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Carcere di Bologna – Luci e ombre

Io ormai divido la gente in due categorie molto semplici: quelli che conoscono sulla pelle l’infamia di una carcerazione [preventiva] in un regime cosiddetto democratico, protratta all’infinito, protratta per anni; e quelli che non hanno la jattura di conoscerla

Enzo Tortora

I numeri

La casa Circondariale “Rocco D’Amato” di Bologna è l’Istituto di pena più grande della regione Emilia Romagna e conta 742 detenuti rispetto ad una capienza massima stabilita in 500 unità, a riprova dell’oggettiva problematica del sovraffollamento carcerario.

Il numero dei soggetti privati della libertà personale nell’istituto cittadino è di tutto rispetto in considerazione che a fine maggio 2021 erano presenti nelle carceri italiane 53.660 detenuti “stipati” in 231 luoghi di detenzione.

Questo dato fa emergere come vi sia stata una crescita costante della popolazione detenuta dal 2015 in poi, terminata nel mese di febbraio 2020, quando negli istituti di pena di tutta Italia c’erano oltre 61 mila detenuti. Questa diminuzione dei numeri totali non deve forviare, in quanto l’endemico sovraffollamento è un dato costante delle carceri Italiane che non fa che esasperare i problemi che attengono  coloro che sono  privati della  propria libertà personale.

Più del 50% dei detenuti è straniero e all’interno dell’istituto penitenziario sono state censite 53 nazionalità diverse, dato che porta intuitivamente a comprendere quanto possa essere difficile la convivenza di persone che provengono dalle più disparate aree geografiche.

Le camere di pernottamento

I 742 detenuti sono alloggiati in celle dove vengono ospitate prevalentemente due persone. Le camere detentive misurano 9,972 m quadrati comprensivi anche di tutti gli arredi della stanza, letti, sedie, tavolo, che riducono in maniera significativa lo spazio calpestabile dal singolo detenuto che si attesta intorno ai 3 metri quadrati.

I detenuti molto spesso cucinano all’interno del loro alloggio e ripongono i prodotti alimentari nel bagno, separato ma senza porta, di fatto; di conseguenza vivono in luoghi angusti e promiscui. Le docce sono situate all’esterno e il numero delle stesse risulta essere esiguo rispetto al numero dei detenuti che ne fruiscono.

Lavoro intramurario

Fuori dalla cella le cose non vanno meglio e troppo bassi sono i numeri dei detenuti che possono ambire ad una attività lavorativa.

Le risorse disponibili hanno consentito all’amministrazione penitenziaria di impiegare nei lavori domestici, in media, 140 detenuti al mese. Ogni detenuto quindi lavora circa un mese ogni tre, rimanendo di fatto del tutto inoccupato nella maggior parte del tempo che passa all’interno dell’istituto.

Se si prende in considerazione il lavoro intramurario alle dipendenze di terzi soggetti esterni al carcere, i numeri sono ancora più sconfortanti.

Sono 2 i detenuti assunti per il disassemblaggio RAEE (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), 14 sono occupati all’interno dell’officina meccanica “Fare impresa in Dozza”, 2 detenuti sono invece occupati all’interno del laboratorio sartoriale “Gomito a Gomito” e ancora 2 assunti dalla lavanderia “lavo&lavoro”, il tutto per un totale di 18 lavoratori assunti da terzi.

Questo sta ad indicare che l’80 % della popolazione detenuta non svolge nessuna attività lavorativa, nonostante le richieste di occupazione da parte dei detenuti coinvolga la quasi totalità dei soggetti ristretti.

Quotidianità

La giornata tipo del detenuto si concretizza nel trascorrere gran parte delle ore inattivi:

le celle sono chiuse dalle 20 alle 8:30, inoltre, i detenuti fruiscono di due ore di aria all’esterno dentro un cubo di cemento di trenta metri. Le attività a cui possono partecipare i detenuti non sono molte. E’ doveroso sottolineare lo sforzo dell’amministrazione penitenziaria che ha portato alla creazione di un percorso scolastico che va dall’alfabetizzazione al polo universitario, fiore all’occhiello dell’istituto Bolognese che vede, ogni anno, detenuti affrontare con entusiasmo il percorso che li porterà ad ottenere la laurea.

