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Speciale inaugurazione anno giudiziario 2020

CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA
CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2020

Intervento del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati Avv. Italia Elisabetta d’Errico

Sig. Presidente della Corte d’Appello, sig. Procuratore Generale, Sua Eminenza Cardinale, autorità tutte, magistrati del Distretto, colleghi avvocati, signore e signori, vi porgo il saluto dell’avvocatura di Bologna e dell’intero Distretto dell’Emilia- Romagna, a nome della quale ho l’onore di prendere la parola, distretto oggi composto nella quasi totalità da presidenti e consiglieri di nuova nomina in conseguenza delle note sentenze delle SU e della Corte Costituzionale, che hanno ritenuto che il divieto di doppio mandato sia esteso anche ai mandati antecedenti alla entrata in vigore della nuova legge professionale.

Anche in questa occasione l’Avvocatura del distretto ha dimostrato senso di responsabilità e spirito di servizio, smentendo per fatti concludenti le infondate critiche che al l’Avvocatura le SU avevano mosso. Spirito di servizio che l’Avvocatura ha dimostrato anche nell’espletamento della funzione di Giudice Ausiliario presso la Corte d’Appello di Bologna, contribuendo a definire un numero di procedimenti superiori a quelli preventivati.

Tale dato evidenzia il concreto, qualificato ed irrinunciabile apporto dell’avvocatura al fine del buon andamento della giustizia. In egual misura è doveroso ricordare che un numero elevato di processi civili e penali si celebrano grazie all’apporto dei giudici di pace, dei giudici onorari e dei viceprocuratori onorari, senza il cui contributo l’arretrato degli uffici giudiziari del distretto sarebbe certamente più cospicuo. In particolare, per quanto attiene il Distretto dell’Emilia Romagna, gli Ordini non hanno mai fatto mancare il loro contributo, anche in termini economici, distaccando personale e fornendo strumentazione utile allo svolgimento delle quotidiane incombenze.

L’Ordine degli avvocati di Bologna, congiuntamente al Tribunale e ad altri ordini professionali, nell’anno 2019 ha sottoscritto un protocollo finalizzato ad istituire un albo telematico dei CTU e dei periti, che consentirà al giudice non solo di avere una indicazione delle specifiche competenze del CTU ma anche di assegnare gli incarichi attraverso una estrazione statistica, garantendo conseguentemente la rotazione degli incarichi fra gli iscritti agli albi.

Nei prossimi giorni l’ordine che rappresento fornirà il contributo economico necessario per ultimare la fase di implementazione del software, per poi avviare la fase di formazione con l’ausilio della Fondazione forense bolognese. Nell’anno 2019, anche grazie al contributo dell’Ordine degli avvocati di Bologna, è stato istituito presso la Procura della Repubblica di Bologna l’ufficio 415 bis che, se da un lato ha agevolato l’avvocatura nella consultazione dei fascicoli, dall’altro ha certamente contribuito a rendere meno gravoso il lavoro delle segreterie dei Sostituti procuratori.

A volte, però, lo spirito di collaborazione che deve esistere tra enti pubblici, non vi è. Il 15 gennaio scorso il Consiglio dell’Ordine di Bologna ha appreso che in data 24 dicembre 2019 il Capo Dipartimento Lavori pubblici del Comune di Bologna ha comunicato alla presidenza a ed alla dirigenza del Tribunale che l’immobile di via

S.Isaia n. 20, ove ha sede l’Organismo di mediazione dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, non garantisce piú le condizioni di sicurezza, in ragione del possibile sgretolamento di porzioni di gesso che potrebbero portare a crolli improvvisi di porzioni di soffitto.

Il Consiglio dell’Ordine, al fine di tutelare l’incolumità dei dipendenti, dei colleghi mediatori e delle parti, il 15 gennaio scorso ha deliberato con efficacia immediatamente esecutiva la chiusura dei locali e la sospensione dell’attività dell’organismo.

