Pareri deontologici e ordinamentali

Carica di Presidente di ente pubblico e compatibilità con l’iscrizione all’albo – Verbale adunanza del 16/3/2016

Riferisce il Consigliere Avv. Federico Canova in merito alla richiesta di parere preventivo dell’Avv. Tizio.

In data 29/02/2016 l’Avv. Tizio ha avanzato, a mezzo e-mail, richiesta di parere preventivo in ordine alla proposta pervenutagli di ricoprire la carica di Presidente delle Alfa, ente di diritto pubblico, con sede in Imola. Il legale ha precisato che lo scopo di tale ente è la gestione dei propri patrimoni mediante, in via esemplificativa, stipula di contratti di locazione e la realizzazione di opere di manutenzione, per conseguire finalità di natura sociale mediante il sostegno di famiglie disagiate.

In particolare, il parere richiesto attiene alla incompatibilità, o meno, della carica di Presidente, con l’esercizio della professione forense, in relazione al disposto di  cui all’art. 18 L. 247/12, che esclude l’incompatibilità nel caso in cui l’attività della società consiste in amministrazione di enti pubblici.

L’istante ha allegato copia dello statuto dell’ente ed ha chiesto un sollecito riscontro, compatibilmente alle esigenze dell’Ufficio, stante la ristrettezza dei termini a lui concessi per l’eventuale adesione, al fine di dare corso ai bandi di nomina.

Il CONSIGLIO

udita la relazione del Consigliere dell’Ordine Avv. Federico Canova, assegnatario del parere richiesto,

OSSERVA

È necessario premettere che il Consiglio dell’Ordine, nell’espressione del parere richiesto, non intende, nemmeno astrattamente, interferire con lo svolgimento, anche solo potenziale, eventuale e futuro, di funzioni disciplinari, che, come noto, esulano dalle proprie prerogative istituzionali.

Tuttavia, è proprio in forza del principio di autonomia, che disciplina e regola le diverse funzioni che ora, diversamente da prima della costituzione del Consiglio di Disciplina, il Consiglio dell’Ordine può legittimamente essere chiamato ad esprimere pareri in materia deontologica, essendo venuta meno l’originaria forma di incompatibilità, non svolgendo più funzioni di carattere disciplinare decisorio.

L’esame della fattispecie sottoposta alla attenzione del Consiglio dell’Ordine non può prescindere dalla ratio sottesa agli artt. 18 e 19 della L. 31/12/2012 n. 247.

La disciplina della incompatibilità, e le sue eccezioni, sono, infatti, rispettivamente contenute in tali articoli.

Giova rilevare che tali norme, diversamente da altre, sono di immediata applicazione rispetto alla data di entrata in vigore della legge citata.

È bene, da subito, evidenziare che la novità consente l’assunzione della qualità di amministratore unico, Consigliere Delegato e di Presidente del Consiglio di amministrazione per le società c.d. famigliari e per enti, consorzi e società a capitale interamente pubblico.

La ratio delle norme richiamate, è, come nel sistema previgente, quello di garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’Avvocato nell’esercizio della sua attività professionale: “indispensabili condizioni dell’effettività della difesa e della tutela dei diritti”, come recita l’art. 1, comma 2, lett. b), della citata legge, e i principi su cui si fonda l’esercizio dell’attività di avvocato, come dispongono l’art. 2, comma 1 “L’avvocato è un libero professionista che, in libertà, autonomia e indipendenza svolge le attività di cui ai commi 5 e 6”, e l’art. 3, comma 1, primo periodo “L’esercizio dell’attività di avvocato deve essere fondato sull’autonomia e sulla indipendenza dell’azione professionale e del giudizio intellettuale.”

In particolare la lettera c) dell’art. 18 sancisce che: “la professione di avvocato è incompatibile con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente del consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto dell’attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali e familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico”.

Al precedente dettato normativo deve poi aggiungersi il diretto richiamo effettuato dall’art. 6 del C.D.F. che sancisce per l’Avvocato il divieto di esercitare attività incompatibili con la

permanenza dell’iscrizione all’albo e con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense.

