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Impugnazione del parere di congruità reso dall’Ordine

Commento alla sentenza n. 1662 del 1/09/2020 emessa dal TAR Lombardia

 

Èstata recentemente pubblicata la sentenza del T.A.R. Lombardia sez. III – Milano, n. 1626 dell’1.9.2020 resa sul ricorso proposto nei confronti dell’Ordine degli Avvocati di Milano ed avente ad oggetto l’impugnazione del parere di congruità in materia civile deliberato dallo stesso in relazione ai compensi richiesti da un proprio iscritto per l’attività prestata in favore della ricorrente.

L’interesse che suscita questa pronuncia deriva dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso laddove il Giudice osserva che: “…in base all’orientamento maggioritario della giurisprudenza, non vi è interesse attuale e concretoall’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo del parere del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di liquidazione del compenso per prestazioni professionali rese, richiesto dall’avvocato ai fini della proposizione di una procedura monitoria, atteso che tale parere ha la sola funzione di precostituire la prova scritta necessaria per la proposizione di tale procedura e non è vincolante per il giudice civile (cfr. T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 10 aprile 2019, n. 782; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 7 marzo 2018, n. 580; T.A.R. Toscana, sez. II, 5 luglio, 2012, n. 1268).

La decisione evidenzia due profili di interesse giuridico in relazione all’istituto dell’opinamento ed alla sua natura: l’uno riguarda la posizione del Cliente rispetto al parere di congruità reso al Professionista dal proprio Ordine; l’altro attiene alla natura e funzione di tale parere. Ed i due profili inevitabilmente intersecano.

Logicamente, a mio avviso, occorre partire dal secondo, cioè dalla natura dell’opinamento, o meglio del provvedimento del COA in relazione ai compensi richiesti da un Avvocato al proprio Cliente.

Sicuramente l’opinamento è atto un amministrativo. Secondo la giurisprudenza della Cassazione e del GA (cfr. in tal senso Cass. civ. SS.UU. n. 6534/2008; idem n. 14812/2009, a cui hanno fatto seguito pronunce del G.A. C.d.S., sez. IV n. 8749/2009 e idem n. 9352/2010) esso non è un mero atto di certificazione, ma concretizza l’esercizio di un potere discrezionale, autoritativo, idoneo ad incidere sulle posizioni di terzi.

Tuttavia esso non è di per sé atto idoneo ad arrecare pregiudizio, neppure indirettamente, al Cliente.

Occorre rammentare che l’Ordine professionale è un Ente pubblico (non economico) e che allo stesso sono affidati poteri autoritativi, derivanti dal fine istituzionale attribuito all’ordine medesimo, volti alla tutela degli iscritti, dei clienti e della dignità della professionale. Proprio in forza di tali principi non si può certamente ritenere il parere di congruità come atto “lesivo” del terzo (il Cliente), ma al contrario esso ha la funzione di assicurare una effettiva vigilanza sulla correttezza del compenso richiesto rispetto alla prestazione svolta.

La citata sentenza n. 6534/2008 resa dalle SS.UU. della Cassazione afferma infatti: “Detto parere “corrisponde ad una funzione istituzionale dell’organo professionale in vista degli interessi degli iscritti e della dignità della professione, nonché dei diritti degli stessi clienti, ed è volto ad impedire richieste di onorari sproporzionati e comunque inadeguati all’obiettiva importanza dell’opera professionale” (nei sensi suddetti sentenza di questa Corte 29/10/1992 n. 11765).”, dove si vede, dunque, come il parere di congruità, lungi da potere essere pregiudizievole per il Cliente, è, al contrario atto volto a tutelare il Cliente stesso, dunque atto che per sua natura non è e non può essere causa di un pregiudizio.

Inoltre, come noto, il parere di congruità è necessario all’Avvocato che intenda munirsi di D.I. per potere reclamare il proprio compenso. Ma con la presentazione del ricorso per D.I. detto parere di congruità esaurisce ogni effetto, ed è quello che in sostanza ribadisce la recente sentenza del TAR Lombardia qui in esame, pronuncia che comunque si colloca nel solco ormai costantemente tracciato dalla Corte di Cassazione: “Il consolidato orientamento di questa Corte ha sempre sostenuto che, in tema di compenso per prestazioni professionali, non è affatto vincolante il parere espresso dal Consiglio dell’ordine di appartenenza, le cui funzioni devono intendersi limitate al campo amministrativo, essendo sempre riservato al giudice di sindacare la liquidazione anche nel merito, allorché sia sorta controversia sulla misura dei compensi. In particolare, nella materia della liquidazione degli onorari degli avvocati, …, il parere del competente Consiglio dell’Ordine era volto solo ad attestare la conformità in astratto della parcella alla tariffa, senza vincolo per il giudice circa l’effettività della prestazione. Mentre, perciò, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo a norma dell’art. 636 c.p.c., la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale, tale documentazione non è più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione…”, così molto chiaramente afferma Cass. civ., sez. II, n. 26065 del 16.12.2016.

