Speciale trentennale

Extra Moenia

Bologna Forense, quando veniva stampata in formato cartaceo, era distribuita, oltre che agli iscritti all’Ordine di Bologna, anche ai Consiglieri del C.N.F., a tutti i Consigli degli Ordini forensi Italiani, ai delegati dell’O.U.A, ai delegati alla cassa Forense, ai magistrati in servizio presso il foro di Bologna, alle istituzioni, ai Consiglieri e assessori comunali, agli organi di stampa locali.

Bologna Forense, quando veniva stampata in formato cartaceo, era distribuita, oltre che agli iscritti all’Ordine di Bologna, anche ai Consiglieri del C.N.F., a tutti i Consigli degli Ordini forensi Italiani, ai delegati dell’O.U.A, ai delegati alla cassa Forense, ai magistrati in servizio presso il foro di Bologna, alle istituzioni, ai Consiglieri e assessori comunali, agli organi di stampa locali.
La rivista aveva quindi una diffusione ben oltre i confini dell’avvocatura locale.
Ed è per questo motivo, in occasione di questa importante ricorrenza, che, su nostra richiesta, ospitiamo il contributo di un magistrato, il Dott. Alberto Candi, Avvocato Generale presso la Procura Generale di Bologna, che ha voluto indirizzarci il suo pensiero ed il suo augurio.

judge

Trenta anni di rivista e di passione per la giustizia

Trent’anni. Una volta, mi sembravano tanti. Feci i miei primi processi, come avvocato, che ne avrò avuti ventisei, ventisette al massimo. Pochi processi, da avvocato. Poi entrai in magistratura, ma neppure lì raggiungevo i trent’anni. Pretore a Ferrara. Esistevano ancora i Pretori: inquisivano e, poi, giudicavano. Mostri dalla doppia fronte, come Giano: di qua giudici, di là pubblici ministeri. Un orrore, per i tempi di adesso.

Trent’anni: niente. Magari li avessi ora! Se si parla di una rivista, invece, trent’anni sono tanti; davvero molti. Il mondo “esterno”, in questi trent’anni, ha subito una rivoluzione: è caduto il muro di Berlino; l’Europa si è allargata, passando da dodici a ventotto Paesi (finché gli UK non saranno definitivamente usciti); sono cadute le frontiere interne (grazie a Schengen); è nato l’euro, che ha mandato in cantina la lira spazzandone il valore; i Balcani sono stati dilaniati dalla guerra; sono iniziati i flussi migratori, prima da est e poi da sud; la Cina ha invaso i mercati mondiali; è caduta la prima Repubblica con tangentopoli; gli aerei low cost, la tecnologia, la crescita di internet hanno globalizzato il mondo; la bolla dei subprime americani è esplosa gettando tutti nella crisi; il mondo della finanza la fa da padrone, condizionando e riducendo i poteri dei regimi democratici; e per finire – ma qualcosa avrò lasciato indietro – il terrorismo internazionale. Non ci siamo fatti mancare niente. Avevamo giusto bisogno di Donald Trump, ma alla fine è arrivato anche lui.

Altrettanto è cambiato il mondo “interno”; dico “interno” a una rivista giuridica con “vocazione locale”. È cambiato talmente tanto che ora la rivista è un concetto “virtuale”. Se vuoi toccarne le pagine, te le devi stampare. Se infatti vai sul “sito”, impari che la rivista è ora “esclusivamente on-line”. Il rimpianto per quelle belle pagine patinate è lenito dalla scoperta che il risparmio dei costi per la stampa e la rilegatura è servito per istituire borse di studio per i praticanti e dimezzare le quote ai patrocinatori più giovani. Ben venga la lettura sullo schermo!

È cambiato anche il “mondo giuridico” cittadino; così tanto, che la toponomastica stradale è rimasta indietro. Mi commuovo la mattina, quando prendo “il 30” e arrivo in viale XII Giugno, dove la voce femminile d’un anonimo computer annuncia: “Prossima fermata: Tribunale”. Quale Tribunale? Il Tribunale non c’è più; qui sono rimaste solo la Corte d’Appello e le Procure. Il Comune quando se ne accorgerà?

Mi rincuoro passando il portone di Palazzo Ranuzzi (o Palazzo Baciocchi, se preferite). Il vecchio portiere non c’è più; è cambiato. Eppure – qui dentro – avverti qualcosa di più della presenza di singole persone che abitano il palazzo, lo frequentano, vi lavorano e passano. Qui si respira l’aria d’una comunità che si occupa di giustizia cercando di rendere, al meglio, un servizio ai cittadini. Ognuno ha il proprio ruolo, e i ruoli sono anche conflittuali. Ma tutti lavorano per lo stesso fine: la giustizia, anche se i risultati sono spesso inappaganti (e talvolta molto amari).

Quest’aria di comunità la avvertii sin dalla prima volta che passai la soglia del Palazzo. Andavo a iscrivermi come praticante avvocato. Ero da poco uscito dall’università, quell’Alma Mater che ci sforna tutti: giudici, avvocati, pubblici ministeri e cancellieri. Qui è nato lo Studium, la più vecchia università del mondo. Quando ancora la frequentavo (e spero che sia così ancora adesso), si avvertiva che lì c’era la “pancia”. Lì erano le radici di un’esperienza e conoscenza comuni, destinate a rimanerti dentro, qualsiasi ruolo o lavoro avresti poi svolto in futuro. Un senso di appartenenza comune al “mondo della bilancia”.

