Aggiornamenti in pillole

Cassazione, PCT e non solo: fra rigore, ripensamenti e abbagli

Nel corso di questi anni, durante i confronti nei tavoli dell’Osservatorio Civile con la sempre compianta Dott.ssa Daria Sbariscia, sono state affrontate frequentemente le conseguenze del mancato rispetto delle regole tecniche che disciplinano la materia del PCT e delle notifiche in proprio via pec.

La linea sempre condivisa è stata sempre quella della prudenza e quindi della necessità di interpretare in modo rigoroso le norme che disciplinano la materia, prudenza   per lo più dettata dal timore dell’approccio della Suprema Corte, una volta che le questioni fossero approdate all’ultimo grado di giudizio.

Timore che ha trovato conferma, anche prima di quanto fosse ragionevole attendersi, nell’anno 2017, in una serie pronunce nelle quali la Suprema Corte ha dichiarato l’improcedibilità dei giudizi a sensi di quanto disposto dall’art 369 c.p.c., per il mancato o inesatto asseveramento da parte del difensore delle sentenze di II° grado notificate (Cass., Sez. 6 Ord. n.6656 del 15/03/2017; Cass. Sez. 3 Sent. n.1745014/07/2017; Cass. Sez. 3 Sent. n.23668 del 10/10/2017; Cass. Sez. 3 Ord. n.24292 del 16/10/2017; Cass. Sez. 2 Sent. n.24347 del 16/10/2017; Cass. Sez.6 Ord. n.24422 del 17/10/2017; Cass. Sez. 3 Ord. n.25429 del 26/10/2017; Cass. Sez. 3 Sent. n.26520del 09/11/2017; Cass. Sez. 6 Ord. n.26606 del 09/11/2017; Cass. Sez. 6 Sent. n.26612 del 09/11/2017; Cass. Sez. 6 Ord. n.26613 del 09/11/2017; Cass. Sez. 3 Ord. n.30622 del 20/12/2017; Cass. Sez. 6 Ord. n.30765 del 22/12/2017).

Solo recentemente con Sentenza n.22438 del 24/09/2018, la Suprema Corte a Sez. UNITE ha avuto un primo “ripensamento”, ritenendo applicabile al tema delle autentiche dei difensori non solo la normativa speciale dettata dal dl 179/12, ma anche quella generale di cui al D.Lgs n. 82/2005 e in particolare l’art. 23 comma 2, nella parte in cui prevede il disconoscimento della copia autentica.

In realtà con tale arresto la Suprema Corte ha risolto solo parzialmente il problema, limitando l’applicabilità del dlgs 82/05 all’autentica del ricorso introduttivo notificato via pec e, per ovvie ragioni, stampato al fine del deposito cartaceo.

Era difatti la stessa sentenza a precisare che le considerazioni in diritto svolte rispetto alla possibilità di applicare l’art. 23 comma 2 D.Lgs n. 82/2005, si limitavano all’ipotesi del ricorso introduttivo e non già all’autentica della sentenza di II° grado notificata (invero le motivazioni non erano di facile comprensione).

Trovata la soluzione per superare le problematiche collegate alla normativa speciale sulle modalità di esercitare il potere di autentica in capo ai difensori, la Sez. SESTA CIVILE  rimetteva il caso alle Sezioni Unite con ordinanza interlocutoria n. 28844 del 09/11/2018, al fine di estendere i principi evocati per l’autentica del ricorso introduttivo anche all’ipotesi di autentica della sentenza di II° grado notificata.

 Per arrivare a completare il “quadro” si è quindi reso necessario un ulteriore “ripensamento”; le Sezioni Unite, per il vero prontamente, con sentenza 8312 del 23/03/2019, estendevano i principi già in precedenza enunciati in tema di autentica nella citata sentenza n 22438/18 a tutte le ipotesi di esercizio del potere di autentica dei difensori, di fatto limitando non poco le problematiche collegate a questi temi.

Un pensiero non può non andare a tutti coloro che, senza possibilità di ulteriori impugnazioni, si sono visti respingere, perché improcedibili, le proprie istanze, improcedibilità collegate a situazioni che oggi non sussistono più.

 Sino ad ora abbiamo esaminato le problematiche connesse all’iniziale rigore manifestato dalla Cassazione sul tema e ai successivi “ripensamenti”.

Ora passiamo ad esaminare situazioni in cui la Suprema Corte è incorsa in evidenti errori interpretativi.

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Si evidenzia in primo luogo l’ordinanza n. 20672 del 31/08/2017 Sez. SESTA CIVILE di rimessione alle Sezioni Unite, in cui si ipotizzava la nullità della firma digitale in formato Pades, ritenendo con ragionamento davvero poco comprensibile e contrario a quanto previsto dalle norme tecniche in tema di firma digitale all’art. 12 comma 2 e all’art. 19 bis delle Specifiche tecniche previste dall’articolo 34, comma 1 del DM 44/2011, che la sola firma valida fosse quella in formato CADES.

