Aggiornamenti in pillole

Verso una Giustizia 2.0: da un monopolio eteronomo ai modelli di semplificazione partecipativi

  1. La crisi dei modelli eteronomi di riorganizzazione del diritto
  2. Un modello innovativo: il “Ministry of Justice” del giudice Cardozo
  3. Le basi per lo sviluppo di nuove teorie
  4. L’Istituto Giuridico Americano come un modello ideale
  5. La tassonomia di Adams in un contesto comparato: l’esigenza di affrontare la “legificazione”
  6. Il modello cooperativo come sfida ai tradizionali sistemi di fonti del diritto
  7. Il pericolo dell’aumento della pressione sulle corti
  8. Il problema delle leggi obsolete e inadeguate
  9. Conclusioni.
La crisi dei modelli eteronomi di riorganizzazione del diritto

Nel corso degli ultimi due secoli molti Paesi europei di tradizione di civil law hanno adottato il modello di codificazione francese del diritto al fine di riformulare e riorganizzare gli ordinamenti, in quanto considerato il miglior sistema per garantire certezza e ordine nel moderno stato nazionale. Il successo del “Code Civil” ha indubbiamente condotto ad una lunga era di grandi codificazioni e revisioni legislative, ma ha anche dimostrato, nel lungo termine, una serie di limiti poco confacenti alla rapida evoluzione delle moderne società.

Già nel corso del XIX Secolo la Scuola Storica di Savigny[1] contrastò l’idea diffusa a quel tempo in base alla quale  il diritto potesse essere arbitrariamente imposto a un Paese senza alcun riguardo per il suo livello di civilizzazione e per la sua storia; egli, al contrario, sostenne l’opportunità di valorizzare lo sforzo costante da parte di tutti gli operatori del diritto (soprattutto giudici ed avvocati) allo scopo di sistematizzare e chiarificare l’ordinamento.

Successivamente, nel ventesimo secolo, l’approccio codificatorio e positivista francese si combinò con il modello kelseniano di “Stufenbau”, reinterpretando il principio di legalità sotto la prospettiva della suprema autorità della costituzione e determinando, quindi, il fondamentale passaggio da uno Stato di diritto ad uno Stato costituzionale di diritto. Attraverso questa evoluzione, il sistema delle fonti si riconfigurava come un insieme di norme tipiche, costituzionalmente legittimate, e ben regolate all’interno di un ordinamento chiuso, coerente e completo.

In Inghilterra, il processo di revisione legislativa cominciò nel 1868[2] quando il Lord Cancelliere Cairns nominò una Commissione per il Diritto Legislativo con il compito di rivedere la formulazione delle leggi e di supervisionare il processo di revisione e consolidamento di tutto il diritto parlamentare. Successivamente, nel 1934 Lord Sankey costituì una Commissione per la Revisione Legislativa con lo scopo di riformare complessivamente il diritto piuttosto che limitarsi ad abrogare e consolidare le leggi in vigore[3]. Si può dire, in effetti, che l’approccio inglese per rispondere alla necessità di riorganizzare e riformulare il diritto sia stato maggiormente incentrato sulla creazione di commissioni ministeriali che raccogliessero giudici, avvocati e accademici in virtù della loro funzione fondamentale nei processi di applicazione del diritto.

Dall’altro lato dell’Atlantico, mentre un noto procuratore di New York, David Dudley Field, promuoveva fortemente l’idea di una codificazione statale delle regole di procedura[4], il Congresso degli Stati Uniti avviò il primo progetto ufficiale di codificazione (i.e. Riforma delle Leggi approvata in data 22 giugno 1874) per tutte le leggi in vigore alla data del 1° dicembre 1873.  Nonostante tale  Riforma delle Leggi fosse stata introdotta come diritto positivo, le successive integrazioni non furono incorporate nel codice ufficiale, continuando, quindi,  ad obbligare gli studiosi a consultare i numerosi volumi delle Leggi in Generale (c.d. ‘Statutes at Large’).

Dal 1897 al 1907 una commissione ad hoc venne investita dell’incarico di affrontare la codificazione della grande massa di legislazione che si stava rapidamente accumulando. Nonostante l’enorme quantità di denaro investita in tale progetto, il lavoro della commissione non produsse alcun risultato[5].

Nel corso degli Anni ’20, la primaria necessità di gestire in qualche modo la crescente selva di leggi indusse alcuni membri del Congresso a riproporre un grande progetto codificatorio che, questa volta, condusse all’approvazione del Codice degli Stati Uniti (c.d. U.S. Code del 1926). Va rilevato che tale Codice non introdusse nuove leggi (quanto meno non sostanzialmente), così come non abrogò leggi preesistenti; inoltre, si convenne che, in caso di contrasto, le Leggi in Generale avrebbero  dovuto prevalere[6]. In altre parole, questa forma di massiccia consolidazione confermò tutti i principali limiti dell’approccio codificatorio.

Nello stesso periodo, la Harvard Law Review pubblicò un articolo del giudice Benjamin Cardozo dal titolo “A Ministry of Justice” dove l’eminente giurista americano sottolineava la necessità di una migliore comunicazione tra le corti e gli organi legislativi al fine di promuovere una migliore qualità della normazione[7].   Il concetto di “Ministro della Giustizia” che aveva in mente il giudice Cardozo ha attratto l’immaginazione di giudici, accademici e avvocati per oltre 85 anni. Tale concetto sembra, infatti, riprendere l’idea del “Department of Public Justice” teorizzato da Lord Brougham e, successivamente, da Jeremy Bentham[8].  L’idea di fondo è che l’ascesa e la conseguente proliferazione del diritto legislativo ha sottratto alcuni degli strumenti che i giudici hanno da sempre tradizionalmente usato per fare giustizia applicando la legge ai fatti di causa[9]. In altre parole, l’impoverimento della funzione giudiziaria (financo in un sistema di common law) dovuta all’espansione del diritto parlamentare avrebbe, secondo Cardozo, ostacolato l’affermazione delle ragioni di giustizia nel caso concreto. In conseguenza, secondo il giudice newyorkese, la debolezza del sistema si estrinseca nel fatto che quando i giudici moderni si imbattono in una legge che, nondimeno, ritengono erronea, ingiusta o non più attuale, tendono al massimo a denunciarne le problematiche ma non a trasformarla per via interpretativa[10].

In altre parole, Cardozo criticava l’idea dei giudici come meri ‘burocrati del diritto’ nella misura in cui sarebbero stati impossibilitati a fare giustizia in un sistema ingiusto. In virtù del loro ruolo chiave nel conferire significato prescrittivo ai testi legislativi, i giudici avrebbero dovuto avere modo di comunicare con gli organi legislativi e partecipare, in un certo senso, al processo normativo. Il problema risulta poi aggravato dalla tendenza del legislatore a redigere leggi in maniera disorganica e asistematica, piuttosto che occuparsi di una intera area del diritto per volta.    Secondo Cardozo, questa pratica legislativa ha prodotto come risultato una normazione parlamentare di bassa qualità che ha reso più difficile per i giudici bilanciare le esigenze di coerenza e prevedibilità con il naturale ed opportuno desiderio di raggiungere il risultato più corretto in ciascun caso nel perseguimento delle ragioni di giustizia[11].