L’immobile, di proprietà del Comune di Bologna, nell’anno 2012 venne affidato al Tribunale che lo consegnò all’Ordine degli avvocati affinchè ospitasse la sede dell’organismo di mediazione che, come previsto dalla legge deve essere collocato all’interno del Tribunale del luogo ove ha sede l’organismo di mediazione.

Nel ringraziare il Presidente Aponte per l’immediata richiesta di incontro rivolta al rappresentante del Comune, non posso esimersi dall’evidenziare come il Comune di Bologna si sia disinteressato della vicenda, non aderendo alla richiesta di incontro e chiedendone il rinvio.

Non posso poi esimermi dall’evidenziare l’assordante silenzio del rappresentante del Ministero della giustizia, organo amministrativo oggi deputato all’assegnazione e manutenzione degli uffici giudiziari, il cui rappresentante, probabilmente impegnato a sostenere che gli innocenti non vanno in carcere piuttosto che a disquisire di dolo e colpa, ha ritenuto, nonostante sia stato prontamente informato dell’accaduto, di non fornire alcuna risposta.

L’organismo di mediazione, seppure con difficoltá ed in sedi distaccate, grazie all’impegno del Direttore, dei colleghi mediatori e della segreteria dell’organismo, ha ripreso la piena attivitá, in attesa che le istituzioni reperiscano urgentemente un luogo idoneo all’espletamento delle sue funzioni, tra le quali rientrano anche le mediazioni delegate dal Tribunale. Doveroso ringraziare anche il Presidente del Tribunale che, comprendendo la situazione di emergenza, si è attivato al fine di verificare se sia possibile un utilizzo temporaneo degli uffici del Giudice di pace.

Lo stato dell’Avvocatura è il linea con l’anno precedente, il numero degli avvocati iscritti agli albi è sostanzialmente stabile, l’incremento per l’anno 2018 è stato dello 0,3%. Un dato costante è rappresentato dalla crescita del numero delle donne che esercitano la professione di avvocato, in costante aumento su tutto il territorio nazionale e rappresentativo di circa il 50% degli iscritti agli albi.

All’Ordine di Bologna al primo gennaio 2020 risultano essere iscritte 2593 Colleghe, che rappresentano la maggioranza degli iscritti. Il 17 luglio 1919 Vittorio Emanuele III emanava le norme relative alla capacità giuridica delle donne, riconoscendo loro il diritto di esercizio della professione forense.

In questi 100 anni la professione forense ha subito molteplici modificazioni, certamente una di queste è costituita dalla cospicua presenza femminile che però, nonostante rappresenti quasi la metà degli iscritti, ancora oggi fatica a ricoprire incarichi istituzionali.

Ciò è certamente dovuto ad un dato culturale che, seppure lentamente, evolve. L’Avvocatura è fortemente preoccupata per gli interventi legislativi già attuati e per quelli preannunciati ed è indignata per le proposte di modifica legislativa sollecitate anche da alcuni autorevoli esponenti della magistratura e dalle parole di scherno nei confronti della categoria da alcuni pronunciate.

Nel settore civile, vi è forte preoccupazione per le annunciate modifiche al codice di procedura civile che, qualora approvate, non porteranno alcun beneficio ma ulteriori disagi.

L’annunciata riforma non avrà alcuna incidenza sulla speditezza dei giudizi atteso che la durata del processo civile non dipende da riforme procedurali ma esclusivamente dal rapporto che intercorre tra domanda di giustizia e offerta di giustizia.

Ciò in quanto a fronte di un certo numero di domande di giustizia da parte dei cittadini, lo Stato deve essere in grado di offrire una giustizia adeguata contenendo in tal modo i tempi del processo.
Nel settore penale lo stato di agitazione degli avvocati penalisti perdura.

