Tra il serio e il faceto

Il diritto a teatro: incontri con l’opera lirica – La figlia del reggimento

La Fondazione Forense Bolognese ed il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna hanno stipulato una convenzione con il Teatro Comunale, così avviando una collaborazione destinata all’organizzazione di eventi culturali e formativi congiunti, che prevede l’abbinamento di spettacoli allestiti dal Teatro con tematiche a carattere giuridico.

Il primo evento, tenutosi il 24 ottobre 2018, dal titolo “Dove c’è un minore c’è famiglia? La negoziabilità dei legami familiari”, organizzato dal Direttore della Fondazione Forense Bolognese, Avv. Stefano Dalla Verità e moderato dalla sottoscritta – al quale ha presenziato il Sovrintendente del Teatro Comunale, Dott. Fulvio Macciardi – ha preso lo spunto dall’opera “La figlia del reggimento”, in programma nel mese di novembre al Teatro Comunale.

La trama dell’opera

Com’è noto, l’opera è un melodramma giocoso, rappresentato per la prima volta a Parigi l’11 febbraio del 1840, composto in musica da Gaetano Donizetti, su libretto in due atti (scritto in francese da Jean –Francois-Alfred Bayard ed in italiano da Calisto Bassi). La trama vede come protagonista femminile Maria, una giovane vivandiera dell’undicesimo reggimento, innamorata di Tonio, il protagonista maschile, un giovane tirolese, innamorato a sua volta di Maria.

Atto primo. La storia si sviluppa in un paesino della Svizzera, circondato dalle montagne, c’è la guerra e c’è il pericolo di un attacco nemico. A difendere la popolazione c’è il reggimento dell’esercito. Tra i soldati vive Maria, considerata ed amata da questi come una figlioccia, il cui padre adottivo, Sulpizio, ha ricevuto dal padre biologico l’affidamento della ragazza in punto di morte. Maria ha confessato a Sulpizio di essere innamorata di Tonio, che tuttavia viene scambiato per una spia del nemico. Ma Maria riesce a farsi ascoltare, lo dipinge come un bravo ragazzo, che le ha salvato la vita, proteggendola da un precipizio. Nel frattempo, la guerra è finita, il nemico si è ritirato, Tonio si è dichiarato ed ha chiesto la mano di Maria. Sulpizio è però contrariato, perché ha promesso in sposa Maria ad un valoroso soldato del reggimento. Un nuovo personaggio entra in scena, la marchesa di Berckenfield, una nobildonna svizzera, costretta a fermarsi, durante il suo viaggio, a causa della guerra, nel paesino in cui vive Maria. È proprio uno scherzo del destino: la marchesa non è altro che la zia della ragazza (o almeno questo dice di essere), credeva che Maria fosse morta durante una battaglia, ed invece è stata salvata, adottata da Sulpizio e dall’undicesimo reggimento.  A questo punto la storia prende una svolta, perché la marchesa vuole portare con sé Maria (che non ha nulla della nobildonna, è stata del resto cresciuta dai soldati), e per lei si offre la possibilità di avere una vera famiglia ed una educazione più consona ad una fanciulla. Tonio, che nel frattempo si era arruolato per stare vicino a Maria, vede svanire il suo sogno d’amore. Maria si sta congedando in lacrime anche dal reggimento, a cui deve la sua riconoscenza, per averla accudita, educata, protetta ed amata.