Un modello innovativo: il “Ministry of Justice” del giudice Cardozo

Al fine di affrontare queste problematiche, il giudice Cardozo propose di istituire un nuovo ente al quale fece riferimento con l’appellativo di “Ministry of Justice”. La Professoressa K. D. Adams ha appropriatamente osservato[12] che la proposta di Cardozo era ambiziosa nella misura in cui era intesa non soltanto ad affrontare le ambiguità e le lacune delle leggi parlamentari, ma anche per risolvere il problema di leggi ingiuste ed obsolete; al contempo, la proposta risultava piuttosto moderata dal momento che delineava un ente che avrebbe dovuto “controllare”, “osservare”, “relazionare”, “classificare” e “rilevare le criticità”[13], ma che non avrebbe in nessun caso avuto alcun potere di modificare il diritto[14]. Il principale scopo del “Ministry of Justice”, così come pensato da Cardozo, sarebbe dovuto essere quello di predisporre documenti dove i principi generali emersi dalla giurisprudenza e dalla prassi avrebbero dovuto essere raccolti, rielaborati e riformulati in forma chiara ed esplicita affinché i giudici potessero, poi,  avvalersene per esercitare la funzione giurisdizionale in maniera più coerente ed omogenea[15]. Tale progetto era descritto dal suo stesso autore come una ‘limitata forma di legislazione’, meno esauriente di un codice, ma, al contempo, comprensiva di diverse aree del diritto[16]. Nello svolgimento della sua funzione, il “Ministry of Justice” di Cardozo avrebbe dovuto essere indipendente sia dal potere giudiziario che da quello legislativo in modo da beneficiare di una prospettiva distaccata e neutrale e del lusso di un tempo sufficiente per svolgere il proprio compito metodicamente[17], piuttosto che in risposta a contingenti pressioni esterne. Pertanto, il “Ministry of Justice” di Cardozo sembra essere distante dal modello inglese di commissione ministeriale soggetta all’autorità del Lord Cancelliere. Un’ulteriore differenza tra i due modelli risiede, poi, nella natura che si riteneva dovesse avere il “Ministry of Justice”. Infatti, il giudice Cardozo non sembra aver escluso il principio di sussidiarietà orizzontale quando ha sostenuto che solo nel caso in cui nessun ente privato si dimostri adeguato per svolgere tale funzione, il “Ministry of Justice” debba essere un’agenzia governativa che impieghi dipendenti pubblici a tempo pieno[18].

Inoltre, va detto che almeno uno studioso[19] ha riconosciuto un’altra peculiarità del “Ministry of Justice” nella relativa area di interesse, la quale sarebbe dovuta essere limitata solo al diritto privato. In effetti, esponendo la sua proposta, Cardozo fa menzione del fallimento delle corti europeo- continentali nell’affrontare le esigenze dei rapporti economici, e la relativa perdita di legittimazione nell’ambito delle controversie commerciali[20]. In conseguenza, gli operatori del commercio avrebbero cominciato a ricercare sistemi alternativi di risoluzione delle controversie al di fuori del sistema giudiziario[21], deprivando così l’elaborazione giurisprudenziale di importanti settori del diritto. L’attualità dell’osservazione di Cardozo è, peraltro, confermata dalla stupefacente espansione dei c.d. A.D.R. (i.e. Alternative Dispute Resolution) nell’ambito del diritto commerciale, come dimostrano il crescente successo dei numerosi modelli di arbitrato internazionale adottati in tutto il mondo e l’attività delle corti arbitrali permanenti[22]. Il riferimento fatto dal giudice Cardozo a questo fenomeno può essere interpretato come una delle ragioni principali della sua proposta che, pertanto, potrebbe ritenersi fosse limitata alle questioni privatistiche e processual-privatistiche. Ulteriori argomenti a favore di questa tesi possono, poi, essere rinvenuti nell’affermazione di Cardozo che “le vaste aree del diritto privato” necessitano di un “caretaker” ( i.e. “un curatore”)[23]. Inoltre, non va dimenticato che sin dal 1919 il Congresso aveva intrapreso una colossale riorganizzazione delle leggi generali degli Stati Uniti attraverso un processo codificatorio (i.e. U.S. Code, d’ora in avanti U.S.C.)[24]. Il grande Codice non avrebbe, tuttavia, incluso la materie privatistiche e processuali o quelle locali, né, tantomeno, gli stanziamenti annuali[25]. Il giudice Cardozo era ben consapevole di tale processo codificatorio e, pertanto, potrebbe aver interpretato la Commissione Parlamentare per la Revisione delle Leggi (i.e. l’ente che aveva intrapreso l’iniziativa codificatoria) come il “caretaker” del diritto pubblico. Va detto, in effetti, che, a quel tempo, nessun progetto per la riorganizzazione o la riformulazione del diritto privato era stato avviato; per tali ragioni, la tesi del Professor Vetri potrebbe risultare fondata.

Sotto il diverso punto di vista dei soggetti coinvolti nell’attività dell’ente, il modello di Cardozo e quello inglese sembrano essere meno distanti. Sebbene il giudice newyorkese abbia affermato che la determinazione precisa della composizione del “Ministry” non fosse uno degli obiettivi principali della sua  proposta[26], ha altresì sottolineato che sia la prospettiva teorico- filosofica che il punto di vista pratico-empirico dovessero essere rappresentati[27]. La varietà di persone che Cardozo aveva in mente includeva avvocati, giudici ed accademici in virtù delle funzioni che questi soggetti svolgono nell’ambito del servizio giustizia. In questo senso, pare che sia il modello inglese che quello di Cardozo richiamino, in un certo senso, le tesi della Scuola Storica tedesca in relazione ad un comune e costante sforzo nel riorganizzare e riformulare il diritto per opera di tutta la comunità degli operatori giuridici.     

Combinando la conoscenza storica del diritto con una concettuale e sistematica comprensione di come le regole entrano in relazione tra loro e con l’ordinamento nel suo complesso, gli operatori del diritto separano ciò che è ancora valido da quello che è caduto in desuetudine “e appartiene  solo alla storia”, arrivando quindi a definire il c.d. “diritto vivente consuetudinario”[28]. Non di rado, attraverso il diritto vivente, vengono introdotte nell’ordinamento prassi procedurali, interpretazioni costituzionalmente conformi, principi giuridici, regole di diritto sostanziale e parametri di valutazione giudiziaria che non hanno avuto origine, il più delle volte, dal circuito parlamentare, ma che al contempo appartengono al ‘discourse’ della comunità legale[29].

Le basi per lo sviluppo di nuove teorie

Il “Ministry of Justice” di Cardozo e la Commissione inglese per la Revisione Legislativa possono essere considerati come modelli post-codificatori di semplificazione e riorganizzazione del diritto al fine di renderlo più certo e, quindi, di facilitare l’accesso dei cittadini al servizio giustizia. Questi modelli, valorizzando significativamente il valore della dottrina e della giurisprudenza all’interno del sistema normativo- senza anteporli al legislatore-, si collocano a metà strada tra una concezione positivista e una concezione giusnaturalista della normazione. Infatti, il monopolio del legislatore non viene realmente messo in discussione, ma, anzi, viene riconfermato in un sistema a poteri bilanciati, attraverso il contributo materiale e le sollecitazioni provenienti da tutta la comunità legale. L’area tra i due poli, peraltro, si sta progressivamente arricchendo di molti altri modelli intermedi delineati per riformulare e riorganizzare il diritto vivente[30]. Lo studio di questa ampia zona grigia è stato chiamato da alcuni autori[31] “legisprudenza”. Il leit motif di questa teoria è costituito dall’inversione della catena di legittimazione tra cittadini e legislatori nelle moderne democrazie[32]. Il Professor, Wintgens, infatti, sostiene che i teorici del contratto sociale Hobbes and Rousseau abbiano tradito la promessa di modernità riproponendo un tentativo pre-moderno di ricostruire il diritto come rappresentazione di un ordine naturale, piuttosto che come artefatto della volontà umana[33]. Secondo la visione di Wintgens, uno degli effetti di questa teoria del contratto sociale è quello di rafforzare la “thereness” (i.e. la eteronomia) di un sistema legale che resta quindi al di fuori della portata dell’auto-governo dei cittadini, pur limitando i diritti di questi ultimi.

Tuttavia, come opportunamente osservato dal Professor Perju[34], non è possibile sostituire uno strutturale rapporto di deferenza verso il Parlamento con un impegno più sostanziale da parte della comunità giuridica senza una teoria che fornisca i termini del rapporto tra corti e legislatore. Lo scopo della “legisprudenza” sarebbe quello di procurare tale teoria. Wintgens e Perju concordano sull’esigenza di articolare principles of legislation che ridefiniscano come le corti e i parlamenti debbano interagire nella definizione (e nella evoluzione) del diritto. Questi principles of legislation potrebbero non essere distanti dai principi generali del diritto che il giudice Cardozo aveva in mente come principale compito del suo Ministry of Justice. Non è chiaro se i due concetti coincidano, ma è dato riscontrare un elemento in comune nella esigenza di una “migliore comunicazione tra corti e legislatore”[35]. Ad ogni buon conto, però, la relazione tra la teoria di legisprudence e l’intuizione di Cardozo resta discutibile. Non è chiaro, peraltro, se la legisprudence si colleghi in qualche modo con la ricerca della mediating philosophy cui si riferì Cardozo nella sua opera ‘The Growth of the Law’[36].