L’anno giudiziario da poco conclusosi ha visto tra i primi atti legislativi l’introduzione della legge N. 3 del 9/1/19 che, tra l’altro, ha introdotto la sospensione della prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, con efficacia dal primo gennaio 2020.

L’anno giudiziario che ci prepariamo ad affrontare, nonostante le forti e fondate critiche provenienti non solo dall’avvocatura, sia istituzionale che associata ed operante in ogni settore della giurisdizione, ma anche da buona parte dell’Accademia, che ha espresso il proprio dissenso attraverso un appello rivolto al Presidente della Repubblica, nonché da alcuni settori della magistratura, ha inizio con l’entrata in vigore della riforma sostanzialmente abrogativa della prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di primo grado.

Il Ministro, supportato nella sua scelta dalla maggioranza parlamentare, ha ritenuto di dover proseguire il cammino intrapreso, ignorando il qualificato dissenso che fonda le proprie ragioni nei principi sanciti dalla Costituzione repubblicana, primo fra tutti quello espresso nell’art. 27, il quale non prevede solo la presunzione di innocenza ma anche il fine rieducativo della pena. La durata ragionevole del processo imposta dall’art. 111 della Costituzione, contrariamente a quanto si vuol fare intendere al cittadino, non sarà garantita dall’abrogazione della prescrizione.

Al contrario, l’abrogazione della prescrizione regalerà al nostro paese, ai suoi cittadini, che siano indagati, imputati o persona offesa, la durata eterna del processo, grazie ad una legge ispirata dall’idea punitiva, secondo la quale il proscioglimento dell’imputato rappresenta la sconfitta dello Stato perché prevale l’idea becera che essere imputato equivale ad essere colpevole, perché coloro che vengono assolti sono catalogati quali “furbetti che l’hanno fatta franca”.

Parole che offendono la giurisdizione, la delicata e irrinunciabile funzione del giudicare e l’idea stessa del processo penale accusatorio. A nutrire questa distorta idea di giustizia contribuiscono alcuni mezzi di informazione che persistono nel presentare l’accusato di un reato alla stregua di un condannato, mostrando immagini che non solo violano le regole processuali, ma ledono fortemente la dignità della persona.

E così abbiamo visto immagini di persone in stato di arresto all’interno di una caserma con una benda sugli occhi, oppure ripresi mentre venivano sottoposti alla rilevazione delle impronte digitali.
Capita anche che qualcuno si dolga perché una specifica indagine non ha avuto riscontro per più giorni nelle prime pagine dei quotidiani nazionali, dimenticando però il doveroso coordinamento istituzionale.

La gogna mediatica nell’anno da poco terminato non ha risparmiato alcuni autorevoli esponenti della magistratura, e così abbiamo assistito alla divulgazione di conversazioni telefoniche destinare a svelare presunti accordi sottobanco per il conferimento di incarichi apicali. Non abbiamo gioito per questo perché per noi avvocati la presunzione di innocenza è un valore sacro ed universale, non tolleriamo che se ne faccia scempio, preferendo attendere che quei fatti siano accertati all’esito di un giusto processo.

Per questa ragione non condividiamo l’esibizione senza regole di indagini e l’esposizione al pubblico ludibrio dei soggetti nelle indagini coinvolti. E tutto ciò produce il risultato che ci offre il IV Rapporto Censis, secondo il quale il 57% degli italiani teme di essere vittima di un errore giudiziario, il 42% paventa il rischio di essere coinvolto in una indagine pur essendone totalmente estraneo, un terzo evidenzia la possibilità di essere intercettato ed il 20,5% teme la diffusione attraverso i mezzi di informazioni di atti riservati nel corso delle indagini preliminari. Il mantra di questi anni consiste nell’ossessiva ripetizione di frasi prive di contenuto, che invocano la certezza della pena, la risoluzione dell’illecito nel gettare la chiave e fare marcire in galera i soggetti coinvolti in indagini.