Dunque:

  • la parcella corredata dal parere di conformità assume il valore di prova privilegiata ed è vincolante per il Giudice chiamato a pronunciare l’ingiunzione, tuttavia tale valore viene vanificato dalla semplice opposizione ex art. 645 c.p.c. proposta dal convenuto;
  • in questo caso la parcella, finanche vidimata dal Consiglio dell’Ordine, assume il valore di semplice dichiarazione unilaterale del professionista, con conseguente inversione dell’onere della prova in merito alla effettività della prestazione, all’applicazione delle tariffe e alla rispondenza delle stesse, valutazione tra l’altro lasciata al libero apprezzamento del giudice;
  • la valenza probatoria della parcella corredata dal parere dell’Ordine può essere vanificata in sede di opposizione con una “contestazione anche di carattere generico”, la quale “è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a far sorgere per il professionista l’onere probatorio in ordine tanto all’attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa.” (cfr. Cass. Civ. n. 7764 del 17.5.2012).

Una volta affermato che il compenso richiesto dall’Avvocato “vidimato” dal parere di congruità rilasciato dall’Ordine costituisce atto di parte, comunque non vincolante per il Giudice chiamato a valutare nel merito l’effettività della prestazione e del conseguente compenso reclamato, deriva l’evidente carenza di legittimazione ad agire del Cliente dinanzi al Giudice amministrativo, come appunto affermato dal TAR Lombardia nella pronuncia in esame.

E’ principio noto che per darsi azione di annullamento dinanzi al Giudice Amministrativo devono sussistere tre condizioni fondamentali: a) la titolarità di una posizione giuridica, in astratto configurabile come interesse legittimo, inteso come posizione qualificata – di tipo oppositivo o pretensivo – che distingue il soggetto dal quisque de populo in rapporto all’esercizio dell’azione amministrativa; b) l’interesse ad agire, ovvero la concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto, a norma dell’art. 100 cod. proc. civ.; c) la legittimazione attiva in quanto titolare del rapporto controverso.

Nel caso dell’impugnazione della delibera con cui l’Ordine professionale rilascia parere di congruità in relazione al compenso di un professionista, e specificamente dell’Avvocato per quanto ci riguarda, se è pur vero che il cliente si distingue dal quisque de populo avendo indubbiamente una posizione qualificata rispetto a quel provvedimento amministrativo ed è sicuramente legittimato attivamente in quanto titolare del rapporto controverso, è pur vero che è sprovvisto dell’interesse ad agire.

Egli infatti non ricava dall’azione di annullamento alcun concreto ed attuale vantaggio, essendo, questo, ritraibile solo ed esclusivamente dinanzi al Giudice ordinario, unica Autorità avente giurisdizione a valutare nel merito la consistenza della effettiva prestazione e la misura del conseguente compenso dovuto. Pertanto: “la mera titolarità di un interesse protetto (di tipo sia oppositivo che pretensivo) non giustifica l’azione giudiziale, quando tale interesse non sia concretamente leso dall’atto, di cui si chiede la rimozione dal mondo giuridico, a fini di reale perseguimento di un bene della vita.” (cfr. per esempio C.d.S., sez. VI, n. 994 del 2.3.2015). Principio ribadito poi dalla Adunanza Plenaria del C.d.S. con la decisione n. 4 del 2018 che richiama i precedenti Ad. Pl. n. 4 del 2011 e n. 1 del 2003, che se pure afferenti alla materia degli appalti, delineano principi generali valevoli in tutte le fattispecie.

È evidente dunque, nel caso dell’opinamento, l’inesistenza in capo alla Cliente di un interesse concreto ed attuale, idoneo a fondare l’azione impugnatoria dinanzi al Giudice Amministrativo: non è concreto, dal momento che il parere di congruità consiste in una verifica in astratto della conformità della prestazione al compenso richiesto; non è attuale in quanto il parere di congruità di per sé non è titolo idoneo per reclamare presso il Cliente il compenso vantato dall’Avvocato. Solo al momento del rilascio di un decreto ingiuntivo tale interesse si concretizzerà e sarà attuale, disponendo, l’interessato dell’azione di opposizione dinanzi alla giurisdizione ordinaria al fine di ottenere, lì sì, la tutela del bene della vita di cui è titolare.

Del resto, la rimozione, da parte del G.A., dal mondo giuridico della delibera del Consiglio dell’Ordine che rilascia parere di congruità non significa, per il Cliente, né l’accertamento del giusto compenso, né l’accertamento dell’inesistenza del credito dell’Avvocato, né la insussistenza della prestazione dallo stesso svolta, né il venire meno del debito del Cliente verso il professionista.

Avv. Beatrice Belli

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Beatrice Belli