In seguito alla pubblicazione dell’articolo del giudice Cardozo, molte altre teorie e modelli sono stati sviluppati al fine di affrontare l’esigenza appena esposta, contribuendo all’ampliamento della legisprudenza.

L’Istituto Giuridico Americano come un modello ideale

La professoressa K. D. Adams[37] ha osservato che l’Istituto Giuridico Americano (i.e. l’American Law Institute) rappresenta la migliore concretizzazione del modello proposto dal giudice Cardozo. E’ noto, infatti, che l’Istituto venne fondato nel 1923 (a distanza di soli due anni dalla pubblicazione dell’articolo del giudice) dopo che una commissione di esperti aveva raccomandato la costituzione di un’organizzazione indipendente composta da autorevoli avvocati, giudici ed accademici cui affidare il compito generale di rendere il diritto più semplice e più certo[38]. Secondo le valutazioni della “Commissione sulla Costituzione di un’Organizzazione Permanente per il Miglioramento del Diritto” l’incertezza derivava in buona parte dalla mancanza di accordo sui principi fondamentali della common law, mentre la complessità veniva imputata alle numerose variazioni riscontrabili nelle diverse giurisdizioni[39]. In conseguenza, si riteneva che i compiti principali dell’Istituto Giuridico fossero, da un lato, quello di esprimere i principi generali del diritto, e, dall’altro, quello di redigere progetti volti ad uniformare il diritto nei diversi distretti giudiziari[40].

Il primo e più noto progetto dell’Istituto Giuridico  furono i c.d. Restatements (i.e. Riformulazioni). I Restatements sono essenzialmente ‘codificazioni’ di diritto giurisprudenziale e di dottrine accolte dalla maggioranza dei giudici che si sono progressivamente affermati per tramite del principio di stare decisis[41]. Sebbene essi non siano vincolanti di per se stessi, finiscono per risultare altamente persuasivi per la qualità e l’utilità del loro contenuto dal momento che tendono a riflettere il consenso della comunità giuridica. Con il passare del tempo, le citazioni giudiziali dei Restatements si moltiplicarono con una certa rapidità in quanto risultarono come più chiari parametri del diritto. E’ interessante notare che il primo progetto sui principi è emerso come significativo sviluppo del lavoro sui Restatements. Infatti, quando l’Istituto Giuridico iniziò ad occuparsi della materia relativa all’amministrazione societaria, divenne presto evidente che la riformulazione del diritto era solo una parte di quello che avrebbe dovuto essere fatto e che una sistemazione prudente di tale materia avrebbe richiesto anche cambiamenti sostanziali ben al di là di quello che i giudici sarebbero stati in grado di raggiungere attraverso la common law[42]. Per tale ragione si riteneva che i principi dovessero essere indirizzati, oltre che ai giudici e agli avvocati, anche al legislatore e alle agenzie governative in una forma che esprimesse il diritto per come avrebbe dovuto essere, indipendentemente dal fatto che tale forma riflettesse o meno il diritto vigente. In questo senso, i principi elaborati dall’Istituto Giuridico possono essere considerati uno strumento chiave per migliorare la comunicazione tra i giudici e il legislatore secondo la prospettiva di Cardozo. Per la stessa ragione, tale strumento si presta a costituire lo strumento cardine di una teoria di legisprudenza.

Sulla falsa riga dell’Istituto Giuridico Americano, è stato istituito più recentemente l’Istituto Giuridico Europeo (i.e. European Law Institute[43]) con sede in Austria. L’Istituto Europeo condivide gran parte delle caratteristiche principali dell’omologo statunitense. Infatti, si tratta di una organizzazione indipendente e senza scopo di lucro che raccoglie eminenti giuristi al fine di elaborare documenti utili allo sviluppo del diritto europeo e alla progressiva uniformazione dei diritti nazionali. L’attività dell’Istituto Europeo ha ad oggetto tutte le branche del diritto, sostanziale e processuale, pubblico e privato, ed è diretta, in particolare, ad elaborare proposte e raccomandazioni per lo sviluppo dell’aquis e per il miglioramento dei meccanismi di implementazione del diritto europeo all’interno degli ordinamenti nazionali. Inoltre, l’Istituto ha anche tra gli obiettivi la predisposizione di modelli regolatori e di bozze per nuovi strumenti di diritto internazionale, oltreché la costituzione di un forum per il dialogo e la cooperazione dei giuristi europei. Essendo trascorsi solo pochi anni dalla sua fondazione, non pare sia ragionevole trarre conclusioni sulla effettiva utilità dell’Istituto Giuridico Europeo, specie se messa a confronto con l’omologo americano. Va detto che, nonostante l’Istituto Europeo sia stato certamente costituito anche in ragione del notevole successo dell’Istituto Giuridico Americano, alcune rilevanti differenze di contesto non consentono di prevedere un futuro altrettanto fruttuoso per il nuovo ente nel Vecchio Continente. Innanzitutto, va rilevato che quando venne fondato l’Istituto Americano il sistema giudiziario di riferimento era ben definito, seppur con una serie eterogenea di differenze nelle prassi adottate nei vari distretti giudiziari. All’interno dell’Unione Europea l’assetto del sistema giudiziario, sebbene in rapida evoluzione, è ancora piuttosto composito: in gran parte degli Stati Membri l’ordinamento europeo è ancora considerato come un sistema separato- per quanto comunicante- rispetto a quelli nazionali; l’attitudine dei giudici ordinari a conoscere e ad applicare il diritto europeo è molto diversificata, nonostante le chiare indicazioni offerte dalla Corte di Giustizia nelle sue decisioni; la predisposizione delle corti e dei parlamenti a considerare elementi di natura extra-legale, come le raccomandazioni, per orientare i processi di normazione è particolarmente variabile.

Quel che, però, lascia sperare è che, similmente a quanto avvenuto con riferimento allo Uniform Commercial Code americano, le ragioni dell’economia favoriscano ed, anzi, incentivino un’accelerazione dell’uniformazione giuridica, specie per quanto concerne le materie privatistiche. E’, pertanto, probabile che l’Istituto Europeo si possa rivelare un catalizzatore della definizione dei principi comuni in ambito commerciale e processuale, così come avvenuto per l’UNIDROIT. Alcuni progetti che confermano questa ipotesi sono gli Statements sulla proposta della Commissione per la definizione di principi comuni di diritto europeo delle vendite, o quelli sulle regole europee in materia di copyrights, o i Restatements in materia di diritto amministrativo processuale europeo[44]. Non è ancora dato prevedere se la Corte di Giustizia avrà modo di citare nelle proprie decisioni i documenti elaborati dall’Istituto Europeo, ma pare davvero improbabile che ciò possa avvenire nell’ambito delle giurisdizioni nazionali.

La tassonomia di Adams in un contesto comparato: a) l’esigenza di affrontare la “legificazione”

Al di là della sua opinione circa l’Istituto Giuridico, la Professoressa Adams ha proposto una tassonomia abbastanza completa dei diversi modelli che si ritiene siano derivati dal modello Cardozo[45]. La tassonomia della Adams è basata sulla ragione per la quale il modello è stato concepito: a) l’esigenza di gestire la crescita disordinata del diritto legislativo; b) l’esigenza di moderare l’elevata pressione sui tribunali; c) l’esigenza di risolvere il problema delle leggi di qualità scadente od obsolete.

