’Avvocatura, oltre a quella dei magistrati, in rappresentanza della componente laica del CSM.
    Si tratterebbe di una innovazione importante, perché consentirebbe, sotto altro profilo, di monitorare l’andamento in concreto dell’attività giudiziaria, nell’ottica non certamente di un pericoloso controllo dei singoli componenti togati, ma per valorizzare un principio di responsabilità che deve valere per tutte le categorie e professioni. Al momento però la previsione normativa non ha carattere precettivo e si tratta quindi di seguire il cammino della legge delega attualmente in commissione referente.
  3. Terzo quesito, anche questo dal destino incerto, ma di importanza vitale per la riforma della giustizia è quello relativo alla distinzione definitiva tra la funzione giudicante e requirente, al fine di consolidare la terzietà effettiva della giurisdizione ed eliminando il meccanismo delle cd. “porte girevoli”, che consentono, sia pure oggi con qualche limite, il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa.
    La separazione delle carriere è peraltro una delle battaglie storiche dell’Unione delle Camere penali e mira a rendere effettiva la parità tra accusa e difesa sancito dall’art. 111 Cost., come vuole il processo di stampo accusatorio introdotto nel 1989 nel nostro sistema e mai compiutamente realizzato, evitando commistioni di ruoli che possono pregiudicare l’equidistanza del giudice dalle parti.
    Si tratta di una riforma forse tra le più invise alla magistratura (ma non a tutti), demonizzata con il rischio paventato di una minaccia all’autonomia della magistratura, che così verrebbe ad essere sottoposto al potere esecutivo.
    Questo rischio, è bene ribadirlo, non esiste, ed anzi ormai è comune sentire che la separazione possa solo avvantaggiare il ruolo e l’indipendenza della magistratura giudicante e il ruolo dell’avvocatura nella difesa dei diritti delle persone coinvolte nel processo penale.
    Al momento i passaggi possibili sono quattro, che verrebbero cancellati da un eventuale esito positivo del voto in senso abrogativo, mentre la previsione in DDL è di un unico passaggio tra le funzioni, con immediata portata precettiva.
  4. Il referendum riguarda anche il tema delicato della custodia cautelare, nel senso che il quesito proposto vuole limitare l’uso della carcerazione durante il giudizio prima del riconoscimento definitivo della colpevolezza ed evitare l’annoso problema delle ingiuste detenzioni (solo nel 2020 sono state 750 con grave danno anche economico per lo Stato che deve riconoscere l’indennizzo). Su questo tema non è previsto alcuna riforma in sede parlamentare.
    L’Italia continua ad avere un alto tasso di carcerizzazione di persone in custodia cautelare, circa il 31% della popolazione detenuta, un detenuto su tre.
    In caso di vittoria del si verrebbe meno la possibilità di applicare la custodia cautelare in ragione di una “possibile reiterazione del reato”, ad eccezione dei reati di particolare gravità come quelli descritti nella prima parte della lett. c dell’art.274 cpp. come delitti di criminalità organizzata, contro l’ordine costituzionale oppure con uso di armi, ecc., mentre sarebbe sempre possibile nel caso che ricorrano gravi indizi di reato e il pericolo di fuga o di inquinamento probatorio.
    Non corrisponde a verità quindi il tentativo di delegittimare il quesito con una presunta impossibilità di impedire la commissione di reati, essendo circoscritta l’abrogazione della norma e consentendo l’applicazione della custodia cautelare estrema nei casi di maggior allarme sociale durate il processo.
  5. Il quinto quesito referendario riguarda la legge Severino, che prevede la incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi a norma dell’art .2 comma 63 legge 190/2012. Prevede altresì la sospensione di chi eletto venga successivamente condannato con sentenza anche non definitiva.
    Trattasi del quesito forse meno comprensibile dai cittadini, ma che mira ad evitare rigidi automatismi e, in particolare, per la efficacia retroattiva della normativa, che vengano sospesi dalle funzioni soprattutto amministratori locali (come è successo in passato), poi nel tempo assolti ma ormai irrimediabilmente danneggiati.
    Neppure per questo quesito è prevista alcuna modifica normativa in sede legislativa.

Dunque, è possibile che a fronte dell’iniziativa legislativa volta a superare la necessità di almeno due dei cinque quesiti referendari, si riduca la portata degli stessi.

Un autorevole commentatore come il prof. Sabino Cassese, sul  “Corriere della Sera”, ha  in questi giorni definito le riforme sulla giustizia in cantiere (parlamentare), comprensive di quelle relative alla separazione delle funzioni e alla riforma dell’ordinamento giudiziario nel suo complesso in modo comunque positivo perché , in ogni caso, si è avviato un progetto riformatore che pone al centro questioni concrete, come l’aumento della efficienza, la riduzione del carico processuale, una diversa valutazione della professionalità dei magistrati, ecc. .

Ciò è indubbio, ma non si può non notare come le proposte del Parlamento relative al sistema elettorale del CSM potrebbero non essere in totale sintonia con il quesito per cui sono state raccolte le firme dei cittadini e si sono spesi nella presentazione i Consigli regionali proponenti. Stesso ragionamento vale per il tema della separazione delle funzioni tra magistratura giudicante e requirente. Ancora una volta, forse, gli strumenti di democrazia diretta serviranno più come spinta alle riforme concordate in sede di politica legislativa che a dar parola ai cittadini sui quesiti ammessi dalla Corte costituzionale.

Avv. Bruno Desi

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