Oltre allo studio, il detenuto può svolgere attività sportive, tra cui degna di nota è quella della squadra di rugby, “Giallo Dozza” che mira, anche attraverso lo sport, a realizzare quanto stabilito dalla Costituzione: la rieducazione.

Tuttavia i detenuti che possono ambire alle attività trattamentali sono troppo pochi rispetto alla popolazione penitenziaria, che nella maggior parte dei casi, passa il proprio tempo inattivo, passeggiando nel corridoio delle varie sezioni.

Organizzazione interna

L’istituto bolognese è diviso sostanzialmente in due grandi categorie: l’area penale (dove scontano la pena i detenuti a seguito di sentenza passata in giudicato) e l’area giudiziale (detenuti in attesa di sentenza definitiva), nonché una sezione femminile. Il reparto penale e quello femminile sono suddivisi ciascuno in due sezioni, A e B. Il reparto giudiziario maschile si sviluppa su tre piani dell’edificio ed ognuno è composto da 4 sezioni:

  • al primo piano ci sono le sezioni 1 A, 1 B e 1 C dove si concentra la maggior parte della popolazione detenuta straniera. Ed in queste tre sezioni si riscontrano le maggiori situazioni di marginalità ed indigenza. Infatti, molti sono i detenuti tossicodipendenti o quelli senza nessun riferimento familiare esterno. Infine, al primo piano è collocata la sezione 1 D nella quale sono allocati detenuti della squadra di rugby e quelli iscritti ai corsi universitari
  • al secondo piano troviamo la sezione 2 A destinata ai detenuti definitivi con pene inferiori ai 5 anni. Invece, nelle sezioni B, C e D si trovano i detenuti misti, anche non definitivi
  • al terzo piano ci sono le sezioni di alta sicurezza.

Al piano terra dell’istituto vi è la sezione nuovi giunti e l’infermeria, mentre la sezione femminile si trova in un edificio separato ed è di questi giorni l’inaugurazione dell’asilo nido, rivolto a quelle madri che sono costrette a scontare la pena con figli in tenera età.

Area sanitaria

L’area sanitaria dell’istituto dal 1° aprile 2008 è divenuta di competenza del Servizio Sanitario Nazionale. L’iscrizione obbligatoria al SSN è prevista anche per gli stranieri detenuti i quali hanno stessa parità di trattamento indipendentemente dalla titolarità del permesso di soggiorno.

Il diritto alla salute è un diritto tutelato dalla Costituzione e dalle norme sovranazionali (Trattato ONU per il trattamento dei detenuti approvato il 30.08.1955 e ribadite dal Consiglio d’ Europa il 19.01.1973) e pertanto rientra tra i diritti inviolabili della persona.

In riferimento all’ordinamento interno, l’art. 11 dell’ordinamento penitenziario prevede che ogni Istituto sia dotato “di un servizio medico e servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche di cura e della salute dei detenuti e degli internati e che disponga almeno di uno specialista in psichiatria”

L’art. 11, inoltre, specifica quali sono le attività sanitarie all’interno dell’Istituto:

  • l’obbligo di visita all’ ingresso della struttura – il c.d. reparto nuovi giunti;
  • la discrezionalità di visita medica dei detenuti indipendentemente dalla richiesta;
  • l’adozione di misure per l’isolamento sanitario in caso di malattie contagiose (vedi caso Covid-19);
  • la previsione che, qualora gli interventi diagnostici terapeutici non possano essere effettuati all’interno dell’Istituto, è consentito il trasferimento del paziente detenuto in ospedale o in altro luogo esterno di cura.

In realtà, il reparto sanitario è quello che paga più di altri la mancanza endemica di personale e di fondi. Spesso il padiglione sanitario diviene un contenitore di disagio dove si mescolano soggetti con patologie fisiche a quelli con patologie psichiatriche che trovano nei farmaci l’unica forma di terapia possibile in mancanza di alternative idonee.

Area trattamentale

Solo i detenuti che hanno una condanna definitiva possono ambire sia al trattamento intramurario sia alla possibilità di accedere alle misure alternative.