La prima categoria include un modello proposto dal giudice Henry Friendly  nell’articolo “Il divario tra giudici normatori che non possono e legislatori che non vogliono”[trad.][46]. L’idea di Friendly era concepita per affrontare il problema della normazione incompleta o disorganica attraverso un ente che avrebbe dovuto essere sovrinteso dal legislatore, piuttosto che affiliato al potere giudiziario o indipendente da entrambi, in quanto si riteneva che, se non fosse stata prestata sufficiente attenzione al profilo della legittimazione, un simile ambizioso progetto non avrebbe sortito buon esito[47]. L’agenzia di Friendly avrebbe dovuto includere quattro membri legislatori ed un presidente nella persona di un giudice federale in pensione, oltre a un numero variabile da quattro a sei di componenti aggiuntivi tra studiosi in materie legali, giudici in pensione e avvocati con un certo grado di anzianità professionale. Al di là del compito limitato del modello Friendly, va detto che esso non sembra distante dalla Commissione Giuridica inglese derivata dall’originario modello di commissione ministeriale. L’attuale Commissione Inglese è stata istituita, insieme all’omologa Scottish Law Commission, nel 1965 con un provvedimento legislativo del parlamento ed è chiamata a svolgere una funzione tecnica con un certo grado di indipendenza, sebbene la sua affiliazione all’organo legislativo emerga da alcune caratteristiche peculiari: a) nomina quinquennale dei commissari da parte del Lord Cancelliere[48]; b) consenso obbligatorio del Lord Cancelliere per l’avvio di qualsiasi progetto di lavoro[49]; c) determinazione del compenso dei commissari da parte del Lord Cancelliere, con il consenso del Ministro del Tesoro[50]. Il compito primario[51] della Commissione Giuridica Britannica è certamente più ampio di quello che il giudice Friendly aveva in mente per il suo modello, ma la formale affiliazione all’organo legislativo costituisce un evidente carattere comune. In effetti, Friendly sottolineò che la natura legislativa della soluzione avrebbe rappresentato un fattore importante ai fini della sua credibilità per due ragioni sostanziali: a) comporta un rapporto di responsabilità verso i cittadini (c.d. accountability); b) non interferisce con il principio della separazione dei poteri. Similmente al modello Friendly, il lavoro svolto dalla Commissione Giuridica non può costituire una fonte normativa senza l’approvazione del Parlamento. Ad ogni buon conto, l’indiscusso successo della Commissione è dimostrato dalle statistiche: più di duemila leggi sono state completamente abrogate e molte altre migliaia solo parzialmente; più di due terzi dei progetti di riforma della Commissione sono stati approvati ed attuati dal Parlamento Inglese.

Un’affiliazione all’organo legislativo decisamente più intensa caratterizza il Comitato per la Legislazione istituito presso la Camera dei Deputati del Parlamento italiano. Questo comitato permanente è stato introdotto con la riforma dei regolamenti parlamentari del 1997 ed avrebbe lo scopo di razionalizzare il processo legislativo al fine di migliorare la qualità delle leggi[52]. Va detto, però, che secondo il regolamento della Camera[53], il Comitato svolge la sua funzione esclusivamente rilasciando pareri tecnici ed analitici sulla qualità dei progetti di riforma per quel che attiene alla loro omogeneità, chiarezza, ed efficacia. In altre parole, il Comitato è chiamato a fornire alle commissioni legislative del Parlamento alcuni parametri tecnici al fine di migliorare la formulazione e la sistematicità di leggi che non sono ancora entrate in vigore. Benché costituisca un organo interno al Parlamento, il Comitato svolge la sua funzione con un certo grado di indipendenza derivante da una equilibrata composizione bipartisan e da una presidenza a rotazione[54]. Ad ogni buon conto, l’impatto reale del lavoro del Comitato sulla legislazione risulta poco significativo[55].  Infatti, i pareri del Comitato non sono obbligatori (fatta eccezione per il caso della legislazione delegata)[56] e le commissioni parlamentari non sempre motivano la scelta di non conformarsi alle osservazioni riportate nei pareri. Peraltro, le statistiche relative al lavoro del Comitato dimostrano ulteriormente la sua scarsa rilevanza: meno del 30% dei pareri del Comitato sono stati positivamente recepiti nel processo legislativo[57]. Per queste ragioni, pare abbastanza chiaro che i pareri del Comitato per la Legislazione non abbiano alcun valore di utilità rispetto al lavoro che sono chiamati a svolgere giudici ed avvocati.

Un modello intermedio tra la Commissione inglese e il Comitato per la Legislazione italiano è rappresentato dalla Commissione per la Revisione del Diritto istituita nel 1934 presso il parlamento dello Stato di New York (i.e. New York State Law Revision Commission)[58]. Questa Commissione è composta dai presidenti dei ‘Committees on the Judiciary and Codes’ delle due camere del parlamento statale, in qualità di membri di diritto, e da altri cinque membri nominati dal Governatore per un periodo di cinque anni[59]. Questa composizione mista fa di questa Commissione un modello intermedio. Il Governatore designa il presidente della Commissione e lo statuto prevede che almeno quattro dei cinque membri nominati siano avvocati o consulenti legali ammessi ad esercitare nello Stato di New York, dei quali almeno due devono anche essere professori universitari in materie giuridiche in un istituto accademico dello Stato. Anche in questo caso, come per il modello inglese, lo scopo della Commissione è la rielaborazione/riformulazione del diritto giurisprudenziale, l’individuazione delle leggi obsolete o cadute in desuetudine e la predisposizione di proposte di riforma o di codificazione/consolidazione. Il lavoro della commissione si concentra su questioni particolarmente controverse, di diritto sostanziale e procedurale, che possono essere portate alla sua attenzione non solo dal Governatore, ma anche dalle due camere del parlamento, da pubblici funzionari, da ordini forensi, da esponenti della magistratura, da gruppi di interesse e, financo, da singoli cittadini. La composizione mista è intesa a facilitare i rapporti con il parlamento; infatti, i membri di diritto, in quanto membri dell’assemblea legislativa,  hanno la responsabilità di introdurre in parlamento le proposte della Commissione, così come di riferire alla stessa delle osservazioni sollevate nel corso dell’esame parlamentare delle proposte. Proprio in virtù della sua peculiare composizione, i documenti prodotti dalla Commissione sono esclusivamente destinati alla sede parlamentare e non costituiscono contributi scientifici meritevoli di pubblicazione. Ad ogni buon conto, l’alto numero di recepimenti parlamentari delle raccomandazioni e delle bozze proposte dalla Commissione dimostra come questa abbia contribuito in maniera significativa a rinnovare e a migliorare il diritto positivo dello Stato di New York[60].

Sebbene tutti i modelli descritti siano caratterizzati da una certa esplicita affiliazione all’organo legislativo, pare opportuno operare in questo contesto una sub-distinzione. Il modello Friendly e la Commissione Giuridica sono chiamati a svolgere le proprie funzioni con riferimento al diritto già in vigore, mentre il Comitato per la Legislazione esprime pareri su proposte di leggi, che, in quanto tali, non sono ancora state approvate dal Parlamento. Questa differenza deve essere tenuta presente al fine di apprezzare la reale utilità dei modelli. Da questo punto di vista, l’Ufficio statunitense del Consiglio per la Revisione Legislativa costituisce un modello intermedio poiché, come la Commissione inglese, non dipende dall’iniziativa politica e il suo lavoro interessa leggi già entrate in vigore, mentre, come il Comitato italiano, propone mere raccomandazioni destinate alla Commissione Congressuale sul sistema giudiziario ed è istituito presso la Camera dei Rappresentanti, sotto l’autorità dello Speaker, con una composizione non-partisan.

L’esigenza di affrontare la crescita esponenziale del numero delle leggi si pone alla base anche del modello concepito dalla giudice Ruth Bader Ginsburg in risposta alla raccomandazione della Commissione Hruska per l’istituzione di una Corte d’Appello Nazionale[61]. Le conclusioni di tale Commissione ricevettero, infatti, rinnovata attenzione in occasione del discorso tenuto dal giudice White davanti all’American Bar Association nel 1982 durante il quale emerse il problema dell’aumento progressivo del carico di lavoro della Corte Suprema. In tale contesto, il presupposto generale era che la maggiore incertezza del diritto incoraggia le parti del processo a ritenere che, in ogni caso, abbiano una speranza di vittoria in appello. La giudice Ginsburg, tuttavia, rifiutò l’idea dell’istituzione di una Corte d’Appello Nazionale e propose di costituire una commissione congressuale per la revisione legislativa con il compito di determinare la reale intenzione del legislatore in modo tale da perseguire una maggiore uniformità tra i diversi distretti giudiziari.      Questo modello di commissione era, in effetti, inteso specificamente a risolvere il problema degli atti del Congresso oscuri, imprecisi o lacunosi[62]. In questo senso, il modello Ginsburg sembra non distante dal Consiglio per la Revisione Legislativa.