Anche il precedente orientamento giurisprudenziale, pur in vigore della Legge professionale del 1933 e del previgente codice deontologico, circoscriveva l’incompatibilità fra professione forense e cariche sociali alle ipotesi in cui il soggetto fosse titolare di effettivi poteri gestionali, non riconoscendo alcuna condizione di incompatibilità qualora le sue funzioni fossero di mera rappresentanza.

A Tal fine è stato rilevato “essere incompatibile con l’esercizio della professione forense e deve essere cancellato l’avvocato presidente di una s.p.a., se pur municipalizzata, che vanti poteri effettivi di gestione ordinaria e straordinaria. La carica di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore di una società commerciale è, infatti, compatibile con l’esercizio della professione forense e l’iscrizione all’albo, solo nell’ipotesi in cui tale funzione comporti compiti meramente amministrativi e rappresentativi“ (C.N.F. parere n. 165 del 26 giugno 2003).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 25797 del 18 novembre 2013, in tema di compatibilità fra la professione di avvocato e la carica di presidente di un consiglio di amministrazione di una società (invero nel caso di specie trattavasi di praticante avvocato, ma le considerazioni giuridiche sottese alla decisione rimangono le stesse) ha evidenziato come il nuovo disposto normativo di cui all’art. 18 della L. 247/2012, laddove circoscrive poteri gestori, recepisce un consolidato orientamento giurisprudenziale, che appunto, escludeva l’incompatibilità fra la professione forense e l’assunzione di cariche che fossero prive di effettivi poteri di gestione o di rappresentanza.

La riforma forense, con la lettera d) dell’art. 18, supera, in senso maggiormente libertario e preconcorrenziale, la normativa precedente del 1933. Il legislatore, in effetti, ha apportato innanzitutto uno “svecchiamento” generale della disciplina, tenendo in considerazione gli orientamenti interpretativi forensi e giurisprudenziali formatisi in materia, introducendo novità sostanziali in punto di disciplina.

Come si può notare, in questo caso il Legislatore si è implicitamente attenuto all’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte (Cass., Sez. Un., n. 14810/2009), eliminando, in primis, il dubbio interpretativo creato dall’espressione “ogni altro impiego retribuito”, di cui al comma 3 dell’art. 3 del vecchio ordinamento forense, ovvero se essa si riferisse solo all’attività subordinata o anche a quella autonoma, e riaffermando così il principio per cui lo svolgimento di un’altra attività autonoma costituisce incompatibilità solo se svolta in via continuativa o professionalmente, e non nel caso in cui si tratti di svolgimento limitato o di breve durata o saltuario.

Infatti, ha espressamente prescritto l’incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta “continuativamente o professionalmente”, escludendo non solo quelle di carattere scientifico e letterario, come in passato, ma anche quelle di carattere artistico e culturale. In deroga, ancora, al disposto in questione, la norma consente agli avvocati di iscriversi nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco di pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti di lavoro, ma non di esercitare l’attività di notaio, come in passato.

In secondo luogo, l’art. 18, lett. b), stabilisce che la professione forense “è incompatibile con l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui.”

In questo caso, il Legislatore ha precisato, a differenza del passato, che l’incompatibilità sussiste con l’esercizio di “qualsiasi” attività di impresa commerciale svolta non solo in nome proprio o altrui, ma anche “per conto di altri”, facendo salva, comunque, la possibilità di assumere incarichi di gestione e vigilanza nelle procedure concorsuali o in altre procedure relative a crisi di impresa.

Ancora, l’art. 18, lett. c), prescrive, come precisato sopra, che la professione forense è incompatibile “con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione”, specificando che questo tipo di incompatibilitànon sussiste se l’oggetto della attività della società è limitata esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico.”

Si tratta di una integrazione speciale del disposto di cui alla lettera precedente. Anche in questo caso, il Legislatore si è attenuto agli orientamenti giurisprudenziali formatisi durante la vigenza dell’art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933, di cui si è dato conto sopra.

Infine, l’art. 18, lett. d), stabilisce che l’incompatibilità sussiste “con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato.” Quindi, come in passato, il vincolo di subordinazione costituisce indiscusso ostacolo all’autonomia e all’indipendenza della professione forense e, pertanto, determina incompatibilità col suo esercizio.