Fortunatamente dopo un primo momento di logico ed evidente disorientamento da parte di Avvocati e Magistrati, la pronta risposta delle Sezioni Unite – Sentenza n. 10266 del 27/04/2018 – ha riconfermato, e non poteva essere altrimenti, la validità della firma pades, peraltro preferibile in ipotesi di deposito, perché le specifiche tecniche non permettono il deposito di file in formato “.pdf.p7m” come allegati. Per non parlare poi del fatto che l’introduzione della firma “pades” si è resa necessaria perché non tutti erano in possesso di programmi di decodifica dei file “p7m” in fase di lettura.

Sempre nella stessa categoria “abbagli”, deve essere catalogato l’ultimo arresto della Suprema Corte dell’8 febbraio 2019 Sentenza Sez. 3 n. 3709. Anche in questo caso l’errore appare evidente. La Corte, di fatti, assume che il solo registro pubblico valido ai fini della notifica sia quello del Reginde e non già quelli che si possono ricavare dalla combinata lettura dell’articolo 16 ter legge 221/12 così come modificato dall’art. 45 bis comma 2 dl 90/14, nonché dagli articoli 4 e 16 comma 12 (Domicilio Digitale del cittadino e Registro PPAA) della stessa legge, dall’articolo 16 comma 6 dl 185/08 (Registro delle Imprese) e infine dall’articolo 6 bis dlgs 82/05 che pacificamente fa riferimento all’ INIPEC – Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico. Con ogni probabilità la Suprema Corte, anche in considerazione del fatto che tra le parti in causa vi era l’Avvocatura Generale dello Stato, ha confuso il Registro INIPEC con quello IPA, registro questo che con il dl 90/2014 convertito con modificazione dalla legge 11 agosto 2014 n.114 non rientra effettivamente più fra quelli “pubblici” ai fini della notifica in proprio via PEC essendo stato sostituito dal registro PPAA, gestito direttamente dal sito del Ministero di Grazia e Giustizia. Sul punto segnaliamo anche lettera del Presidente Cnf al Presidente della Suprema Corte che sottolinea il macroscopico errore in cui è caduta la terza sezione della Suprema Corte.

A voler prendere le difese del relatore della pronuncia – difesa non semplice -, si potrebbe ipotizzare che l’errore in cui è incorso il giudicante dipende dall’errore in cui è incorso il notificante il quale, molto probabilmente, nella redazione della relata di notifica ha indicato quale registro dal quale aveva estratto quello dell’Avvocatura di Stato quello INIPEC.  Se così fosse il notificante avrebbe errato, posto che l’indirizzo PEC valido ai fini delle notifiche degli atti giudiziari all’Avvocatura di Stato è inserito o nel REGINDE, o in quello degli enti pubblici ut sopra indicato.

In buona sostanza se è vero che l’indirizzo PEC dell’Avvocatura dello Stato non è inserito nel registro INIPEC, questo non sta affatto a significare che il registro non sia valido ai fini delle notifiche rispetto alla categoria dei professionisti e delle imprese private.

 Concludiamo questo panorama segnalando la sentenza della Corte Costituzionale 75/2019. Il legislatore, con decisione assai poco comprensibile, nel dl 90/2014 aveva posto fine al dubbio sui tempi della notifica via pec, introducendo l’art 16 septies al dl 179/12, che prevedeva l’applicabilità dell’art 147 cpc alle notifiche via pec, precisando altresì che la notifica perfezionatisi successivamente alle ore 21.00, si dovesse intendere perfezionata alle ore 7.00 del giorno successivo. La norma, con la citata pronuncia, è stata dichiarata incostituzionale e pertanto, come pareva logico, per il perfezionamento si deve far riferimento esclusivamente al momento della generazione del certificato di accettazione della pec, ovvero sino alle ore 23.59 del giorno della notifica.

La materia e le norme che la disciplinano sono certamente complesse   e a volte confliggono con quelle dettate nel codice del 1942. È auspicabile che tutti gli operatori, magistrati, avvocati cancellieri, dopo un primo comprensibile disorientamento trovino una linea comune di pensiero e che il legislatore intervenga ove sia necessario a smussare gli ultimi spigoli. L’informatica e il pct debbono essere strumento del processo, per migliorarlo e non per rallentarlo. Questo a nostro avviso deve essere il principio da seguire da parte di tutti.

La Commissione Telematica
avv. Stefano Goldtsub
avv. Alessandro Lovato

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Stefano Goldstaub

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Alessandro Lovato