Il modello cooperativo come sfida ai tradizionali sistemi di fonti del diritto

Un altro modello basato sulla necessità di affrontare la c.d. legificazione o “statutorification[63] è quello proposto dal giudice capo Roger Traynor. Secondo la prospettiva di quest’ultimo, infatti, la proliferazione degli atti legislativi ha procurato ai giudici una ricca fonte di ragionamenti per analogia[64] ma nessuna guida per preservare l’uniformità. Per questa ragione Traynor è arrivato a proporre l’idea di un impegno coordinato di accademici, insieme ad altri commentatori e studiosi, osservatori e giudici al fine di assicurare “un migliore uso nel processo giudiziario delle leggi giuste che spesso emergono nella vasta gamma di prodotti legislativi”[65].

a) Gli Osservatori sulla Giustizia italiani

Per quanto riguarda lo scopo e la composizione, il modello Traynor non sembra lontano dagli Osservatori sulla Giustizia Civile istituiti presso molti uffici giudiziari italiani. Gli Osservatori sono organismi permanenti costituiti spontaneamente per iniziativa di avvocati, giudici e funzionari impiegati nell’amministrazione della giustizia e con l’eventuale coinvolgimento di professori universitari, ufficiali giudiziari, medici legali, commercialisti, servizi sociali territoriali. L’attività degli Osservatori è intesa a rilevare e riformulare regole comuni[66] emergenti dalle diverse prassi diffuse nei vari distretti giudiziari o da consolidati orientamenti giurisprudenziali[67]. Lo scopo di questi organismi consiste essenzialmente nell’elaborare “protocolli”[68] di regole comuni che possano essere utili a giudici ed avvocati in modo da migliorare il servizio giustizia e ad uniformare l’attività dei diversi distretti giudiziari. Infatti,  quando un dato protocollo si rivela particolarmente efficace, altri uffici giudiziari tendono ad adottarlo e a farlo osservare nel relativo distretto. Questi strumenti, si sono rivelati uno straordinario strumento di conoscenza, approfondimento e – nei limiti del possibile – di recupero di efficienza nel processo.

In quella che potremmo definire la prima fase della “stagione dei protocolli”[69], il contenuto degli stessi era incentrato sull’enucleazione di regole condivise per le udienze civili di tribunale e per le varie attività di complemento che riguardano il generale comportamento di leale collaborazione fra difensori, e fra questi e il giudice, nonché la migliore organizzazione e fruizione dei servizi di cancelleria.

In una seconda fase, ancora in corso, ai protocolli generali per le udienze civili si sono affiancati protocolli di contenuto più specifico, aventi ad oggetto particolari procedimenti civili o attività: è il caso dei protocolli per i procedimenti innanzi al giudice di pace[70], per i procedimenti di diritto del lavoro[71], per i procedimenti di diritto di famiglia[72], per i procedimenti di rito societario[73], per il rito locatizio[74], per la liquidazione delle spese legali nei vari procedimenti civili[75], per il procedimento sommario di cognizione[76], per le esecuzioni mobiliari[77] e quelle immobiliari[78], per le procedure concorsuali[79], per l’applicazione degli artt. 91, 96 e 614 bis c.p.c.[80], per la conciliazione delegata[81], per i procedimenti ex artt. 696 e 696 bis c.p.c.[82], per i  procedimenti di accertamento tecnico preventivo in materia previdenziale[83], per le operazioni peritali nelle controversie in materia di invalidità civile[84], nonché quelli sugli atti processuali[85].

L’attività di protocollazione di regole e prassi condivise costituisce, per l’ordinamento italiano, un importante fattore di innovazione e, al contempo, di stabilizzazione. È un fattore di innovazione perché costituisce il primo tentativo di coinvolgimento di una moltitudine di uffici giudiziari a ogni livello al fine di definire, d’intesa con l’avvocatura, regole chiare e condivise destinate a connotare il sistema processuale italiano.  Si tratta, in effetti, di una rivoluzione nel modo di amministrare la giustizia verso una regolamentazione pattizia di eque condotte processuali, standard, criteri e parametri di interpretazione, oltre che di quello che concretamente diverrà, nei prossimi anni, il processo civile telematico. Peraltro, si sta diffondendo l’opinione in base alla quale l’esperienza oramai ventennale del confronto intercategoriale debba orientarsi anche verso nuove direzioni ed, in particolare, nelle ampie aree del diritto sostanziale[86] dove le esigenze di innovazione sono sempre più sentite.

Al contempo, come si è detto, l’attività di protocollazione costituisce un fattore di stabilizzazione perché favorisce e supporta la ricezione delle innovazioni del diritto legislativo, prevenendo interpretazioni arbitrarie e conflitti nel diritto giurisprudenziale, e contribuendo alla prevedibilità nell’applicazione delle norme.

Si comprende, quindi, come questi strumenti finiscano per essere di significativa utilità sia per gli uffici giudiziari che per il legislatore e, per tale ragione, tendano a migliorare la comunicazione tra il giudiziario e il legislativo secondo una logica non lontana da quella intesa da Cardozo. Il problema relativo alla compatibilità dei protocolli come fonti normative in un contesto democratico di civil law basato sulla separazione dei poteri è stato affrontato dalla maggioritaria dottrina italiana attraverso l’attribuzione di una mera autorità persuasiva[87]. Le regole protocollari, infatti, non sono norme tecnicamente cogenti e non intendono sostituirsi al dato normativo, ma semmai affiancarlo con una serie di accorgimenti pratici condivisi, la cui forza risiede esclusivamente nella loro capacità, e in quella dei soggetti ed enti coinvolti, di porsi e di imporle quali regole di buon senso e di utilità comune, come tali riconosciute dalla comunità di operatori che le ha adottate.

Proprio perché i protocolli sono strumenti flessibili che si adattano alle specificità locali, essi non sono inscindibilmente legati alla presenza, su base locale, di un Osservatorio sulla giustizia civile: non sono, infatti, rari i casi di protocolli adottati in sedi di tribunale (ma anche presso uffici del giudice di pace o di corte d’appello) dove, pur non essendo costituito un Osservatorio, sono stati comunque raggiunti accordi fra magistratura e avvocatura coltivati nell’ambito dei rapporti di collaborazione istituzionale fra i vertici degli uffici giudiziari e i consigli dell’ordine forense territoriali. A ben vedere, i protocolli in quanto tali sono caratterizzati da una natura convenzionale, pattizia o pseudo-contrattuale che beneficia della forza istituzionalizzante della giurisdizione.

L’efficacia (meramente) contrattuale di regole siffatte tende, infatti, ad essere amplificata da riconoscimenti positivi di vincolatività generale.

Ne rappresenta un esempio la sentenza  n. 12408 del 2011 della Corte di cassazione, che ha riconosciuto l’applicabilità su base generale delle più note regole protocollari varate da un Osservatorio sulla giustizia civile italiano, vale a dire le tabelle per la liquidazione dei danni alla persona adottate dal Tribunale di Milano[88].

In altri casi alcune regole nate come protocollari sono state fatte proprie dal legislatore nell’ambito di progetti di riforma processuale: ne sono esempi la riforma della disciplina delle esecuzioni immobiliari, dichiaratamente ispirata alle prassi adottate dai Tribunali di Bologna e Monza, oppure l’introduzione della calendarizzazione del processo[89] o la regolamentazione del contraddittorio endoperitale nelle c.t.u.[90].

Pertanto, riconoscere alle regole protocollari una mera autorità persuasiva è quanto meno riduttivo. Inoltre, va osservato che tale soluzione non pare soddisfacente almeno sotto altri due distinti profili: a) non viene sciolto il nodo relativo al rapporto tra protocolli, giurisprudenza e diritto vivente; b) non risulta del tutto compatibile con i profili di responsabilità disciplinare in cui può incorrere il giudice che si rifiuti di osservare i decreti adottati dal Tribunale cui appartiene o direttamente dal CSM.