L’impegno civico di questo mondo mi veniva dimostrato, giorno per giorno, dall’avvocato Francesco Berti Arnoaldi Veli, che mi aveva accolto nel suo studio. Pochi anni dopo, quando ormai ero magistrato, Francesco me ne avrebbe dato un ulteriore conferma, patrocinando la regione Emilia-Romagna – lui, che era un civilista –nel processo penale per la strage del 2 Agosto. Le altre parti civili pubbliche, il Comune e la Presidenza del Consiglio erano patrocinate, rispettivamente, dall’avvocato Giuseppe Giampaolo e dell’avvocato dello Stato Fausto Baldi.

Lo stesso impegno e lo stesso amore per la giustizia l’ho ritrovato, in seguito, in tanti altri avvocati, magistrati e cancellieri. Ne voglio ricordare uno. È facile: trovo spunto dalla copertina della rivista on-line. Mario Giulio Leone, l’avvocato alla cui penna, felice nel disegnare non meno che nello scrivere, si deve l’attuale logo dell’Ordine degli Avvocati di Bologna: la città che erge le sue mura e le sue torri a difesa dei diritti degli abitanti.

L’amore per la giustizia, il fil rouge che ci lega tutti, mi fa rifiutare le contrapposizioni di maniera; le contrapposizioni “di categoria”. Non solo per fare bene il giudice, ma per fare bene il pubblico ministero e anche l’avvocato, bisogna mettersi nei panni degli altri. Non lo sostengo io. Lo sostiene, ad esempio, quel mio amico avvocato che sottopone i propri clienti a interrogatori degni della peggiore inquisizione, per conoscere i punti deboli degli assistiti e poter, quindi, provvedere alla loro miglior difesa. Lo deve fare il pubblico ministero, non solo perché glielo impone l’art. 358 c.p.p., ma perché la ricerca della verità pretende l’esercizio del dubbio. “L’arte del dubbio” è il titolo d’un noto libro scritto da un ex collega, Giancarlo Carofiglio. Lui ne parla come dell’esercizio logico che deve affrontare ogni giudice, ma lo stesso vale per gli altri protagonisti dell’udienza. La verità – almeno quella processuale – la si raggiunge soltanto guardando le cose da tutti i lati.

È per questo che sostengo, da sempre, la bontà delle iniziative di formazione comune per avvocati e magistrati. E sono ben contento che negli ultimi anni, qui a Bologna, tali iniziative siano cresciute di numero e d’importanza. Sempre per questo ho condiviso, con l’attuale Presidente del Consiglio dell’Ordine, lo sforzo per una regolamentazione degli accessi all’aula del processo “Aemilia” che tenesse conto, da un lato, delle esigenze di sicurezza e, dall’altro, della giusta considerazione che si deve al ruolo del difensore. Né posso dimenticare come le forze di polizia abbiano compreso bene l’importanza di questo ruolo e del nostro comune sforzo.

Ancora, ho accolto con grande favore la proposta del nuovo Presidente della Corte d’Appello, dott. Giuseppe Colonna, di mettere insieme gli “amici nella giustizia” – come li ha chiamati lui, nel discorso inaugurale per l’anno giudiziario 2016 –, perché lavorassero tutti  attorno a un tavolo per raggiungere prassi comuni e protocolli d’intesa atti a migliorare il servizio offerto ai cittadini. Di qui è nato l’“Osservatorio sulla giustizia penale presso la Corte d’Appello di Bologna”, che – pur nella comprensibile dialettica tra i diversi protagonisti dell’udienza – sta lavorando concretamente per arrivare a risultati condivisi nella direzione di una più efficiente amministrazione della giustizia.

Voglio infine ricordare la bellissima iniziativa “A scuola di legalità”, promossa dal Consiglio dell’Ordine unitamente all’Assessorato alla scuola del Comune di Bologna, al liceo scientifico Righi, alla Procura Generale e alla Corte d’Appello. Attraverso di essa, gli studenti delle scuole, cittadini di domani, sono stati messi in contatto con il mondo della giustizia.  È stato celebrato un processo simulato svoltosi nell’aula della Corte d’Assise d’Appello, che ha coinvolto i ragazzi come attori, iniziandoli alla cultura della legalità, dei valori della democrazia, dell’esercizio dei diritti e dei doveri di ogni cittadino.

Quale maggiore contributo al “servizio giustizia”, se non la diffusione tra i giovani dell’amore per la legalità?

Sarà che, invecchiando, sono sempre più ripetitivo, ma non trovo modo migliore per concludere che ricorrere – come feci per l’inaugurazione dell’anno giudiziario ormai terminato – alle parole dell’avvocato Remo Danovi, già Presidente del Consiglio Nazionale Forense: “«Noi siamo la giustizia». Ciascuno di noi, come individuo, come cittadino, come persona, come singolo o facente parte della collettività… noi siamo la giustizia, se compiamo un atto giusto. Siamo la giustizia se rispettiamo i nostri diritti e quelli altrui e rifiutiamo ogni comoda scorciatoia che porta alle illegalità, piccole o grandi che siano”.

Poggia sui giovani che crescono la speranza d’una giustizia migliore.

Perciò, auguri Bologna Forense, evviva i tuoi trent’anni!

Alberto Candi
Avvocato Generale presso la Procura Generale di Bologna

 

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Alberto Candi