Secondo atto. Maria vive adesso nel castello di Berckenfield, con la marchesa, che da diversi mesi e con ostinazione ha cercato di trasformare la ragazza in una raffinata e giovane nobildonna. Maria, tuttavia, stenta a dimenticare il suo mondo, i suoi precedenti gusti (anche musicali) e non è felice: malgrado tutte le novità, le mancano la sua “famiglia”, il reggimento e, soprattutto, il suo amore, Tonio.  Un giorno si presenta a trovare Maria l’undicesimo reggimento, la gioia della ragazza è incontenibile, anche perché fra i soldati c’è Tonio, distintosi sul campo e promosso nella carriera militare. Il clima è festoso, i festeggiamenti si aprono con balli e canti, tutto sembra destinato ad un epilogo felice. Ma la marchesa ha, nel frattempo, organizzato un grande ricevimento a palazzo per annunciare le nozze di Maria con il promesso sposo, il duca Krakentorp. La marchesa è insofferente alla presenza del reggimento, che scaccia infastidita, e soprattutto da Tonio, che potrebbe intromettersi nel progetto matrimoniale da lei organizzato. Maria di certo non ha alcuna intenzione di sposare il duca, è innamorata di Tonio, da cui è riamata. La marchesa allora decide di giocare le sue ultime carte per far valere la propria autorità: confessa a Sulpizio di essere la madre biologica di Maria, una verità tenuta per moltissimi anni un segreto, che ora Sulpizio le consiglia di rivelare, per far acconsentire alle nozze la resistente Maria.  Ed in effetti la ragazza, saputa la verità, diligentemente accetta di firmare il contratto (evidentemente per procura) di matrimonio. Ma all’improvviso tutto il reggimento, e soprattutto Tonio, si impongono per impedire quell’unione e, allora, visto il commovente comportamento di Maria, la marchesa prende una decisione, la più saggia, e acconsente alle nozze della figlia con Tonio. Qui la storia si conclude, nel migliore dei modi, come una favola.

Il convegno

Il convegnosi è sviluppato in due parti, rispettando così la trama del libretto, dalla quale è stata tratta l’occasione per un approfondimento e per lo sviluppo di osservazioni che emergono, alla luce attuale, dalla declinazione in chiave giuridica di alcune tematiche emerse dall’opera lirica.

In premessa: la nuova filiazione, relatrice Avv. Stefania Tonini.È stata illustrata una breve presentazione sullo status giuridico dei figli dopo la riforma introdotta con la Legge n. 219/2012 e con il d.lgs. n. 154/2013, in conseguenza della quale l’unificazione/parificazione dello status della filiazione ha comportato che non ricorra più una distinzione in termini di qualificazione, perché i figli sono, pienamente e semplicemente, figli. Sono destinatari delle stesse norme, vengono a loro riconosciuti uguali diritti e tutele, sono soggetti ad uguali doveri. La terminologia discriminante, adottata nel passato (prima del 1975, in figli legittimi e illegittimi o adulterini; con la riforma del 1975, in figli legittimi e naturali), è stata soppressa in tutte le previsioni normative. La nuova formulazione dell’art. 315 c.c., con la proclamazione dell’unitario stato giuridico dei figli, va letta e applicata nel senso di un vero e proprio presidio di uguaglianza dei figli, che non sono responsabili delle scelte di vita dei genitori e, come tali, meritevoli di tutela (cura, educazione, istruzione, mantenimento), a prescindere da queste scelte, mentre assurge primario il dovere della responsabilità derivante dalla procreazione[1].

Lo stato di filiazione è unico, ma si sono mantenute distinte le modalità di attribuzione e di formazione del relativo titolo dello status. In presenza di determinati requisiti fissati dalla legge, il diritto riconosce forme differenti (ma egualmente producenti le medesime tutele), a seconda che il figlio sia: nato dal matrimonio (presunzione di paternità); nato fuori dal matrimonio (azione di riconoscimento ex artt. 250-254 c.c.); nato da procreazione medicalmente assistita (ex Legge n. 40/2004); da adozione (di minori); da adozione (di maggiorenni)[2].

Un breve cenno è stato fatto sull’impianto normativo attuale, che ancora privilegia il principio della verità biologica, tendenzialmente attribuendo la genitorialità con riguardo alla trasmissione del patrimonio genetico (cfr Sandro Sassi)[3], temperando il principio con altri importanti principi di pari rilevanza e dignità, quali quelli della certezza dello statuse della tutela dei rapporti sociali e dell’affettività, cosicchè -salvo alcune limitate eccezioni – le azioni volte alla rimozione dello status debbono essere esperite entro un breve tempo dalla nascita. L’azione di disconoscimento della paternità ad esempio, è soggetta a proprie peculiari regole (concernenti la legittimazione e i termini per l’esperimento), regole poste a tutela degli interessi fondamentali del figlio alla certezza e alla conservazione dello status, anche senon veridico, e all’affettività. Sul punto, la S. C. ha «posto al centro dell’attività del giudice nelle azioni di stato la valutazione dell’interesse del minore,che non coincide necessariamente con l’accertamento della verità biologica, dovendosi garantire sia la certezza e la stabilità dello status, sia i rapporti affettivi sviluppatesi all’interno della famiglia e l’identità così acquisita dal figlio».[4] Con una interpretazione diversa, che è stata oggetto di critica, una recente pronuncia della S.C.[5]ha, al contrario, affermato la centralità del favor veritatis,quale cardine della disciplina in materia di accertamento dei rapporti familiari, prevalente su quello di favor minoris.