Questa è la terminologia utilizzata da alcuni rappresentanti delle istituzioni che si esprimono parlando alla pancia del popolo che pure in parte, purtroppo, sembra gradire. E tutto ciò avviene nell’immediatezza di un arresto, in un momento in cui sussistono indizi di reato ma assai distante è il definitivo accertamento della responsabilità penale.

Il linguaggio dell’odio propaga i suoi effetti a macchia d’olio e travolge anche chi quotidianamente indossa la toga esercitando con coscienza il sacro diritto di difesa. L’avvocato assume non più la veste che gli è propria di garante dei diritti del cittadino, diventa il nemico contro il quale scaricare le peggiori pulsioni.

Nella civile città di Bologna, il 24 gennaio, giornata mondiale dell’avvocato minacciato, un avvocato del nostro Foro ha ricevuto una lettera anonima dal contenuto minatorio per avere assunto la difesa di un indagato sottoposto a misura cautelare. Quanto accaduto è grave ed è la conseguenza di una politica oramai priva di regole e valori, di una incultura diffusa che accomuna il difensore al suo assistito.

Non ci faremo intimidire, continueremo ad esercitare la nostra professione senza timore, ad indossare la toga con fierezza e nel rispetto delle regole, certi di essere dalla parte giusta, la parte dello stato di diritto all’interno del quale l’avvocato, parte irrinunciabile della giurisdizione, esercita la sua funzione in autonomia, libertà ed indipendenza al fine di garantire al cittadino la tutela dei diritti.

La storia del nostro paese, e non solo, dimostra quale sia l’essenza dell’essere avvocato, come l’avvocato sia ovunque nel modo la sentinella dei diritti: il pensiero va a Fulvio Croce, Giorgio Ambrosoli, Serafino Famá, Enzo Fragalá, ai Colleghi pakistani, turchi, iraniani, colombiani, a tutti coloro che nel mondo tengono alto il vessillo delle garanzie a tutela della libertà di ognuno di noi.

Con orgoglio ricordiamo che nel recente passato alcuni avvocati hanno ricevuto il premio Nobel per la pace, Shirin Ebadi nell’anno 2003 ed Abdellaziz Essid nell’anno 2015. Ci piace anche ricordare che poco meno della metà dei componenti della Commissione dei 75 che furono incaricati di redigere il progetto di costituzione, erano avvocati.

Viviamo un’epoca grigia ed opaca, orientata da un’ottica meramente punitiva, miope e priva di progettualità, ispirata esclusivamente a rincorrere il consenso popolare. In questo contesto sono state approvate numerose modifiche legislative: la riforma della legittima difesa, dei reati contro la pubblica amministrazione, il codice rosso, la riforma del giudizio abbreviato. Modifiche tutte generate sull’onda emotiva dì gravi fatti di cronaca, indirizzate prevalentemente in senso punitivo e finalizzate ad un sempre maggiore ricorso al carcere quale unica soluzione.

Mentre si dovrebbero incentivare i riti alternativi, ampliando ad esempio i casi in cui sia possibile accedere all’istituto dell’applicazione della pena, si approvano modifiche legislative che non produrranno altro effetto se non quello di ulteriormente ingolfare le Corti d’Assise ed ulteriormente dilatare i tempi del processo.

Nel frattempo il numero delle persone detenute è in notevole aumento, dal recente Rapporto del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura emerge un dato preoccupante sul sovraffollamento carcerario che, se non tempestivamente arginato, non potrà che comportare una ulteriore condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia, stante l’accertata violazione in alcuni istituti penitenziari dello spazio vitale che ad ogni persona detenuta deve essere assicurato. In Emilia Romagna al 31 dicembre erano presenti 3834 persone a fronte di una capienza regolamentare di 2793 posti, l’8 gennaio le presenze nella locale casa circondariale ammontavano a 851 per 500 posti regolamentari.

