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Dall’urgenza all’emergenza: esigenze, aspettative e criticità dei giovani avvocati bolognesi in epoca Covid

L’avvento della pandemia ha segnato uno spartiacque temporale nella time-line della storia dell’uomo. Ad un anno di distanza si può oramai ritenere assodata l’esistenza di un’era pre e post Covid. La terminologia stessa a mezzo della quale si svolge la narrazione attuale ha subìto una forte mutazione (ex multis, sovvertendo il significato arcaico e antropologico del binomio positivo-negativo).

Ma, ciò che più rileva anche ai fini del presente scritto, riguarda principalmente un cambio di status repentino avvenuto in un sistema già fiaccato ab origine: il passaggio dall’era dell’urgenza a quella dell’emergenza.

Per capire appieno il saltum terminologico, è necessario ricorrere all’ambito che più, in questi mesi, è stato oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica: la sanità. I concetti di urgenza ed emergenza differiscono tra loro in maniera significativa: il criterio distintivo tra le due fattispecie è dato, essenzialmente, dai tempi di intervento i quali vanno definiti dai sanitari a fronte di una valutazione tecnica della gravità. Nello specifico, si parla di situazione di urgenza quando non sussiste l’immediato pericolo di vita, pur necessitandosi un opportuno intervento terapeutico in tempi brevi; d’altro canto, si parla di situazione di emergenza quando la condizione clinica del paziente è tale da richiedere un intervento di tipo immediato e tempestivo, senza alcuna possibilità di differimento. Volendo operare un parallelismo tra il piano sanitario e quello giuridico, si può certamente affermare che lo stato d’urgenza (e necessità) abbia pervaso la tecnica legislativa italiana degli ultimi 40 anni. Si potrebbe concludere, dunque, che il paziente Italia già in era pre-Covid fosse affetto da gravi patologie pregresse.

Il salto qualitativo dallo status di urgenza a quello di emergenza è stato caratterizzato, e lo è tuttora, da una fase di accentramento e concentrazione del potere di intervento in capo al Governo, pur facendo leva sui medesimi strumenti legislativi e amministrativi già ampiamente codificati. In altri termini, pur nell’invarianza dei mezzi previsti ex lege in casi straordinari di necessità e urgenza, si è proceduto ad una compressione senza precedenti dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, stante la necessità di porre in atto un intervento di tipo immediato, tempestivo, indifferibile e, quindi, emergenziale. Sebbene la consapevolezza della fragilità del momento abbia in un certo qual modo intorpidito quel sistema di controlli ex post corroborante la teoria dei pesi e contrappesi costituzionali, non mancano le prime avvisaglie di un risveglio collettivo sul quale la categoria forense in primis è chiamata a vigilare. In un paese dove il carattere dell’urgenza è divenuto esso stesso elemento di normalità e stabilità, è più che mai necessario adoperarsi a tutti i livelli affinché questa emergenza possa e debba essere gestita all’insegna di un ritorno al rispetto dei princìpi fondamentali nel più beve tempo possibile.

Premesso, dunque, che l’avvento della pandemia non abbia fatto altro che acuire una situazione già ampiamente deficitaria, si vuole ora offrire uno spunto di riflessione su due temi di particolare interesse per le esigenze e le aspettative della giovane classe forense bolognese.

Chiunque abbia frequentato nell’ultimo anno i palazzi di Giustizia della Turrita non può non aver colto un senso di malessere generale in ordine ad un’esigenza su tutte: la mancanza di spazio. Bologna, la Dotta, fu costruita secondo i parametri del genio romano: una maglia quadrata reticolare di cardi e decumani. Al centro di questi fu posta la Centuria urbana, fra il Savena e il Reno. Tra i sette Cardi e nove Decumani si crea un ordito viario fatto di strade, vicoli, vicoletti, piazze e piazzette. Tra esse è nata ed ha proliferato la scuola bolognese dei glossatori e la sua fama mondiale di centro del sapere giuridico. A distanza di circa un millennio, la Legge continua ad essere studiata ed amministrata pressoché nei medesimi luoghi. Sebbene il fascino storico di tali luoghi sia fuor di dubbio, già nell’era pre-Covid la dislocazione delle varie sedi poneva più di una perplessità; a ciò si deve aggiungere il dato più preoccupante: la maggior parte di queste strutture era già gravemente deficitaria di spazio al suo interno, essendo esse state edificate per altri scopi. Ebbene, in tempo di emergenza, si è (ri) scoperto che l’idoneità degli spazi di lavoro deve essere un imperativo categorico. Non è più ammissibile e giustificabile eludere questo problema poiché esso porta con sé notevoli conseguenze sul piano sanitario, di efficienza della macchina della giustizia e di lotta al cambiamento climatico. La vetustà degli edifici, pur nel loro incrollabile fascino tipico bolognese, ha messo in crisi l’intero sistema. Una giustizia moderna deve poter contare su strutture logistiche pensate e create ad hoc, orientate alla sostenibilità ambientale e all’evoluzione dei processi di digitalizzazione. Bisognerebbe avere il coraggio di riconoscere che Bologna “la Dotta” non smette di essere tale fuori dalle “mura”. Lo spazio è un elemento essenziale, ineludibile ed indispensabile per la salute e per il benessere psicofisico delle persone.

Tale esigenza non può far altro che trasformarsi in una forte aspettativa nei confronti delle prossime scelte logistiche del Foro. Su questo tema, peraltro, grande interesse ha suscitato il questionario inoltrato a gennaio 2020 dal Comitato Pari Opportunità del Consiglio Giudiziario circa la possibilità di edificare asili nido presso i palazzi di Giustizia della città: un primo passo verso una nozione di “welfare-aziendale” che si auspica trovi concretezza nel futuro.

Oltre, dunque, il piano prettamente logistico, l’altro grande tema riguarda l’accessibilità immediata o mediata ai fondi europei. Il nuovo programma settennale 2021-2027 della Commissione europea rappresenta un’opportunità di crescita senza precedenti: transizione green e digitale guideranno i processi di trasformazione del lavoro nel prossimo futuro. Un innovativo approccio territoriale a tale tematica dovrebbe essere al centro del dibattito forense bolognese. La capacità di adattamento e riconversione degli studi legali sarà direttamente proporzionale al coinvolgimento della classe forense nel volano economico della progettazione europea.

Logistica e digitalizzazione, dunque, rappresentano i due assi portanti ai quali la giovane Avvocatura del Foro bolognese dovrebbe aspirare; sarebbe necessario affrontare e governare il processo trasformazionale in atto secondo un principio di resilienza innovativo, orientato a fugare qualsiasi tentazione di un ritorno al “prima”, quale via più celere per la strada verso la normalità.

È tempo di prendere atto che, nel futuro imminente, bisognerà porre le basi per l’avvento di un modello di Giustizia territoriale rinnovato nelle sue più profonde radici di cui i principali fautori e beneficiari saranno, in particolar modo, le giovani generazioni di Avvocati.

Costantino Petridis

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