Il Foro in pratica

Green Pass e studi legali

Come noto, il protrarsi della situazione emergenziale connessa all’epidemia di contagio da Covid-19, ha indotto il legislatore ad adottare nuove previsioni normative, finalizzate al contenimento dello stesso.

Se, nella prima  fase dell’epidemia, si era tentato di arginare i contagi prevedendo un sistema di limitazione degli spostamenti, si è ora deciso (con il D.L. 52/2021, convertito dalla L. 87/2021 e successive modificazioni e, per quanto di più specifico oggi ci interessa, il D.L. 127/2021), nell’ottica di poter assumere provvedimenti ontologicamente compatibili con una ripresa delle attività produttive, di subordinare l’accesso ad alcuni luoghi e servizi alla dimostrazione da parte degli utenti del possesso della c.d. “certificazione verde”.

Si tratta, come noto, di un documento che viene rilasciato a soggetti che possiedano determinati requisiti e, nello specifico: l’avere ricevuto la somministrazione della prima dose del vaccino (con un efficacia nel lasso temporale intercorrente tra il quindicesimo giorno dopo la somministrazione e sino alla data prevista per la somministrazione della seconda);  l’avere ricevuto la somministrazione di due dosi di vaccino; l’avere ricevuto la somministrazione di una sola dose di vaccino a seguito di una precedente infezione da Covid-19; essere guarito da una infezione da Covid; essersi sottoposto ad un tampone antigenico rapido o molecolare risultato negativo.

L’arco temporale originariamente previsto per la vigenza della normativa era stato individuato nel periodo 15 ottobre 2021 – 31 dicembre 2021 ma, stante il perdurare della situazione emergenziale, è altamente probabile che l’efficacia delle previsioni venga ulteriormente prorogata (al momento in cui scriviamo, si parla di una nuova scadenza al 31.3.2022.

Per quel che interessa nella presente trattazione tra i luoghi nei quali l’accesso è subordinato al possesso del green pass rientrano anche (art.3 D.L. 127/2021) i luoghi di lavoro privato.

Posta l’indubitabile possibilità di qualificare come tali gli studi professionali diviene necessario comprendere quali, tra i soggetti che abitualmente li frequentano, siano i destinatari di tale previsione normativa.

Una risposta a tale quesito è rinvenibile nel disposto di cui al comma 2 dell’articolo 3 del D.L. 127/2021 che così prevede: “La disposizione di cui al comma 1 si applica altresì a tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione, anche in qualità di discenti, o di volontariato nei luoghi di cui al comma 1, anche sulla base di contratti esterni”.

Dalla lettura della norma sopra riportata risulta agevole desumere come il discrimen rispetto al quale si è determinato l’obbligo ai fini dell’accesso ai luoghi […], di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19 (art.3, comma 1 del D.L. 127/2021) sia quello dello svolgimento di una attività lavorativa (o di formazione), a qualsiasi titolo prestata.

Così, volendo tradurre nella pratica la portata della previsione sopra citata, saranno onerati di possedere e mostrare la certificazione: collaboratori, praticanti, dipendenti, personale delle pulizie (sia direttamente dipendente, sia operante in forza di contratto con soggetto terzo, ad es. appalto di servizi), artigiani (ancorché, ovviamente, liberi professionisti) e fornitori.

Al contempo, invece, tale onere non ricadrà sui clienti.

Parafrasando le previsioni sopra citate, nell’ottica di fornire, per quanto possibile, un taglio pratico al presente contributo, è quindi possibile affermare che qualora l’avvocato all’interno del proprio studio legale indica una riunione con un cliente, con un ipotetico collega di altro studio che con lui segua la pratica, e con un consulente tecnico, la certificazione verde dovrà essere richiesta, al momento dell’accesso, al secondo e al terzo, ma non al primo.

Si ritiene ora utile una sintetica disamina relativa alle conseguenze dell’omessa esibizione della certificazione da parte dei soggetti che, alla luce della normativa sopra citata, risultino a ciò obbligati.

Dal momento che, come noto, la ratio della norma è quella di garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro, tentando di limitare il rischio di contagio da Covid-19, risulta ben comprensibile come la mancata esibizione della certificazione non possa che determinare il divieto di accesso dei soggetti tenuti al possesso della stessa.