Sulla esigenza di bilanciamento tra diritti fondamentali del figlio, in particolare fra verità della filiazione e interesse del minore, è intervenuta da ultimo la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 272 del 22/11/2017, confrontandosi per la prima volta in tema di maternità surrogata, raccomandando un prudente apprezzamento da parte del giudice (il ricorso alla maternità surrogata è illegittima e vietata nel nostro ordinamento), tenendo comunque a mente, nella decisione del caso concreto, l’immanenza dell’interesse del minore nell’ambito delle azioni volte alla rimozione dello status filiationis.

Da ultimo, è stato dato uno sguardo ai nuovi orizzonti dei rapporti e delle relazioni familiari,in conseguenza «all’espandersi delle tipologie di relazioni di coppia» (cfr Enrico Al Mureden), laddove l’intervento legislativo 2012/2013 sulla filiazione ha rappresentato una profonda riforma (comparabile a quanto avvenuto nel 1975 di riscrittura del Libro primo del codice civile), sotto la spinta delle modificazioni sociali e del costume, della Corte Costituzionale, della incidenza nel nostro ordinamento della giurisprudenza della CEDU. In seguito alla riforma sulla filiazione, del resto, «risulta radicalmente modificatala nozione di famiglia legale che, ora, non appare più necessariamente fondata sul matrimonio, considerato che i vincoli giuridici fra i suoi membri prescindono da esso. Sembra quindi evidente la tendenza sempre più marcata al superamento del matrimonio come luogo costitutivo degli status»[6]. Ora si può dire che esista, piuttosto, una entità familiare, fondata su unostatus filiationisunitario e su relazioni di parentela tra il figlio e i gruppi parentali di ciascun genitore, pur in difetto di un rapporto giuridicamente regolato fra i genitori.   Da ultimo, si ricorda l’adozione in casi particolari ex art. 44 lett. d) L. 84/83, nelle coppie non coniugali e nelle coppie dello stesso sesso, ed infine la L.  n. 173/2015 sulla continuità affettiva fra bambine/bambini e affidatari, privilegiando l’adozione piena da parte di coloro che hanno accolto i minori in affidamento familiare.

Si parla di genitorialità affettiva, di famiglia degli affetti, una lettura ispirata al perseguimento del benessere dei minori, al diritto di avere una famiglia, di crescere in ambienti familiari tutelanti e portatori di benessere. Anche un “reggimento”, dunque, può essere famiglia, nel senso brevemente tratteggiato.

PARTE PRIMA – Il tema dell’adozione

Un reggimento per famiglia? Le relazioni familiari fra genitori biologici e genitori sociali

Relatrice Avv. Maria Elena Guarini del Foro di Bologna

La prima parte del convegno, corrispondente all’Atto primo dell’opera per dare continuità ai temi trattati, ha affrontato la tematica dell’adozione.

Nell’excursus storico dell’istituto si sono, in particolare, evidenziate quelle che erano le esigenze originarie (dal periodo del diritto romano sino al codice napoleonico), volte «principalmente a soddisfare le esigenze dell’adottante, che non avesse avuto figli o li avesse perduti. L’istituto veniva disciplinato, invero, con particolare riguardo alla trasmissione del nome e del patrimonio dell’adottante, senza che si interrompessero i rapporti dell’adottato con la famiglia originaria. Solo in via complementare si può ritenere che l’istituto venisse anche in soccorso delle necessità di bambini e/o giovani in difficoltà, ai quali veniva offerta la possibilità di una vita familiare e di una adeguata assistenza».