A questo proposito si segnala la drammaticità della situazione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che, attualmente, sconta una grave scopertura di organico che, si apprende dai mezzi di informazione, ha indotto il Presidente del Tribunale di Sorveglianza a recarsi presso la Casa Circondariale per incontrare una delegazione di persone detenute e spiegare loro la difficile situazione in cui è costretta ad operare.

Dal rapporto del Consiglio d’Europa (statistiche generali annuali) del 2 aprile 2019 emerge che l’Italia è il quarto stato dopo la Macedonia del nord, la Romania e la Francia per sovraffollamento e percentuale di suicidi. Purtroppo anche nell’anno 2019 abbiamo registrato un elevato numero di suicidi all’interno degli istituti penitenziari italiani: sono 53 i casi accertati di persone che hanno deciso di porre fine allo loro vita, 5 sono quelli avvenuti nel distretto: 3 a Bologna, 1 a Ravenna, 1 a Forlì.

Il Presidente Cartabia, prima donna a ricoprire l’importante incarico di Presidente della Corte Costituzionale, ha ricordato nei giorni scorsi che l’art. 27 della Costituzione parla di pena e non di carcere. È da questa considerazione che il legislatore dovrebbe prendere le mosse e ripensare completamente la politica giudiziaria di questi anni, incentrata esclusivamente su una delle due funzioni della pena.

L’anno 2019 sarà ricordato anche per il divieto di attracco e di sbarco posto dall’allora ministro dell’interno alle navi che avevano soccorso i naufraghi provenienti dai paesi del mediterraneo.
Abbiamo assistito alla negazione dei diritti, primo tra tutti il diritto alla vita, alla violazione del diritto del mare, che prevede che l’attività di salvataggio di soggetti naufraghi debba considerarsi adempimento degli obblighi derivanti dal diritto internazionale.

Assistiamo quotidianamente al riemergere di pulsioni antidemocratiche, ad atti di intolleranza, ad episodi di antisemitismo, al tentativo di sgretolamento dei principi dello stato di diritto ma resistiamo, contrapponendo alla demagogia ed al populismo la forza della ragione.

Nel nostro distretto sono stati pronunciati due provvedimenti, una sentenza della Corte d’Appello penale ed una ordinanza del Tribunale Civile di Bologna, Sezione protezione internazionale, che hanno sollevato polemiche e manifestazioni di dissenso, ma che sono invece fortemente ancorate ai principi fondamentali e primari di uno stato di diritto.

La Corte Costituzionale con il viaggio nelle carceri ha avviato un importante percorso, ed ha affrontato e deciso questioni delicate, dichiarando l’illegittimità di alcune norme. Decisioni che hanno sollevato scomposte reazioni, giungendo alcuni rappresentanti delle istituzioni ad invocare, da un lato, azioni volte a sovvertire ciò che la Corte Costituzionale ha deciso e, dall’altro, volte a comprimere fino ad eliminarlo il potere discrezionale riconosciuto al giudice.

Si invocano da più parti riforme improntate ad ulteriormente limitare ed elidere le garanzie difensive. Nei giorni scorsi il Ministro Bonafede ha presentato il disegno di legge recante deleghe al governo per l’efficienza del processo penale.

Lo esamineremo con la dovuta attenzione, evidenziando sin da ora contrarietà rispetto a modifiche volte a limitare il diritto di impugnazione o il divieto di reformatio in peius. Al fine di limitare il numero di impugnazioni si è giunti finanche ad indicare quale possibile riforma una responsabilità solidale del difensore, nonché una riforma dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato che, secondo il proponente, vedrebbe oggi un abuso da parte dei difensori che, pur di lucrare denaro ai danni dello Stato, presenterebbero istanze pretestuose al solo fine di ricevere il pagamento per ogni atto compiuto.