Se una tale previsione non pare comportare criticità per la maggior parte dei soggetti elencati nei paragrafi precedenti, appare invece opportuno richiamare le previsioni normative dettate per i dipendenti dell’avvocato (o dello studio professionale) che risultino privi della certificazione richiesta.

Fermo restando il divieto di accesso sul luogo di lavoro, il dipendente che risulti sprovvisto (o ometta di esibire) della certificazione, sarà da ritenersi assente ingiustificato (e quindi privo del diritto alla retribuzione), pur mantenendo il diritto alla conservazione del posto di lavoro e non potendo per tale condotta essere oggetto di procedimento disciplinare.

Al fine di poter garantire la continuità della propria attività, l’avvocato il cui dipendente risulti privo di certificazione verde (o ne rifiuti l’esibizione), dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata potrà sostituire il dipendente per un periodo massimo di dieci giorni, rinnovabili al massimo per altri dieci, in caso di perdurante assenza del dipendente.

In caso di violazione delle previsioni normative sopra indicate risultano comminabili, tanto al lavoratore dipendente, quanto al datore di lavoro sanzioni amministrative pecuniarie. Inoltre, il dipendente che in spregio delle normative acceda al luogo di lavoro privo della certificazione, può essere oggetto di procedimento disciplinare.

Ciò premesso, è rilevante rammentare come, in ogni caso, il datore di lavoro risulti gravato del dovere di fornire al personale dipendente (ma, in generale, a tutti quanti accedano, nel caso specifico, allo studio professionale e abbiano il dovere di possesso ed esibizione della certificazione verde) ogni opportuna informazione in relazione alle procedure per la verifica dei requisiti di accesso.

Tale previsione risulta determinante sotto un duplice aspetto: in primo luogo, una corretta informativa rispetto alle norme comportamentali richieste risulta presupposto indefettibile per la legittima attivazione di ogni procedimento disciplinare originato dalla violazione delle stesse, ed in secondo luogo (ma non meno importante) perché grazie a tale attività il datore di lavoro potrà dimostrare di avere effettivamente adempiuto all’obbligo sullo stesso incombente ai sensi dell’articolo 2087 del Codice civile, in forza del quale lo stesso è onerato di tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro.

Una tale informativa risponde, infatti, sia a quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 3 del già citato D.L. 127/2021: “I datori di lavoro di cui al comma 1 definiscono, entro il 15 ottobre 2021, le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche”, ma anche, a ben vedere, e più in generale alla previsione di cui all’art. 36 del d.lgs 81/2008 che così prevede: “Il datore di lavoro provvede affinché’ ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione: sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività della impresa in generale […] sui rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;

Nel caso specifico, una tale informativa, oltre ad un sintetico richiamo normativo, dovrebbe opportunamente concentrarsi sull’indicazione dei soggetti concretamente tenuti al possesso e all’esibizione della certificazione, sulle concrete modalità di controllo attuate e sulla indicazione degli eventuali soggetti a ciò delegati dal datore di lavoro, nonché sulle possibili conseguenze del mancato possesso della certificazione e/o della elusione alla normativa.

Inoltre, poiché il controllo della Certificazione seppur incidentalmente, comporta il trattamento di dati personali del soggetto a cui si richiede l’esibizione, dovrà essere redatta da parte del datore di lavoro opportuna informativa (ai sensi dell’art. 13 del Gdpr) con la quale specificare qualità e modalità del trattamento.

Ovviamente tale informativa dovrà essere predisposta tanto per il personale assoggettato a controllo continuativo (dipendenti, collaboratori…) quanto a chi venga episodicamente richiesta la certificazione (artigiani, colleghi, liberi professionisti…).

In conclusione, è bene rammentare che qualora il datore di lavoro optasse per l’individuazione di un soggetto dallo stesso delegato al fine di effettuare la verifica del possesso della certificazione, tale designazione dovrebbe essere effettuata con atto formale.

Si è inteso con questo sintetico scritto, senza alcune pretesa di esaustività, fornire alcune indicazioni pratiche finalizzate al rispetto della normativa relativa alla verifica della certificazione verde negli studi legali, si evidenzia come le recenti modifiche normative che hanno introdotto la figura del c.d. “super green pass”, o anche “certificazione rafforzata” non appaiano allo stato incidere su quanto sopra riportato.

Jacopo Mannini

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Jacopo Mannini