Il Foro in pratica

Il riscatto previdenziale nella previdenza forense

Già il sostantivo è inquietante ed evoca fattispecie penalistiche, quasi che la vita dell’ostaggio dipenda da un pagamento, ob torto collo, forzato, comunque contro la volontà dell’oblato.

A parte il siparietto l’istituto per gli iscritti a Cassa Forense è, da ultimo, quello più massicciamente gettonato, anche se all’attualità con la confusione ingenerata dal “cumulo”, previsto dall’art. 1 commi 195 e seguenti della legge di bilancio 2017, pare esservi una pausa di riflessione in attesa delle più mirate interpretazioni applicative specificamente riferibili alle autonome normative delle casse privatizzate piuttosto che a quella pubblica dell’INPS[1].

Le ragioni sono presto disvelate: la professione forense sta diventando, via via, sempre più usurante e tanti non possono pensare di (non vogliono più) arrivare a 70 anni con almeno 35 di anzianità contributiva, con aumentati costi di studio ed il progressivo calo reddituale; le donne vogliono ritagliare più tempo per loro, per la loro famiglia, per figli e nipoti nell’autunno della loro vita etc.  Sul punto è sintomatico registrare un revirement su quanto in precedenza avveniva e cioè che gli avvocati negli ultimi anni di professione potevano annoverare un aumento quasi esponenziale del reddito legato all’esperienza, alla fama, alla maturità e via discorrendo.

Oggi, per effetto della liberalizzazione con le lenzuolate Bersani, i grandi committenti (che pagavano generosamente i propri avvocati quali le assicurazioni, le banche e grandi gruppi industriali) ricercano professionisti giovani e non cui, come si dice nello slang della mia regione, “tirare nel collo” costringendoli ad accettare compensi davvero modesti. Ho notizia in alcuni casi di inique convenzioni che importano, in caso di soccombenza della controparte condannata dal Giudice a rimborsare le spese legali, l’incameramento del compenso in capo al cliente/committente, anche nel caso in cui la detta liquidazione giudiziale sia superiore al montante accettato dal professionista con la tanto osteggiata convenzione al ribasso.

Tutto ciò con buona pace degli arresti del Consiglio Nazionale Forense che afferma: “Il compenso può ritenersi sproporzionato od eccessivo ex art. 43 codice deontologico (ora 29 ncdf) solo al termine di un giudizio di relazione condotto con riferimento a due termini di comparazione, ossia l’attività espletata e la misura della sua remunerazione da ritenersi equa; solo una volta che sia stato quantificato l’importo ritenuto proporzionato può essere formulato il successivo giudizio di sproporzione o di eccessività che, come ovvio, presuppone che la somma richiesta superi notevolmente l’ammontare di quella ritenuta equa[2].

Da ultimo si veda il disegno di legge sull’equo compenso che ridà dignità anche economica alla alta funzione del difensore di cui hanno di recente parlato tanto il Presidente del CNF che il Presidente del CUP[3].

Del resto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha licenziato un disegno di
legge che prevede il diritto all’equo compenso, «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto, alle caratteristiche della prestazione legale» ed all’abolizione delle clausole vessatorie[4].

Diversi colleghi (ignorando evidentemente la diuturna opera di interdizione con la politica) pretenderebbero che i rappresentanti dell’avvocatura si impegnino con attività di lobbing per caldeggiare una leggina che introduca con effetto cogente il ritorno ai minimi, non più tariffari, ma a quelli dei parametri adottati dal Ministero di Giustizia.

Personalmente, anche perché l’età mi consente, talvolta, di essere un poco irriverente, dapprima invito i queruli clientes a rifiutare siffatte proposte contrattuali importando così al committente almeno di faticare nel ricercare un collega disposto ad accettare, ovvero, più costruttivamente, consentire ai giovani di poter concorrere, considerato magari che, per i minori costi nella gestione dei loro studi agli inizi della carriera, potrebbero trovare soddisfacente la pur più modesta prestazione sinallagmatica.
Tornando al tema, perché ho il vezzo di perdermi nelle proposizioni che mi appassionano, e dunque al riscatto previdenziale[5] che, come plasticamente riportato nell’opuscolo curato dalla Commissione Formazione di Cassa Forense[6], è quell’istituto “…utile al fine di aumentare figurativamente l’anzianità contributiva con possibilità di anticipazione del pensionamento e calcolo della pensione su un maggior numero di anni.”, non senza dapprima ricordare che non solo agli iscritti spetti il diritto (la facoltà) di accedervi, infatti anche altri soggetti possono beneficiarne, mi riferisco agli avvocati cancellati ma aventi diritto alla pensione di vecchiaia; ai titolari di pensioni di inabilità ed  ai superstiti, per conseguire, ad esempio, la pensione indiretta.

Il riscatto può avere ad oggetto: il corso di laurea; il servizio militare obbligatorio e civile sostitutivo per anni due; il periodo di pratica per anni 3 nel massimo con o senza abilitazione al patrocinio.

Comunque sia ciò che più ha stimolato questo intervento risiede nella modulistica (reperibile sul sito www.cassaforense.it) recte nel suo riempimento, piuttosto semplice per vero, particolarmente in caso di invio telematico dell’istanza, ma che, seguendo le istruzioni ed i rinvii, disvela la necessità di alcune conoscenze del vissuto del richiedente cui attingere per evitare, in rarissimi casi per vero, qualche effetto ostativo.