A contrario, i detenuti in attesa di giudizio vivono, a volte per anni, in una sorta di limbo senza futuro e senza nessuna possibilità di pianificare un percorso riabilitativo.

Un ruolo fondamentale in questo percorso intramurario e riabilitativo è svolto dall’area trattamentale. Tuttavia, è doveroso sottolineare che all’interno dell’istituto gli educatori sono in sottorganico rispetto alle reali necessità della popolazione carceraria.

Infatti si contano solo 6 educatori effettivi in pianta organica a fronte dei 12 regolamentari.

Il compito principale degli educatori è quello di predisporre un programma trattamentale ed individualizzato attraverso il monitoraggio dei progressi del singolo detenuto, stabilendo i vari passaggi che lo porteranno, passando attraverso le misure alternative, alla libertà.

Percorso extramurario

Al Tribunale di Sorveglianza spetta il compito di decidere se il condannato ha sufficiente credito per autocontrollarsi e rispettare le regole della civile convivenza, avendo dato prova di essersi rieducato e di essere pronto ad inserirsi all’interno della collettività

Numerose sono le possibilità offerte dall’ordinamento penitenziario (legge Gozzini, Legge Simeone -Saraceno e successive modifiche) per ottenere percorsi alternativi alla detenzione.

Dalla meno restrittiva, prevista dall’art art.21 O.P., che disciplina la possibilità di lavorare all’esterno del carcere, all’affidamento in prova al servizio sociale che permette di scontare la pena con modalità prossime alla libertà, come anche la detenzione domiciliare.

La relazione sul singolo individuo elaborata dagli educatori dell’area trattamentale del carcere viene poi valutata da quella parte della magistratura che sta sulla sedia più scomoda di tutte: la magistratura di sorveglianza.

La sedia è scomoda da qualsiasi parte la si osservi: il detenuto spererà sempre che il suo giudice si convinca che lui in fondo è buono, è affidabile, è stato vittima di circostanze molto più grandi di lui, mentre la società civile – che siamo sempre tutti noi – sarà sempre pronta a pretendere la pelle di quel magistrato di sorveglianza che ha messo fuori l’orco, il criminale, il delinquente.

Il punto è che la legislazione penitenziaria è sostanzialmente una legislazione premiale.

Premiale ovvero l’opposto di penale. In carcere ci si va per scontare una pena, quindi poiché si è stati cattivi, ma ci si può uscire se si viene ritenuti meritevoli di essere premiati.

La patata è bollente. Molto.

Chi la maneggia cerca ovviamente di non scottarsi: il difensore, l’area trattamentale, la magistratura di sorveglianza, la direzione dell’istituto e tutte le persone che sono coinvolte in questo “mondo a parte”.

In realtà la possibilità per il detenuto di accedere a tali misure alternative e di scontare quindi la pena fuori dall’istituto ottiene risultati statisticamente confermati e confortanti: la recidiva nel reato che normalmente rappresenta circa il 70% dei soggetti condannati scende al 18% se questi soggetti hanno potuto fruire concretamente di tali percorsi alternativi alla detenzione.

Ciò indica quanto la visione carcero-centrica sia una grave distorsione, che riverbera i suoi effetti negativi sull’intera società civile.

Su questo fronte è costante l’impegno della Camera Penale di Bologna “Franco Bricola”-unitamente al proprio Osservatorio Diritti Umani, Carcere ed altri luoghi di privazione della Libertà – anche attraverso periodiche visite nell’Istituto bolognese con l’intento di monitorare le condizioni di vita dei detenuti.

Inoltre, la Camera Penale ha recentemente realizzato l’evento “Maratona Oratoria sul tema della Dignità, Umanità, Eccezionalità: il carcere e la pena”, che si è svolto simbolicamente nel piazzale antistante la Dozza, che ha consentito per una intera mattinata di tenere alta l’attenzione sui reali problemi del carcere, dando voce così ai detenuti, coinvolgendo la società civile e tutti gli operatori del diritto.

Del resto il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni  – Fedor Dostoevskj

Osservatorio Carcere della Camera Penale di Bologna “Franco Bricola”

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