Inoltre, il rapporto tra il valore dei protocolli ed il diritto legislativo è stato oggetto di alcune considerazioni da parte della Corte Costituzionale in un caso relativo alla legittimità dell’art. 139, d. lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (i.e. Testo Unico delle Assicurazioni Private)[91]. Nelle motivazioni della sentenza i giudici costituzionali hanno qualificato i protocolli come “fonti di diritto giurisprudenziale” senza chiarire se si deve ritenere che le regole protocollari siano rilevanti nella misura in cui sono ufficialmente adottate ed applicate dai vari distretti giudiziari o in quanto rappresentino una riformulazione di regole giurisprudenziali. Per verità, la Consulta non ha risolto esplicitamente il nodo del conflitto tra diritto legislativo e norma protocollare, in quanto ha ritenuto di decidere la questione sulla base di argomenti relativi ad aspetti formali.

Va considerato, ad ogni buon conto, che la trasmutazione di norme convenzionali o, comunque di tipo autonomo, in norme ad efficacia erga omnes non rappresenta un fenomeno sconosciuto all’ordinamento italiano. Si pensi, per esempio, ai contratti collettivi nazionali di lavoro ai quali è stata riconosciuta per via giurisprudenziale efficacia generale, senza che fosse stata data applicazione all’art. 39 Cost.[92], sulla base delle esigenze di ordine pubblico e tutela dei diritti che soggiacevano dietro a tali strumenti. Un ragionamento analogo, sostanzialmente di tipo assiologico, può essere fatto anche con riferimento ai protocolli, tenendo presente che la loro funzione ultima è favorire l’accesso al servizio giustizia, prevenire arbitrii e ineguaglianze, migliorare l’efficienza del sistema giudiziario (anche in termini di ragionevole durata del processo) e assicurare il rispetto del principio del giusto processo.

Attraverso questa nuova prospettiva funzionale, dialogica intercategoriale e partecipativa, l’amministrazione della giustizia italiana ha assunto i caratteri di una Giustizia 2.0, dove la contrapposizione dei modelli accusatorio ed inquisitorio è trascesa nell’interesse della tutela dei diritti, dell’efficienza della giustizia e delle ragioni di equità; dove gli schemi di regole elaborati vengono condivisi spontaneamente anche da chi non ha originariamente sottoscritto l’accordo; dove la responsabilità per l’implementazione delle regole è diffusa e non collegata alla previsione di una sanzione; dove le esigenze di uniformazione tra i distretti giudiziari vengono affrontate in pubblici fori di discussione.

b) I contrat de procédure francesi

Una prospettiva analoga ma, per certi aspetti, diversa è stata adottata in un contesto simile dalla Francia. Infatti, sin dagli Anni ’80 i vertici dei distretti giudiziari francesi[93] hanno iniziato a stipulare accordi processuali collettivi con i Bâtonniers (i.e. i Presidenti) dei locali Ordini Forensi al fine di regolare la procedura giudiziaria[94]. In origine questi accordi venivano spontaneamente adottati per assicurare maggiore uniformità tra i distretti giudiziari nell’ambito di un sistema che consente alle parti processuali di stabilire insieme al giudice le fasi di progressione della causa (i.e. qualcosa di non dissimile dal case management inglese).           Questo modello venne, poi, preso in considerazione dalla commissione governativa istituita allo scopo di modernizzare il diritto processuale civile e di affrontare il problema della irragionevole durata dei processi[95]. Il problema del sovraccarico di lavoro per le corti e del conseguente ritardo del servizio giustizia sembra non essere molto distante dall’oggetto delle principali preoccupazioni della giudice Ginsburg[96] evidenziate più sopra. La commissione decise alla fine di adottare il modello dell’accordo collettivo[97] in conseguenza del successo di questa fonte del diritto autonoma. Gli accordi collettivi sono, in effetti, contratti (letteralmente denominati contrat de procédure dall’art. 764 c.p.c.) intesi per essere applicati da tutti i soggetti operanti nell’ambito di un particolare distretto giudiziario. Ad ogni buon conto, non va dimenticato che, in linea generale, una disposizione contrattuale non è idonea a vincolare chi non ha preso parte alla stipulazione dell’accordo. E’ noto, infatti, che anche per l’ordinamento francese l’obbligazione derivante da contratto ha una natura sostanzialmente diversa di quella che ha origine nella legge. Non di meno, nel particolare contesto del modello di accordo collettivo così come per i protocolli, i contraenti sono rappresentativi di una specifica comunità di magistrati ed avvocati (i.e. il locale distretto giudiziario). Questi particolari contraenti, infatti, nell’ambito delle rispettive prerogative di autoregolamentazione, hanno il potere di stabilire delle regole e di adottare sanzioni disciplinari nei confronti dei membri della comunità che non vi si conformino. In conseguenza, l’accordo contrattuale finisce per avere una legittima ed indiretta efficacia nei confronti di tutti i membri della comunità degli operatori legali di un dato distretto giudiziario. In ogni caso, resta ancora controverso se si tratti di una secondaria fonte normativa dotata di qualcosa di più di una mera autorità persuasiva.

Va detto però che, con riferimento all’ordinamento francese, la Costituzione non prevede una riserva di legge per la materia processuale civile. Si spiega, quindi, come gli accordi collettivi francesi possano trovare posto nell’alveo delle fonti giuridiche con meno difficoltà che nell’ordinamento italiano[98] dove, invece, il principale limite è imposto dalla Costituzione agli artt. 101, 2° comma, che sottopone il giudice soltanto alla legge, e 111, 1° comma, in base al quale la ‘giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge’. Tali norme, infatti, costituiscono una garanzia della separazione dei poteri in quanto intese nel senso montesquieuano per prevenire che il potere esecutivo possa interferire con l’indipendenza, l’imparzialità e l’autonomia della magistratura. In altre parole si deve leggere in tali disposizioni una riserva di legge in materia processuale, in quanto è nella definizione delle regole di procedura che si stabiliscono gli elementi che il giudice deve (e non) o soltanto può prendere in considerazione nel formare le proprie valutazioni e, quindi, nel rendere le proprie decisioni[99]

Quel che merita di essere sottolineato, comunque, è che gli accordi collettivi francesi, così come i protocolli degli Osservatori sulla Giustizia italiani, finiscono per distinguersi significativamente dal modello ipotizzato dal giudice Traynor. Infatti, il modello collaborativo di Traynor avrebbe comunque fatto, alla fine, affidamento sulla forza legittimante del legislatore quale “dominant lawmaker”.

Il pericolo dell’aumento della pressione sulle corti

Similmente agli accordi collettivi francesi e agli Osservatori sulla giustizia italiani, un altro modello ha posto particolare attenzione sulle questioni procedurali al fine di affrontare il problema del sovraccarico di lavoro delle corti. Infatti, il Professor Larry Kramer ha proposto la creazione di un’agenzia che supporti l’attività decisionale del Congresso con riferimento alle questioni pertinenti i distretti giudiziari delle corti federali affinché siano presi in considerazione gli ipotetici conflitti che possono sorgere in conseguenza dell’introduzione di nuove leggi. L’agenzia di Kramer è intesa a migliorare la comunicazione ed il coordinamento tra la magistratura e il legislatore, ponendo maggiore attenzione alle questioni procedurali e di pianificazione piuttosto che sulle riforme del diritto sostanziale[100]. Pare, quindi, che l’attenzione sia concentrata non tanto sulla c.d. “bulimia legislativa”[101] quanto sulla crescente pressione che opprime gli uffici giudiziari. Per tale ragione, la Professoressa Adams include il modello di Kramer nella seconda categoria della sua classificazione tassonomica[102].