Successivamente «L’istituto dell’adozione (che era venuto ad occupare una posizione marginale nell’ottocento) conosce …. un’importante rivalutazione che è connessa con un mutamento di prospettiva, ed è conseguenza delle diverse dottrine sociali che si stanno affermando nel pensiero politico corrente». Innanzitutto «Nel codice civile italiano del 1865 fu introdotta una adozione con effetti molto blandi perché interessavano solo adottandi di età superiore ai 18 anni e adottanti senza figli legittimi o naturali, e senza vincoli giuridici personali. La sua funzione preminente consisteva nell’offrire una discendenza a persone prive di figli propri, consentendo loro, la continuità del patrimonio e del nome familiare». La funzione dell’istituto muta dopo la Prima Guerra mondiale, poiché infatti: «intervenne con tutta la sua carica dirompente, il primo conflitto mondiale con il suo corteo di lutti nazionali ed individuali e di crisi sociali politiche ed economiche che evidenziavano, in modo acuto, la mancanza di istituto con finalità solidaristiche ed assistenziali. Si doveva, in particolare, affrontare il problema degli orfani di guerraoffrendo un’assistenza più valida di quella che potevano offrire gli enti (spesso religiosi) deputati alla generica assistenza dell’infanzia. Nel nostro ordinamento fu introdotta la legge n. 2317 del 6.12.1925, che disciplinava l’adozione degli orfani di guerraLa legge introdotta, per affrontare l’emergenza della guerra e del dopoguerra, offrì lo spunto per una revisione dell’istituto dell’adozione che ne spostava l’ottica verso l’interesse primario dell’assistenza ai minori».

Con gli studi della Commissione Reale, «si introducevano parecchie innovazioni giuridiche, nell’ambito generale dell’adozione, ma tali approfondimenti tecnico-giuridici non furono raccolti nel progetto definitivo ministeriale, che ripiegò su una conservazione delle vecchie tradizioni e linee normative. Nel codice civile si sottolineava come l’adozione fosse una concessione dello Stato al privato per consentirgli una discendenza surrogatoria di quella naturale: in tale istituto si escludeva qualsivoglia natura privatistica, ed il consenso delle parti (adottante ed adottato) era solo un presupposto dell’adozione, ma non una volontà costitutiva di vincoli e/o obbligazioni (al punto che, infatti, poteva essere revocato fino all’omologazione della procedura).»

«La promulgazione della Costituzione repubblicana andò ad incidere significativamente sulla posizione del minore. Le norme che più immediatamente riguardano il minore, gli artt. 30 e 31, inserite nella prospettiva di un modello di società e di famiglia quale risulta delineato agli artt. 2,3 e 29, vanno ad integrare un autentico statuto dei diritti dell’infanzia e della gioventù. Tali norme impegnano tutte le istituzioni a considerare le singole disposizioni relative alla gioventù ed all’infanzia, non quali forme episodiche di tutela di soggetti istituzionalmente deboli, ma come elementi costitutivi di una strategia di intervento legislativo fortemente innovativo, dove favor minoris significa promozione dei diritti del minore individuato nella sua condizione di cittadino in formazione.»

«La legge sull’adozione n. 184 del 4.5.1983 e successive modificazioni, ha accentuato in modo significativo quella rivoluzione copernicana introdotta dalla precedente legge n. 431 del 4.5.1967 sull’adozione speciale, che poneva finalmente al centro dell’azione il bambino abbandonato e non più l’adottante. Inoltre, ha prodotto un profondo cambiamento culturale in merito al disagio delle relazioni familiari riguardo alle risposte istituzionali delle relazioni familiari ponendo al centro la protezione del minore

«In questo complesso quadro normativo, come sottolineato in precedenza, la legge n. 184/83 ha avuto il merito storico di mettere ordine fra il potenziale conflitto fra l’adozione speciale e l’adozione ordinaria, distinguendo le due fondamentali categorie: adozione di maggiorenni e adozione di minorenni e all’interno di questa adozione nazionale ed adozione internazionale. Inoltre (e questa parte della legge ha avuto molte ed interessanti applicazioni giurisprudenziali) ha introdotto all’ art. 44 l’adozione per casi particolari.Tale adozione non aveva effetti legittimanti. Tale norma apriva la possibilità di procedere all’adozione anche per i non coniugatie permettere, nell’interesse dei minoril’inserimento in un nucleo familiare anche nei casi in cui le norme rigide (ed in parte tassative) non permettevano l’adizione piena e legittimante

