Aggiornamenti in pillole

La mediazione che verrà? – Parte I

Da qualche anno a questa parte, per la precisione dal momento in cui è entrato in vigore il d.lgs. 28/10, che ha introdotto nel nostro ordinamento la mediazione civile e commerciale, quando trapelano le prime anticipazioni che riguardano l’ennesima riforma del processo civile, uno spazio per la mediazione c’è sempre.

Osteggiata inizialmente dalla maggior parte della classe forense, sottoposta in più occasioni al vaglio del giudice costituzionale e amministrativo per possibili profili d’illegittimità, “adottata” da molti giudici di merito, che si sono sbizzarriti nelle più svariate interpretazioni giurisprudenziali, oggi la mediazione fa parte del panorama dei giuristi italiani, e non è più messa in discussione.

Periodicamente il Ministero divulga i dati statistici pervenuti dagli Organismi di mediazione, e sicuramente i dati fotografano il fenomeno in maniera oggettiva, suggerendo dove la mediazione funziona e dove non funziona, che poi significa in quali ambiti riesce a sgravare i ruoli delle cause civili (…è della mediazione il fin…la deflazione – parafrasando il Parini).

A dicembre, all’esito di un Consiglio dei Ministri, il Presidente e il Guardasigilli hanno annunciato compiaciuti di aver licenziato un disegno di legge delega, per l’efficienza del processo e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. Il testo provvisorio del d.d.l., in verità, circolava già da tempo, tanto da essere stato oggetto di critiche da parte di alcune associazioni forensi prima ancora di quell’annuncio. La versione presentata al Senato il 9.01.2020 reca il n. 1662.

Per quanto riguarda la mediazione, si è scelto di togliere e di aggiungere qualcosa.

Cominciando dalle esclusioni, l’art. 2 del testo della legge delega prevede al capo a) l’esclusione del ricorso obbligatorio, in via preventiva, alla mediazione in materia di responsabilità sanitaria e di contratti finanziari, bancari e assicurativi, fermo restando il ricorso alle procedure di risoluzione alternativa delle controversie previste da leggi speciali.

Si tratterebbe, in sostanza, di eliminare dall’elenco della tipologia di controversie per cui è previsto l’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale di cui all’art. 5, comma 1 bis d.lgs. 28/10, due settori, nei quali non ha funzionato adeguatamente, come asserito nel comunicato stampa del C.d.M.

I motivi di tale scelta sono facilmente intuibili, per chi in questi anni ha frequentato gli organismi di mediazione, e trovano riscontro nelle statistiche ministeriali, nelle quali queste controversie occupano gli ultimi posti della graduatoria che riporta le percentuali di raggiungimento dell’accordo.1

Per quanto riguarda le controversie che hanno per oggetto la responsabilità sanitaria, i casi nei quali dopo l’incontro informativo la mediazione iniziava effettivamente sono stati da subito percentualmente irrisori.

Dando per scontato che normalmente il soggetto che deposita un’istanza di mediazione è quello che si ritiene danneggiato a causa di malpractice medica, e che non avrebbe nulla in contrario per procedere oltre l’incontro informativo ed entrare in mediazione, molteplici sono le ragioni per le quali le controparti dei danneggiati scelgono di non aderire all’istanza di mediazione o di non proseguire oltre l’incontro informativo.

Lo scoglio pratico di maggiore portata è che il presunto responsabile del danno derivante dalla responsabilità sanitaria (ente, struttura, personale medico o paramedico o infermieristico), ha l’assoluta necessità di essere affiancato nella controversia dall’impresa che assicura il rischio (quando presente), e ciò vincola il professionista sanitario o la struttura sanitaria nella dichiarazione di voler procedere oltre l’incontro informativo: se la società assicurativa non aderisce alla mediazione o se, pur presentandosi, non dichiara di voler procedere oltre il primo incontro, il soggetto presunto responsabile non potrà che dichiarare di non voler procedere, per non assumersi in toto le conseguenze patrimoniali di un eventuale accordo.

Un altro scoglio non indifferente che ha determinato la scarsa adesione alla procedura di mediazione effettiva è la necessità di concordare l’esperimento di una consulenza medico-legale, unico punto di partenza nella maggior parte dei casi per intavolare la ricerca di un accordo amichevole. E una volta concordato l’affidamento della consulenza, e delimitato l’ambito dei quesiti, Il primo problema è quello di accettare o meno le conclusioni del consulente; infatti, solamente con la volontà dichiarata delle parti la perizia assumerebbe carattere di perizia contrattuale, e come tale vincolante nei suoi esiti. Diversamente, le conclusioni della consulenza potrebbero tranquillamente non essere condivise da una o più parti, con il risultato di dover riproporre lo stesso passaggio procedurale nel successivo contenzioso. Esito questo che scoraggia anche sotto il profilo economico, vista la dispendiosità della reiterazione di un esborso che può essere consistente.