In deroga a quanto previsto dall’anzidetta lettera e dalla lett. a) dell’art. 18, l’art. 2, comma 1, del nuovo ordinamento forense, consente, tuttavia, l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ovvero la stipulazione di contratti di prestazione continuativa e coordinata, aventi ad oggetto la consulenza e l’assistenza legale stragiudiziale, nell’esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l’opera viene prestata.

Adesso, vediamo quali sono le eccezioni alle norme sulla incompatibilità, previste nel successivo art. 19 del nuovo ordinamento forense. Alcune di esse, come si è appena visto, sono state inserite nell’art. 18, quali eccezioni volte a specificare la non incompatibilità nelle varie ipotesi di sua sussistenza elencate in esso.

Innanzitutto, l’art. 19, comma 1, dispone che “l’esercizio della professione di avvocato è compatibile con l’insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nell’università, nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate e nelle istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione pubblici.”

Poi, al comma 2, specifica che “i docenti e ricercatori universitari a tempo pieno possono esercitare l’attività professionale nei limiti consentiti dall’ordinamento universitario” e, per questo, “devono essere iscritti nell’elenco speciale, annesso all’albo ordinario.” Infine, al comma 3, “fa salva l’iscrizione nell’elenco speciale per gli avvocati che esercitano attività legale per conto degli enti pubblici con le limitate facoltà disciplinate dall’art. 23.”

In questo caso, il Legislatore ha introdotto una deroga specifica alla lett. d) dell’art. 18, relativa all’incompatibilità con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato.

Nel complesso, la nuova disciplina della incompatibilità con le sue nuove eccezioni, contenute negli artt. 18 e 19, rappresenta una rivisitazione della vecchia disciplina.

L’intento del legislatore è stata quella di renderla più consona, adeguata e conforme alle esigenze della società contemporanea.

È pur vero che, caso per caso, ciascun professionista è chiamato, se soggetto cosciente e capace di comprendere l’essenza della funzione sociale della professione presupposta, a valutare se l’assunzione e lo svolgimento di ruoli diversi consenta il rispetto di principi di autonomia ed indipendenza e, soprattutto, se possono costituire un vero e proprio pregiudizio della dignità e decoro personale e professionale.

Il confine rispetto a condotte disciplinarmente rilevanti, come nell’ipotesi di conflitti di interesse con i clienti, è davvero sottile.

Ciò doverosamente premesso e considerato, se, nel caso di specie, non si può prescindere, come enunciato in principio, dagli articoli 18 e 19 della legge professionale, al fine della espressione del parere richiesto, non si può nemmeno prescindere dall’esame integrale dello statuto de quo, o, meglio di alcuni articoli.

In particolare, si richiamano gli articoli che seguono, in quanto rilevanti:

Art. 2 Scopi

  1. L’Ente ha lo scopo di sostenere il ruolo della famiglia ed in particolare dei nuclei familiari al cui interno sono presenti persone che si trovano anche temporaneamente in situazione di difficoltà per motivi psico-fisici, relazionali o economici.
  2. In particolare, l’Ente persegue le finalità di cui al comma precedente attraverso interventi integrativi delle funzioni familiari quali attività di supporto educativo e scolastico, di aiuto alla persona e di socializzazione, nonché attraverso il sostegno economico o la messa a disposizione di alloggi.
  3. I servizi e le attività dell’Ente sono rivolti prioritariamente alle famiglie residenti nel Comune di Imola e, secondariamente, alle famiglie residenti nel territorio della Provincia di Bologna.
  4. L’Ente opera nell’ambito degli indirizzi programmatici della Regione Emilia Romagna e collabora con il Comune di Imola nella promozione e gestione di servizi e attività finalizzati agli obiettivi di cui al primo comma del presente articolo.
  5. Per il migliore raggiungimento delle proprie finalità, l’Ente può convenzionarsi con altre IPAB e enti pubblici o privati non aventi scopo di lucro per la gestione servizi o attività.