Nel quadro normativo interno ed internazionale«in cui si continua a cercare di regolare in modo equilibrato, i diritti dell’infanzia abbandonata e il moderno multiforme desiderio di filiazione, si incontrano nuove realtà diffuse ove i cittadini offrono disponibilità ad accogliere un minore nelle forme più diverse. Dalla richiesta di adozione dei singoli, alla richiesta di adozione delle coppie gay, nonché alle nuove forme di affidamento che emergono in modo diffuso e che giungono fino alla tutela dei minori stranieri non accompagnati. Ecco che, emerge evidente che l’ambiente ove un minore cresce può essere inteso come famiglia, a prescindere dall’esistenza di un matrimonio fra una coppia eterosessuale; nella realtà, infatti, sempre più la filiazione biologica assume una rilevanza quasi trascurabile, a fronte delle obbligazioni morali che inducono ad una responsabilità genitoriale sociale, anche senza legami di sangue».

(Estratto dalla relazione presentata dall’Avv. Maria Elena Guarini)

PARTE SECONDA – Il tema del consenso matrimoniale

Nozze volute, nozze obbligate, ovvero il problema del consenso matrimoniale nel diritto canonico

Relatrice l’Avv. Angiola Vancini del Foro di Bologna

La seconda parte, corrispondente all’Atto Secondo dell’Opera, si è occupata del matrimonio religioso, in particolare di quello canonico.

«Si è cercato di immaginare cosa sarebbe successo, dal punto di vista specificamente del diritto canonico, ove Maria, “La Figlia del Reggimento” protagonista dell’opera di Donizetti, avesse accettato di contrarre il vincolo religioso con un uomo da lei non amato e non voluto ma accettato quale sposo perché scelto dalla donna scopertasi sua madre.

Centrale è quindi il tema del consenso matrimoniale, elemento fondante il matrimonio quale istituto avente valore sianell’ordinamento civile siain quello canonico in quanto realtà, oltre che umana (e sociale), anche religiosa, posto che, sin dalle Sacre Scritture, il matrimonio è qualificato come donazione totale di sé che, come tale, deve essere libera e valida e, dunque, basata sul consenso.

Quest’ultimo, dal punto di vista del diritto canonico, diviene quindi indispensabile in quanto costitutivo del matrimonio stesso.

Una volta dato ed accettato l’impegno permezzo del consenso l’amore diviene coniugale: il consenso è infatti il primo atto d’amore coniugale, è ciò che rende coniugale la convivenza tra l’uomo e la donna sino a che morte non li separi.

Dal porsi il consenso quale elemento essenziale e necessario deriva che nessuna legge o volontà umana potrà ritenere valido un matrimonio in cui esso manchi o risulti viziato per il diritto canonico: in tali casi il vincolo dovrà infatti considerarsi nullo.

Non essendovi mai stato un vero matrimonio, dal difetto di valido consenso consegue la mancata insorgenza del vincolo, che risulterà come “mai nato”. Motivo per il quale la dichiarazione di nullità opera ex tunc e sarà fatta valere mediante una pronuncia – avente valore dichiarativo – emessa dal Tribunale Ecclesiastico territorialmente competente.

Il diritto (sostanziale e processuale) canonico diviene quindi il viatico mediante il quale la Chiesa, esercitando il proprio potere giudiziario, definitivamente vanifica un matrimonio nella realtà nullo sin dall’origine.

Diviene allora fondamentale individuare le ragioni per cui il consenso deve essere ritenuto come non validamente prestato. Diventa, in altre parole, importante la verifica dei cd ‘vizi del consenso’ quali anomalie capaci di inficiare il matrimonio e, quindi, di portare a veder accertata la sua nullità.

Dall’analisi della globalità dei vizi del consensodisciplinati dal Codice di Diritto Canonico ai canoni 1095-1103 in relazione a quello che avrebbe potuto essere il consenso (malauguratamente) prestato da Maria così come, con divertente gioco di immaginazione, parrebbe emergere dall’opera, non vi sono elementi tali da far presupporre essere le relative nozze inficiate da incapacità psichica dei coniugi, ex can. 1095.

Dall’Opera neppure sembra potersi ravvisare che il vincolo nunziale di Maria avrebbe potuto essere viziato in ragione dell’ignoranza sull’essenza del matrimonio ex can. 1096: assai strano sarebbe infatti stato che la nostra Protagonista, cresciuta da un reggimento o il suo promesso sposo, rampollo di nobili origini, davvero non sapessero essere il matrimonio un consorzio permanente tra l’uomo e la donna ordinato alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale.