A tutte queste ragioni, che hanno reso numericamente irrisorio l’approdo alla mediazione effettiva e al possibile accordo conciliativo delle controversie che hanno ad oggetto la responsabilità sanitaria, se ne è aggiunta un’altra di provenienza legislativa. Mi riferisco alle disposizioni introdotte nel recente passato dalla c.d. legge Gelli-Bianco (n. 24/17), che ha introdotto un’ulteriore condizione di procedibilità della domanda giudiziale, alternativa alla mediazione, per le domande di risarcimento del danno da responsabilità sanitaria, ossia il preventivo ricorso per la consulenza tecnica preventiva ai sensi dell’art. 669 bis c.p.c. La coesistenza di due ipotesi alternative di strumento preventivo obbligatorio non sembra avere davvero alcuna ragionevolezza, e la scelta governativa parrebbe quella di mantenere la consulenza tecnica preventiva, che presenta il vantaggio di poter utilizzare la relazione nel successivo giudizio, su richiesta di parte. Tra l’altro il d.d.l., in ragione del venir meno della mediazione come condizione alternativa di procedibilità, ha previsto sempre all’art. 2, capo b), che la consulenza tecnica preventiva ex art 669 bis c.p.c. richiamata nella l. 24/17 sia condizione di procedibilità solo per i casi in cui si renda necessaria per l’accertamento della responsabilità o per la liquidazione del danno, escludendola per le controversie in materia sanitaria che possono decidersi senza necessità d’indagini tecniche.

Per quanto riguarda le controversie in materia di contratti finanziari, bancari e assicurativi, chi ha frequentato gli organismi di mediazione può confermare anche per queste categorie l’irrisoria percentuale di raggiungimento di accordi conciliativi e, più in generale, il raro superamento del primo incontro informativo.

Spesso il soggetto che rappresenta la banca o l’assicurazione all’esito dell’incontro informativo comunica semplicemente di non avere ricevuto mandato per procedere oltre.

C’è anche da dire che una buona parte delle mediazioni in materia bancaria riguardano controversie che già pendono davanti all’autorità giudiziaria, essendo cause di opposizione a decreto ingiuntivo che hanno bypassato la mediazione come condizione di procedibilità nella fase monitoria, e arrivano davanti a un mediatore a seguito dell’ordinanza del giudice che la dispone. Spesso chi oppone i decreti ingiuntivi utilizza argomenti giuridici strumentali, anche a fini dilatori (anatocismo, nullità di clausole, interessi usurari) o più spesso gli importi in gioco sono talmente rilevanti e la disponibilità economica dei debitori irrilevante o nulla, tutte circostanze che impediscono alle parti di ritenere utile l’approdo al procedimento effettivo di mediazione.

A voler aggiungere ulteriori spiegazioni per lo scarso successo di queste categorie di controversie in mediazione, una corrente di pensiero molto pragmatica fa discendere la scelta strategica delle compagnie assicurative e delle banche di non cercare accordi in mediazione, dalla possibilità d’impiegare le somme destinate ai risarcimenti e indennizzi in investimenti redditizi, procrastinando il più possibile l’esborso, seguendo i tempi dei giudizi ordinari.

In verità, con i tassi d’interesse che ci sono in giro, riesce difficile ipotizzare chissà quali vantaggi economici si possano ricavare dal poter impiegare il denaro destinato a un risarcimento per qualche anno, ma si sa, le vie delle assicurazioni e delle banche sono infinite, e non limitate come quelle dei comuni risparmiatori. Qui più che mai varrebbe evocare nei confronti di banche e assicurazioni il tanto vituperato brocardo “dum pendet, rendet”, che di solito viene rinfacciato alla classe forense.

Ad ogni buon conto, le periodiche oscillazioni dell’attuale maggioranza governativa lasciano grossi margini d’incertezza sull’effettiva entrata in vigore della legge delega anticipata alla fine del 2019, e questo giustifica ampiamente la formula dubitativa del titolo di questo articolo.

Avv. Massimo Carrattieri

[1] Nei dati statistici rilevati dal Ministero di Giustizia, relativi al periodo 1.1.2018-31.12.2018, nella tabella che riporta la classifica delle materie in relazione alla percentuale di esiti positivi che sfociano in un accordo, i contratti assicurativi, il risarcimento danni da responsabilità medica, i contratti finanziari e i contratti bancari occupano le ultime quattro posizioni in graduatoria, a confermare la scelta governativa di eliminare queste materie dalla mediazione obbligatoria per mancato raggiungimento dello scopo – leggasi, deflazione del contenzioso.

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Massimo Carrattieri