Tra il serio e il faceto

Covigrafia

Covigrafia

Un lockdown, un cellulare, e l’amore per la fotografia.

Manuela Mazza ha iniziato a fotografare in tenera età, ha passato buona parte dell’adolescenza in una camera oscura, poi è diventata avvocato e, per ragioni di tempo, ha riposto in un cassetto la passione.

Complice l’età, il mutamento delle modalità di lavoro e la situazione personale, si è riavvicinata all’amore giovanile. Ha esposto i suoi lavori in numerose mostre personali e pubblicato un paio di libri di fotografia. [1]

A marzo 2020, chiusa, come tutti, in casa, ha iniziato a fotografare dalla finestra “le vite degli altri”. Ma i risultati che otteneva con la reflex non la soddisfacevano, quindi, ha tentato di divertirsi con il cellulare e, con non certo poco stupore, ha realizzato fotografie totalmente diverse, un gioco di luci e colori che l’hanno affascinata.

Così, sera dopo sera e notte dopo notte, ha stalkerato i vicini di casa, riprendendoli nella loro attività domestica, mostrando agli stessi (la comodità dei messaggini…) le opere che stava realizzando. Da quel momento, hanno tutti collaborato al progetto, accendendo e spegnendo luci della loro casa, alzando ed abbassando tapparelle, muovendosi, più o meno lentamente, mentre lei li riprendeva.

Da questi scatti, prima rubati e poi coadiuvati, è nato il libro “Covigrafia”, edito da Quinlan, con un’introduzione di Mauro Zanchi [2], della quale riporto alcuni passi.

In un’epoca massicciamente invasa dalle immagini figurative, dai video, dalla televisione, dalla pubblicità, dal cinema, cosa significa un ritorno all’astrazione? L’esperienza astratta è da intendere come una realtà «altra», diversa da quella dell’esperienza quotidiana, informata da tutta la tradizione figurativa e realistica, ma spinta oltre, come una proiezione di una necessità interiore? Lo storico dell’arte tedesco Wilhelm Worringer, in Astrazione e empatia (1908), pensa che nella preistoria le persone abbiano percepito la natura come un caos ostile, e che volendo approdare a una tranquillità interiore si rivolgessero all’astrazione come fosse un medium efficace per alleviare gli shock provocati dal caos del mondo.  L’astrazione è primordiale nelle arti di molte culture, di diverse latitudini nel mondo, e nei primi due decenni del XX secolo dell’Occidente è stata riscoperta, più che inventata. Franz Mark la definisce “seconda vista”…

La seconda vista è la propensione all’approccio astratto, inteso come un ulteriore modo di vedere la realtà; è connessa con un sistema aperto, con un altro linguaggio, con un dialogo ad ampio raggio tra reale, immagini astratte e fenomeni visivi. Ciò che percepiamo del reale è nella maggior parte dei casi una metafora della struttura della nostra esistenza e alcune volte è un contatto con la dimensione visionaria o psichedelica. Questa primitiva volontà di astrazione è presente anche nel nostro tempo? Ancora oggi le persone quando vivono periodi difficili proiettano la seconda vista sul mondo, riattivando quel meccanismo già presente in epoca preistorica in ambito tribale? …

A prescindere che la spinta all’astrazione possa essere il prodotto di una grande inquietudine interna ispirata alle persone dai fenomeni del mondo esterno, quando Nino Migliori mi ha mostrato le fotografie di Manuela, ho ricondotto subito questa serie al meccanismo della seconda vista. Le luci e i colori accesi, dinamizzati attraverso il brusco movimento, trascendono i soggetti reali fotografati. La serie ha un carattere psichedelico, nonostante non ci fosse l’intento dell’autrice a spingere le riprese del reale verso queste dimensioni visionarie. La paura molto spesso vira allo psichedelismo inconscio [3]. Gli scatti spostano l’attimo privilegiato verso altre derive. Il gesto prende il sopravvento e scardina il reale. E in questo gesto si apre la questione che conduce lo sguardo e la percezione in direzione di una visionarietà non completamente voluta. La perdita del controllo mi sembra un aspetto interessante legato a queste fotografie nate in un periodo complesso. E che poi ogni fruitore possa leggere le immagini come proiezioni nella sfera astratta è una delle molte possibilità interpretative. …

Attingiamo allora dal potere enigmatico di questa serie visionaria, leggendola anche come sequenza di immagini polisemiche, aperte a ulteriori altre connotazioni, che non mirano a riprodurre fedelmente la realtà ma cercano di esprimere idee e concetti che tendono alla dimensione astratta, a forme e a segni che in qualche modo trascendono anche la realtà quotidiana colpita da un virus pericoloso.

Mauro Zanchi

Il lavoro di Manuela tende ad esaltare la nostra categoria, spesso sottovalutata sotto il profilo personale o in taluni casi anche bistrattata, dimostrando che anche gli avvocati hanno cuore e fantasia e sanno esprimerli anche fuori dall’ambito professionale. [4]

Stefano Tirapani


[1] Mostre
2017 Segni di vita, Galleria d’arte del Caminetto, Bologna
2018 La danza delle gru, Galleria Fotografica Paoletti, Bologna
2018 Imago Fidei, Basilica di San Petronio, Bologna
2019 Lega menti, Galleria Fotografica Paoletti, Bologna

Pubblicazioni
2018 La danza delle gru, San Severino Marche (MC)
2019 Lega menti, Bologna

[2] Mauro Zanchi è critico d’arte, curatore e saggista. Dirige il museo temporaneo BACO (Base Arte Contemporanea Odierna), a Bergamo, dal 2011. Suoi saggi e testi critici sono apparsi in varie pubblicazioni edite, tra le altre, da Giunti, Silvana Editoriale, Electa, Mousse, CURA, Skinnerboox, Moretti & Vitali e Corriere della Sera. Scrive per Art e Dossier, Doppiozero e Atpdiary.

[3] È interessante riportare la testimonianza diretta di Manuela, volta a porre l’attenzione sul cambiamento da uno stato psichico a un altro, ovvero di un cambiamento dei colori negli scatti realizzati dopo il lockdown rispetto a quelli presenti nelle fotografie del periodo di forzato isolamento: “Nelle foto che sono state scattate dopo il lockdown non ho più ottenuto i medesimi colori, pur utilizzando sempre la stessa tecnica. Le foto risultano prive di rosso, di giallo e di blu, piattissime e caratterizzate da un indistinto color sabbia. Questo dipende da un inquinamento luminoso derivato dalle strade più illuminate e con più automobili in circolazione? O è spiegabile dal fatto che io non ho più bisogno di cercare di catturare i colori, così come, invece, sentivo la necessità in quei momenti grigi?”.

[4] Per informazioni sui lavori pubblicati, reperibili online su Amazon e Ibs, potete rivolgervi direttamente alla Collega.

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Stefano Tirapani