La stessa categoria, non a caso, comprende anche un modello affiliato al sistema giudiziario. Infatti, come riporta la Adams, il giudice Wilfred Feinberg ha suggerito[103] che la Conferenza Giudiziaria degli Stati Uniti provveda a designare un ristretto numero di accademici per lavorare part-time al fine di raccogliere dati sulle divergenze giurisprudenziali tra le corti di circuito che risultino relativamente facili da risolvere. Come gli Osservatori italiani, il modello Feinberg è stato pensato per occuparsi di questioni problematiche relativamente condivise al fine di essere più efficace. Al contrario, il giudice John Paul Stevens riteneva che il problema relativo al sovraccarico delle corti richiedesse prima di tutto di chiarificare le leggi ambigue al fine di prevenire l’insorgere di conflitti e controversie. A tal scopo, Stevens suggerì l’opportunità di una commissione Congressuale permanente (i.e. affiliata all’organo legislativo) che fosse investita del compito di proporre atti normativi correttivi quando reputato necessario per migliorare l’assetto ordinamentale[104]. In questo senso, il modello Stevens risulta comparabile con il Comitato per la Legislazione italiano, con la Commissione Giuridica inglese e con la Commissione per la Revisione del Diritto newyorkese. Secondo l’opinione di Stevens, la dottrina di c.d. “judicial restraint” contribuisce a mettere in discussione l’idea che siano sempre i giudici comuni ad occuparsi del compito della risoluzione dei conflitti. Qualora il conflitto verta su una questione di diritto costituzionale, infatti, l’organo deputato a risolvere il conflitto è la Corte Suprema. Quando, invece, il conflitto verta sul significato da attribuirsi ad una disposizione legislativa ambigua, secondo Stevens sarebbe più appropriato e più efficiente lasciare che il Congresso compia la scelta necessaria tra le possibili interpretazioni dell’intenzione del legislatore[105].           E’ interessante notare come il ragionamento di Stevens ricordi le argomentazioni del Portalis in merito alla costituzione della Cour de Cassation francese. Infatti, il primo prototipo della Cour non poteva essere qualificato come una Corte Suprema perché non apparteneva al sistema giudiziario, bensì all’organo legislativo. Proprio per tale ragione la Corte non avrebbe avuto il potere di sindacare le valutazioni dei fatti svolte dai giudici comuni[106]. Lo scopo originario della Cour era quello di prevenire il travisamento dell’intenzione del legislatore da parte della giurisprudenza[107]. Secondo questa impostazione, solo il parlamento avrebbe avuto l’autorità di definire il diritto. Pare, quindi, che Stevens trovasse meno problematico fare affidamento sul principio di separazione dei poteri, così come tradizionalmente inteso, per quanto concerne la legittimazione delle fonti normative.

Lo stesso punto di vista sembra essere stato condiviso anche dal giudice capo James Oakes e dal Professor Eric Gouvin nella misura in cui entrambi hanno proposto di affrontare il problema della pressione sugli uffici giudiziari dall’interno delle camere congressuali. Oakes ha suggerito l’introduzione di un’analisi di impatto sulla giustizia per ogni nuovo disegno di legge che il Congresso si fosse trovato a vagliare[108].

L’idea di un’analisi dell’impatto, ovvero degli effetti prevedibili, di una data iniziativa trovò una significativa concretizzazione già con l’Ordine Esecutivo N. 12291 emesso sotto la Presidenza Reagan ed in base al quale tutte le agenzie governative avrebbero dovuto trasmettere tale documento all’Ufficio per l’Informazione e gli Affari di Regolazione[109]. Il modello di un’analisi obbligatoria di impatto sulla regolazione ha avuto numerose applicazioni nel contesto dei paesi OCSE. Nonostante il suo indiscusso successo, questo modello è inteso solamente a fornire gli organi legislativi di migliori e più accurate informazioni sui possibili effetti che un disegno di legge può avere.

Con particolare riferimento alla proposta di Oaks, l’impatto sulla giustizia avrebbe dovuto costituire un parametro per il legislatore sulla possibile reazione dei giudici all’introduzione di una data normativa. Da un punto di vista comparato, questo modello ricorda l’AIR italiano (i.e. Analisi di Impatto sulla Regolazione) o il LEDA olandese (sistema legislativo di consultazione e composizione).

Il Professor Gouvin, invece, riteneva che lo stesso Ufficio del Consiglio per la Revisione Legislativa rappresentasse un perfetto esempio di commissione parlamentare in grado di svolgere il compito che il giudice Cardozo aveva in mente per il suo Ministry of Justice[110]. Va, tuttavia, detto che, come ammesso dallo stesso Gouvin, le dinamiche della politica potrebbero ostacolare l’Ufficio nel perseguimento di determinati cambiamenti, nonostante gli sia stato conferito il potere di farlo. Lo stesso limite attribuito al modello di Gouvin caratterizza, in effetti, anche il Comitato per la Legislazione italiano e, in una certa minor misura, la Commissione Giuridica inglese.

Il problema delle leggi obsolete e inadeguate

L’idea del parlamento come “dominant lawmaker” è anche alla base di un altro modello che, secondo la tassonomia della Adams, era destinato ad affrontare il problema delle leggi inadeguate od  obsolete. Il Professor John Copeland Nagle ha, infatti, sostenuto l’adozione di un programma definito “Congressional Corrections Day” come soluzione interamente parlamentare al problema degli errori presenti nelle leggi o della loro obsolescenza[111]. Secondo l’opinione di Nagle le teorie che enfatizzano l’importanza del testo normativo e dell’intenzione del legislatore tendono a fare maggiore affidamento sugli organi legislativi per provvedere alla correzione degli errori e delle lacune, mentre le teorie che prendono in considerazione anche altri fattori, come le norme consuetudinarie e sociali o le preferenze congressuali, tendono a valorizzare anche il ruolo dei giudici e delle agenzie governative.

Queste ultime teorie più dinamiche e meno originaliste tendono, secondo Nagle, a giustificare il coinvolgimento di corti e agenzie in parte sulla base della inabilità e della mancanza di volontà degli organi parlamentari di correggere gli errori propri o quelli interpretativi commessi da altri. Il meccanismo che Nagle aveva in mente era sostanzialmente una calendarizzazione obbligatoria degli atti correttivi nella misura di 20 o 30 “Corrections Acts” per mese al fine di mettere mano a quegli atti legislativi “che [avessero] una conseguenza imprevista o…[fossero] particolarmente dannosi nell’implementazione”[112]. L’idea di un meccanismo parlamentare specificamente dedicato a correggere gli errori interpretativi commessi in sede giudiziaria ricorda lo scopo originario della Cour de Cassation del 1790 summenzionata[113].

L’ultimo modello che la Professoressa Adams ha rilevato essere destinato ad affrontare il problema delle leggi ingiuste o desuete è stato sviluppato da Bert Early[114] e William Erickson[115]. Costoro hanno proposto l’istituzione di un’agenzia pubblica nazionale, diretta dai più autorevoli e qualificati esponenti della cultura giuridica, e dedicata a perseguire l’obiettivo di assicurare coesione nazionale e di aumentare il supporto pubblico e privato agli sforzi inadeguati e frammentari volti a migliorare il sistema giustizia a tutti i livelli. Alcune delle elencate caratteristiche sono rintracciabili anche nell’American Law Institute. Tuttavia, la proposta di Early ed Erickson ha trovato una concretizzazione nell’Istituto Nazionale di Giustizia (i.e. National Institute of Justice) la cui missione è quella di consentire il “progresso della ricerca scientifica, dello sviluppo e della valutazione per migliorare l’amministrazione della giustizia e della pubblica sicurezza.”.

Sebbene l’Istituto svolga un ruolo importante per il miglioramento della giustizia, non contribuisce in maniera significativa alla riorganizzazione  e alla chiarificazione del diritto.

Conclusioni

Per molti anni, l’irrinunciabile necessità di garantire il diritto ad una giustizia equa ha concentrato l’attenzione degli studiosi su temi relativi all’applicazione del diritto. Conseguentemente, il Potere dello Stato “meno pericoloso” ha finito per essere il più osservato, mentre a quello più pericoloso è stata concessa maggiore deferenza. In realtà, né ai giudici né alle assemblee legislative può essere esclusivamente ed esaurientemente conferita l’autorità di definire il diritto. La comunicazione tra giudici e legislatori che Cardozo aveva in mente impone, indubbiamente un approccio fortemente collaborativo che tendenzialmente manca.