Ugualmente Maria non pare si sarebbe sposata in base ad un errore osull’identità fisica del coniuge osu una sua qualità voluta in maniera determinate (ex can. 1097), così come il suo consenso non appare sarebbe stato carpito con dolo (can. 1098).

Più facile ipotizzare che la ragazza avesse, se del caso, simulato il proprio consenso rispetto ad un matrimonio invece intrinsecamente non voluto nella sua interezza (simulazione totale) oppure si fosse accostata alle nozze rifiutando l’idea di una sua unione nunziale costituente una vera ed intima comunione di vita e di amore coniugale, così quindi rifiutando il bonium coniugum e, dunque, fornendo un consenso solo parziale rispetto agli elementi ed alle proprietà essenziali del matrimonio.

Dall’opera di Donizetti nulla riusciamo ad ipotizzare rispetto alla sussistenza di altri motivi di simulazione parziale ex can. 1101 (esclusione dell’indissolubilità del matrimonio e/o della prole e/o della fedeltà e/o della sacramentalità) o circa l’apposizione – da parte di Maria o del suo nobile promesso sposo – di una condizione al matrimonio che, come tale, ex can. 1102, rende nullo un vincolo che deve invece essere assolutamente libero anche dal punto di vista temporale e non invece assoggettato ad un effetto sospensivo, che potrebbe peraltro anche essere perpetuo.

Non è invece da escludere che la nostra Protagonista sarebbe eventualmente giunta al matrimonio perché spinta dal c.d. timore reverenziale, ovvero in quanto gravata da quel turbamento dell’animo derivante dalla paura di far male alla di lei madre quale persona da cui sentiva di, in qualche modo, psicologicamente dipendere, così ponendosi quale vittima di un timore tale da indurla a ritenere di non potersi opporre al desiderio di un soggetto da cui si sentiva intimamente sottomessa e di cui poteva temere di perdere l’affetto o subire gravi conseguenze.

Ipotizzabile è, in altre parole, che ove Maria avesse effettivamente contratto il matrimonio combinatole dalla madre, tale vincolo avrebbe potuto essere dichiarato nullo dal Tribunale della Chiesa “a causa di violenza o di timore grave proveniente dall’esterno”, ex can. 1103.

Questo anche nell’ipotesi, che invero appare nel libretto dell’Opera, in cui il matrimonio fosse stato da Maria contratto per procura, modalità del resto individuata, anche perché nella Chiesa di lunga tradizione, dal codice di diritto canonico, che conosce la possibilità di prestare il consenso matrimoniale mediante un procuratore designato direttamente dal mandante, che deve fornire un mandato speciale- comunque revocabile – , necessariamente scritto e sottoscritto anche da un sacerdote o, in assenza, da due testimoni (o direttamente “con documento autentico a norma del diritto civile”, ex can 1105).

Ciò non è stato necessario perché la Marchesa, madre di Maria, al momento della firma ha fortunatamente fermato la mano della figlia ponendola invece tra le braccia dell’uomo da lei veramente amato che, almeno così si comprende, sarebbe poi divenuto suo sposo.

Ma, seguendo il viaggio immaginario compiuto rispetto agli intendimenti della Figlia del Reggimento, siam sicuri che Maria, in foro interno, non nutrisse qualche perplessità anche rispetto a Tonio? Siam certi che la nostra eroina, scopertasi nobile, ancorché animata da un forte sentimento, in realtà non nutrisse, per esempio, qualche riserva mentale rispetto al matrimonio contratto con lo sposo soldato?».

(Estratto dalla relazione presentata dall’Avv. Angiola Vancini)

Avv. Stefania Tonini
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna

[1] Autori vari, “La filiazione e i minori”, Ed. Utet 2018 Stefania Stefanelli.

[2] Un problema a sé è quello derivante dal ricorso alla maternità surrogata, vietata dal nostro ordinamento.

[3] Autori vari, op. cit.

[4] Cass. Civ.  22/12/2016 n.  26767

[5] Cass. civ. 15/02/2017 n. 4020

[6] Fondazione italiana del Notariato, Autori vari, Massimi Palazzo, notaio in Pontassieve.

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Stefania Tonini