Stupisce che tale proposta provenga da un componente del Consiglio superiore della Magistratura, già consigliere della Corte di Cassazione, atteso che il DM 55/2014, che disciplina i compensi degli avvocati, oltre a prevedere una decurtazione di un terzo dei compensi nel caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, prevede già oggi liquidazioni per fasi e non per singolo atto.

Liquidazioni che, in concreto, secondo quanto emerge dalla relazione biennale sull’applicazione del patrocinio a spese dello Stato realizzata dal Ministero della giustizia, prevedono un compenso medio di 430 euro in ambito civile e di circa 800 euro nel penale.

Sarebbe opportuno che analoga riflessione venisse estesa alla cospicua somma di denaro che lo Stato italiano ha dovuto corrispondere a 27.000 cittadini tra il 1992 ed il 2018 in conseguenza di una ingiusta detenzione. Gli avvocati non sono più disposti ad ascoltare quotidiane contumelie ed offese nei loro confronti, gli ordini del distretto predicano e pretendono dai loro iscritti il rispetto delle leggi e delle norme deontologiche e rigorosamente inviano al Consiglio distrettuale di disciplina ogni segnalazione che perviene, e pretendono di essere rispettati, soprattutto se le offese provengono da rappresentanti delle istituzioni. Salutiamo con favore la modifica alla disciplina delle Conferenze permanenti previste dall’art. 3 del DPR 133/2015, che ha reintrodotto il diritto di voto dei Presidenti dell’Ordine degli Avvocati al fine di assicurare una più completa attività di determinazione del fabbisogno di beni e servizi dell’amministrazione periferica e degli uffici giudiziari.

Trattasi di un riconoscimento importante del ruolo degli Ordini e dell’avvocatura in generale, che auspichiamo possa fare da battistrada anche nel nostro distretto ad una riflessione serena e scevra da pregiudizi circa il riconoscimento agli avvocati che compongono il Consiglio giudiziario del diritto di tribuna, in alcuni distretti già regolamentato. Colgo l’occasione per ringraziare i Colleghi che nel mandato che volge al termine hanno rappresentato l’avvocatura nei consigli giudiziari, una funzione delicata e di raccordo tra gli operatori di giustizia, con l’auspicio che la presenza dell’Avvocatura all’interno dei consigli giudiziari sia sempre meno avvertita come un corpo estraneo, che sia invece considerata un interlocutore prezioso al fine del buon andamento degli uffici giudiziari.

È questa l’occasione per ringraziare il Presidente Colonna per l’incessante e proficuo lavoro che ha svolto in questi anni, per la sua propensione all’ascolto ed al dialogo, per l’attenzione alle problematiche che quotidianamente il sistema giustizia pone. La sua sapiente opera di mediazione nell’ambito degli osservatori civili e penali, ai quali l’Avvocatura del distretto partecipa con convinzione, ha consentito un dialogo vero tra magistratura ed avvocatura, il quale anche quando non ha condotto ad un punto di incontro, ha consentito a tutti noi di sentirsi parte attiva ed indispensabile della giurisdizione.

È l’occasione anche per salutare la dottoressa Susanna Napolitano, magistrato presso l’Ufficio di Sorveglianza di Bologna prossima al collocamento a riposo e di ringraziarla per lo straordinario impegno profuso nel corso dello svolgimento della funzione di magistrato di sorveglianza con serietà, attenzione, umanità.

Porgo a Lei Presidente, al Procuratore Generale ed a tutti noi un sincero augurio per l’anno giudiziario appena iniziato, con la speranza che insieme lavoreremo con l’intento di riaffermare quotidianamente i principi di democrazia e di giustizia propri di uno Stato di diritto.

Avv. Italia Elisabetta d’Errico
Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati

Intervento alla cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario presso la Corte dei Conti sez. Giurisdizionale Regionale per l'Emilia Romagna (pdf) Intervento alla cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario presso il Tribunale Amministrativo Regionale dell' Emilia Romagna (pdf)

 

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