Art. 3 Modalità di funzionamento e di fruizione dei servizi e delle attività

  1. Le modalità di funzionamento e di fruizione dei servizi e delle attività sono stabilite nel regolamento interno.

Art. 4 Mezzi

  1. Tutte le risorse dell’Ente devono essere destinate direttamente o indirettamente al raggiungimento delle finalità istituzionali.
  2. L’Ente provvede alla realizzazione delle proprie finalità con l’utilizzazione diretta del proprio patrimonio, nonché con i proventi derivanti:
    1. Da rendite del patrimonio stesso;
    2. Da proventi vari non destinati ad incremento del patrimonio;
    3. Da corrispettivi per i servizi prestati

Art. 5 Organi

  1. Sono organi dell’Ente il Consiglio di Amministrazione ed il Presidente.

Art. 6 Composizione e durata del Consiglio di Amministrazione

  1. Il Consiglio di amministrazione è composto da cinque membri e precisamente dal Presidente e tre Consiglieri nominati dal Comune di Imola e da un Consigliere nominato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Imola.
  2. Il Consiglio scade in coincidenza con l’Organo comunale cui compete la nomina dei rappresentanti comunali in seno al Consiglio dell’Ente; i Consiglieri possono essere riconfermati e restano comunque in carica anche dopo la scadenza del mandato, finché i successori non abbiano assunto l’ufficio.
  3. In caso di decadenza, dimissioni o morte di un Consigliere, il sostituto resta in carica tanto quanto vi sarebbe rimasto il Consigliere sostituito.
  4. I consiglieri che senza giustificato motivo non partecipano a tre sedute consecutive, decadono dalla carica. La decadenza è pronunciata dal Consiglio di amministrazione, che ne dà immediata comunicazione all’Ente che ha proceduto alla nomina ed alla regione.

Art. 7 Indennità di carica e di presenza

  1. Al Presidente, per l’espletamento del mandato, è corrisposta un’indennità di carica mensile nella misura deliberata dal Consiglio di Amministrazione e comunque non superiore al 50% dell’indennità di funzione spettante al Sindaco del Comune di Imola.
  2. Ai Consiglieri, per la partecipazione effettiva ad ogni seduta del Consiglio di amministrazione, compete un’indennità di presenza nella misura deliberata dal Consiglio e comunque non superiore all’indennità di presenza spettante ai Consiglieri comunali di Imola.

Art. 8 Competenze del Consiglio di Amministrazione

  1. Il Consiglio di amministrazione determina gli indirizzi dell’Ente, definendone gli obiettivi ed i programmi da attuare e verificando la rispondenza dei risultati della gestione alle direttive impartite.
  2. In particolare, al Consiglio compete deliberare nelle seguenti materie:
    1. Statuti e regolamenti;
    2. Bilanci annuali e pluriennali, relative variazioni e conti consuntivi;
    3. Pianta organica e relative variazioni;
    4. Stipulazione di convenzioni ed adesioni a forme associative;
    5. Autorizzazione alla contrazione di mutui;
    6. Spese che impegnino i bilanci per più esercizi;
    7. Acquisti, permute, alienazioni e contratto di comodato riguardanti immobili;
    8. Nomina, designazione e revoca dei propri rappresentanti presso Enti, Aziende, Associazioni, Consorzi ed Istituzioni;
    9. Pronuncia della decadenza dei Consiglieri ai sensi dell’art. 6 del presente statuto;
    10. Ogni altra questione riconducibile alle funzioni di cui al primo comma del presente articolo.
  3. Ferma restando la collegialità delle funzioni deliberative. Il Consiglio ha facoltà di demandare, secondo un’apposita regolamentazione, compiti ed attribuzioni inerenti determinati settori della vita dell’Istituzione ad uno o più Consiglieri, tenuto conto della loro specifica competenza.
  4. Le deliberazioni riguardanti le variazioni di bilancio possono essere adottate in via d’urgenza dal Presidente, che è tenuto comunque a sottoporle a ratifica consigliare nella prima seduta e, comunque, nei sessanta giorni successivi, a pena di decadenza.