Dapprima il riscatto della laurea che, voglio ricordare, era pari ad anni 4 ma che ora Cassa Forense può accordare nella misura massima di 5 anni, pari alla durata del corso di laurea magistrale in giurisprudenza[7], atteso che l’art. 24 della legge 11 febbraio 1992, n. 141, recita: “Il periodo legale del corso di laurea in giurisprudenza è riscattabile”.

Quasi ultroneo significare, in via di massima semplificazione, che il richiedente potrà nel massimo riscattare 4 o 5 anni con riferimento all’anno della sua immatricolazione universitaria.

Il servizio militare obbligatorio, deve intendersi quello di leva, per gli ufficiali di complemento opererà l’istituto della ricongiunzione con INPS (con l’avvertenza che sarebbe saggio presentare la domanda poco dopo l’iscrizione a Cassa Forense, più precisamente all’Albo ai sensi del regolamento di cui all’art. 21 legge 247/2012, per contenere quanto più possibile l’eventuale costo, atteso che deve essere salvaguardata la cd riserva matematica).

Due ultime importanti cautele: con riferimento la prima al punto e) del modulo che richiama l’avvertenza di non aver usufruito presso altro Ente previdenziale del riscatto per i medesimi titoli e la seconda, più pregnantemente, al punto d) del modulo che specifica come gli anni per i quali si chiede il riscatto non debbano essere coincidenti con anni di iscrizione ad altre forme di previdenza obbligatoria per le quali possa essere richiesta l’applicazione della legge n. 45/90 (ricongiunzione dei periodi assicurativi).

Quanto a quest’ultima eventualità sovviene l’effetto ostativo di cui ho accennato, che si potrebbe verificare quando il richiedente, per esempio, abbia maturato periodi di contribuzione presso INPS avendo lavorato in contemporanea alla frequenza delle aule universitarie (pensiamo agli studenti lavoratori).

A causa di tale contemporaneità contemplata all’art. 6 legge 45/90, cui si rinvia, il richiedente allora non potrebbe per quell’anno o per quegli anni richiedere il riscatto ma dovrebbe, semmai, avanzare domanda di ricongiunzione, quasi sempre onerosa (salvi gli effetti del nuovo cumulo di cui sopra abbiamo dato conto).

Il suggerimento allora consiste nell’ottenere dall’INPS l’estratto contributivo prima di presentare la domanda di riscatto così verificando a quante settimane contributive si riferisce la prestazione lavorativa dell’epoca e ciò perché vi è un limite nella possibilità di richiedere la ricongiunzione atteso che un anno di anzianità contributiva può essere riconosciuto a fronte di almeno 26 settimane lavorate.

L’invito conclusivo a chi avrà avuto la pazienza di completare la lettura di questo mio contributo consiste dunque nel informarsi compiutamente e per tempo presso Cassa Forense, segnalando le particolarità delle proprie esigenze, per cogliere quelle opportunità che se afferrate nei tempi giusti consentiranno davvero di avere un futuro più sereno e scelte consapevoli, comunque ricordando che chi ha paura di chiedere ha paura di imparare.

Seneca in modo sagace affermava che: “ chi non pensa al futuro incappa incauto in tutto[8].

Sempre gli antichi affermavano poi che: “..la previdenza è la virtù per la quale il futuro è immaginato prima che avvenga[9].

Giovanni Cerri foro di Bologna delegato di Cassa Forense

[1] ItaliaOggi Sette, 27 dicembre 2016, pag. 16; Casse, requisiti severi per il cumulo, Il Sole 24 Ore 25 gennaio 2017, pag. 39; Cumulo gratuito dei periodi assicurativi: è tutto oro quel che luccica?, M. Bacci, CF NEWS n. 1/2017.

[2] Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Tacchini), sentenza del 11 giugno 2015, n. 87 ed in senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (Pres. Alpa, Rel. Tacchini), sentenza del 20 febbraio 2012, n. 17.

[3] Intervento del Presidente del Consiglio Nazionale Forense alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Corte di Cassazione, Roma, 26 gennaio 2017; Marina Calderone, presidente CUP: la qualità del
lavoro deve essere premiata, 26 gennaio 2017.

[4] Il Sole 24 Ore 8 novembre 2016, con il puntuale resoconto dell’intervento del Ministro di Giustizia al Congresso Forense di Rimini di Giovanni Negri.

[5] Art. 24 della legge 11 febbraio 1992, n. 141.

[6] Cassa Forense, conoscerla in breve, gennaio 2016, pag. 25.

[7] Decreto ministeriale 3 novembre 1999 n. 509; per quanto riguarda l’ateneo bolognese si rinvia al Decreto Rettorale 15 ottobre 2001, n° 296/47 http://www.unibo.it/bollettino/bu80/atti2.htm

[8]Seneca, Le Quattro virtù cardinali, dalle lettere a Lucullo.

[9]Viridarium principum, Il giardino dei principi, De Pace Andreas, O. Min. , curatore D. Ciccarelli, Officina di Studi Medievali biblioteca Francescana, Palermo, 2003, cap. XX, pag. 153

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Giovanni Cerri