Art. 9 Funzionamento del consiglio di Amministrazione

  1. Il Consiglio di amministrazione si insedia dietro convocazione del presidente uscente entro dieci giorni dal ricevimento del decreto regionale che costituisce il Consiglio stesso.
  2. Le sedute del Consiglio hanno luogo abitualmente una volta al mese e, in ogni caso, nelle epoche stabilite dalla legge per l’esame del conto consuntivo, per l’approvazione del bilancio preventivo e delle eventuali variazioni al medesimo, ai sensi dell’art. 6 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 2841 e dell’art. 1 del r.d.l. 20 febbraio 1927, n. 257; le altre ogni qualvolta lo richieda un bisogno urgente, sia per iniziativa del presidente, sia per domanda scritta e motivata di almeno due componenti il Consiglio stesso, sia per invito dell’Autorità regionale. In questi casi il Presidente deve convocare il Consiglio entro sette giorni dal ricevimento dell’istanza o dell’invito, salvo che quest’ultimo non disponga diversamente.
  3. Le sedute, ordinarie e straordinarie, sono convocate dal Presidente mediante invito scritto indicante data, ora e sede della riunione ed elenco degli oggetti da trattare, che deve essere consegnato al domicilio dei Consiglieri almeno tre giorni prima della data stabilita per la riunione. In caso di urgenza, la convocazione deve pervenire almeno 24 ore prima della seduta.
  4. Il Consiglio di amministrazione può deliberare su argomenti non compresi nell’ordine del giorno se tutti i componenti sono presenti e nessuno si oppone.
  5. Le sedute del Consiglio di amministrazione non solo valide senza la presenza di almeno la metà più uno dei componenti il Consiglio; il numero legale deve perdurare e ove venga a mancare nel corso dell’adunanza, il Presidente la dichiara chiusa e ne ordina la menzione nel verbale.
  6. Omissis (???)
  7. Alle sedute del Consiglio di amministrazione partecipa il Segretario dell’Istituzione, con funzioni anche di segretario verbalizzante.
  8. Il Presidente del Consiglio di amministrazione può invitare alle sedute chiunque per chiarimenti o comunicazioni relativi agli argomenti da trattare.

Art. 11 Funzioni del Presidente

  1. Il Presidente esercita le funzioni che gli sono attribuite dalla legge, dai regolamenti statali e regionali, dal presente statuto e dai regolamenti interni.
  2. In particolare:
    1. Ha la rappresentanza legale dell’istituzione e cura i rapporti con gli altri enti ed autorità;
    2. Convoca e presiede il Consiglio di amministrazione, determinando l’ordine del giorno delle sedute;
    3. Sviluppa ogni utile iniziativa di collegamento con le amministrazioni pubbliche, con gli operatori privati, con le espressioni organizzate dell’utenza o con ogni altra organizzazione interessata al campo di attività dell’istituzione.
  3. In caso di assenza od impedimento temporaneo del Presidente, ne fa le veci il Vice Presidente, eletto dal Consiglio nella seduta di insediamento.”

Da quanto precede è possibile verificare che, oggettivamente, non ricorre alcun motivo oggettivo che possa ostare alla assunzione della carica di Presidente della istituzione pubblica di assistenza e beneficienza denominata “Alfa”, sempreché, naturalmente, lo svolgimento del ruolo non comprima, né limiti, né pregiudichi i principi deontologici richiamati.

Incidentalmente si osserva, altresì, come la previsione, di cui all’art. 7 dello statuto richiamato, della corresponsione di una indennità di carica mensile, peraltro rapportata alla prospettiva di una sola seduta al mese, la cui entità economica è rimasta inespressa, impedisce così valutazioni ulteriori da parte del Consiglio.

Concludendo, il Consiglio dell’Ordine ritiene che, per le motivazioni che precedono, oggettivamente, non sussista, nella specie, alcuna causa di incompatibilità che osti all’adesione, da parte dell’Avv. Tizio, alla proposta di ricoprire la carica di Presidente della “Alfa”, con sede in Imola, ente di diritto pubblico.

Soggettivamente, l’esercizio delle funzioni attribuitegli – anche nell’ambito dei poteri individuali di gestione – dovrà costantemente risultare rispettoso dei principi etici e morali dettati dalle norme deontologiche professionali, in funzione del conseguimento dello scopo, tanto nobile, quanto delicato, che si prefigge l’ente.

In tal senso si rilascia il parere richiesto, ritenendo che, attenendosi alle disposizioni normative richiamate, nonché al parere reso nel suo insieme, l’istante possa trovare adeguata e satisfattiva risposta al quesito formulato, per la migliore rappresentanza della categoria professionale e, al tempo stesso, dell’ente.

Il Consiglio, ringrazia il Consigliere avv. Canova per il riferimento e manda agli Uffici di Segreteria di comunicare il parere all’avv. Tizio.

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