D’altra parte, essi rappresentano solo i poli di un complesso e variegato sistema; infatti, ogni organizzazione sociale è caratterizzata dalla coesistenza di diversi fenomeni giuridici quali i processi giurisdizionali, i contratti, il diritto consuetudinario, la legislazione, i provvedimenti amministrativi, le direttive di amministrazione, le mediazioni, e così via, ognuno dei quali tende a prevalere all’occorrenza. L’opportunità di riconciliare ed organizzare i diversi fattori normativi consentirebbe ai giudici di rendere un servizio giustizia più equo. Una simile opportunità richiede la sistematizzazione di un’appropriata teoria della legislazione. Come già osservato, la legisprudenza proposta da Wintgens potrebbe prestarsi a tale scopo. Di fatto, gli effetti reali di un provvedimento legislativo non sono mai completamente prevedibili, ma resta altrettanto vero che un serio esame preventivo delle probabili ripercussioni ed una successiva analisi degli esiti tangibili costituiscono strumenti irrinunciabili.

Come sostenuto da alcuni autori[116], la legisprudenza dovrebbe includere un’accurata indagine ex ante ed ex post sull’impatto delle norme giuridiche per evitare, per quanto possibile, effetti indesiderati ed indesiderabili, così come anche per correggere quelle conseguenze negative non attese né volute. Questo compito può essere adempiuto in molti modi. Tutti i modelli e gli espedienti già verificati, o solo teorizzati, dagli studiosi hanno come principali obiettivi: a) migliorare la qualità delle norme giuridiche; b) rendere il diritto più immediatamente comprensibile; e c) facilitare l’accesso al servizio giustizia.

I diversi modelli esaminati risultano interessanti sotto tre distinti profili: a) i soggetti dedicati alla semplificazione e alla chiarificazione del diritto; b) gli strumenti usati per adempiere tali funzioni; c) gli effetti prodotti negli ordinamenti.

I soggetti sono in alcuni casi interamente integrati negli organi legislativi (come, per esempio, nei casi dell’Ufficio del Consiglio per la Revisione Legislativa, del Comitato per la Legislazione italiano, della Commissione per la Revisione del Diritto dello Stato di New York, o dei modelli proposti dalla Ginsburg, da Stevens, da Oaks e da Nagle); in altri casi sono collocati separatamente come organi non ministeriali o dipartimentali ma sempre in rapporto di stretta collaborazione con gli apparati esecutivi (come, per esempio, la Commissione Giuridica inglese, l’originaria Cour de Cassation, o i modelli proposti da Friendly e Kramer). In altri casi ancora, i soggetti sono del tutto indipendenti dall’organo politico (come, per esempio, l’Istituto Giuridico Americano, l’Istituto Giuridico Europeo, gli Osservatori italiani sulla Giustizia o i modelli proposti da Traynor ed Early).

Gli strumenti generalmente adottati che si sono rivelati di maggiore efficacia sono: a) codificazioni e consolidazioni del diritto vigente; b) forme esplicite di abrogazione degli atti legislativi obsoleti; c) progetti organici di riforma legislativa; d) riformulazioni del diritto giurisprudenziale e protocolli di prassi; e) analisi dell’impatto sulla regolazione o altri meccanismi di valutazione dell’applicazione giudiziaria di nuove normative.

Qualsiasi considerazione circa gli effetti prodotti nell’ordinamento da questi strumenti deve preliminarmente distinguere due diversi profili di merito: a) l’efficacia nel semplificare e chiarificare il diritto; b) l’impatto sull’assetto delle fonti normative.

Con riferimento al primo profilo, sebbene sia già stata dedicata sufficiente attenzione all’efficacia dei diversi modelli, va sottolineato come quelli che si sono dimostrati più efficaci nel corso del tempo sono caratterizzati da una tendenziale indipendenza dagli organi politici, da una certa autonomia nell’assumere iniziative e da forme di autogoverno.

Il secondo profilo è quello che presenta maggiori problemi con riferimento alla dottrina della separazione dei poteri. Infatti, l’idea di un ente indipendente che predispone regole con potenziale valenza erga omnes  o, comunque, riformula il diritto esistente al di fuori del circuito democratico-rappresentativo mette apparentemente in discussione il monopolio legislativo del parlamento. Riformulazioni del diritto, protocolli di prassi, e accordi collettivi finiscono, attraverso l’applicazione giudiziaria, per rappresentare vere e proprie norme precettive che coesistono con gli atti normativi del legislatore.

L’analisi comparata delle diverse esperienze di paesi di civil law e di common law rivela una generale tendenza a costituire organismi tendenzialmente indipendenti per iniziativa di elìte di esperti di diritto nell’interesse del servizio giustizia. Questi organismi adottano, generalmente, un metodo scientifico al fine di elaborare documenti condivisi che possano costituire un valido e chiaro  riferimento per tutti gli operatori giuridici. Nella gran parte dei casi l’influenza degli organi politici sui processi di elaborazione è ridotta al minimo o non sussiste affatto in modo da preservare l’autorevolezza dell’ente. Non di meno, i documenti elaborati sono spesso destinati all’esame parlamentare a fini di proposta di riforma. Al di fuori di queste ipotesi, i documenti sono intesi per avere un valore meramente persuasivo benché non sia ancora chiaro come essi incidano sulle fonti del diritto quando risultino diffusamente applicati dai giudici.

Lo scopo principale di ‘portare certezza e ordine nella selva del diritto’ ha alla base il diritto fondamentale ad una giustizia equa. Questo diritto comporta, da un lato, il perseguimento dell’uniformità tra i distretti giudiziari nell’applicazione del diritto e, dall’altro, la prevedibilità di un diritto comprensibile. Il giudice Cardozo è stato un anticipatore dell’esigenza di escludere per quanto possibile la soggettività e l’arbitrarietà dall’attività legislativa e giudiziaria attraverso la definizione di principi oggettivi che possano orientare il processo razionale legale. Per queste ragioni, il Ministry of Justice concepito da Cardozo continua a costituire un prototipo ideale per la ricerca della certezza e dell’ordine del diritto.

Alessandro Martinuzzi
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Scuola di Giurisprudenza

[1] Berkowitz, Roger, “From Science to Technique: Friedrich Carl von Savigny, the BGB, and the Self-Overcoming of Legal Science“, The Gift of Science: Leibniz and the Modern Legal Tradition, Cambridge: Harvard University Press (2005).

[2] Report of the Bar Law Reform Committee Lecture: “Law Reform in England and Wales: a shattered dream or triumph of political vision?”, Sir Terence Etherton, (2007).

[3] Etherton, (2007) cit., p. 3.

[4] Nel 1848 venne approvato il noto Field Code, il quale ha costituito l’antecedente storico delle Federal Rules of Civil Procedure del 1938. Si veda Zuckerman A.A.S., Civil Justice in Crisis, Comparative Perspectives of Civil Procedure, Oxford: Oxford University Press (2004), p. 53.

[5] Lee, Frederic P. e Middleton Beaman, Legal Status of the New Federal Code, ABA Journal, v.12, (1926).

[6] Lynch, M. The U.S. Code, the Statutes at Large, and Some Peculiarities of Codification, Legal Reference Services Quarterly, v. 16, (1997).

[7] Cardozo Benjamin N., A Ministry of Justice, 35 HARV. L. REV. 113 (1921).

[8] Kramer L., “The One-Eyed are Kings”: Improving Congress’s Ability to Regulate the Use of Judicial Resources, 54 LAW & CONTEMP. PROBS. 73, 92 n. 82 (1991).

[9] Calabresi G., A Common Law for the Age of Statutes, (1983)

[10] Cardozo (1921) cit., p. 118.

[11] Cardozo (1921) cit., p. 116 (dove si descrive la risultante perdita di certezza, semplicità e immediatezza.). Vedi anche Zuckerman (2004) cit.

[12] K. D. Adams, The American Law Institute: Justice Cardozo’s Ministry of Justice?, SOUTH. ILL. UNIV. L. JOUR. Vol. 32, 176- 177 (2007).

[13] Cardozo (1921), cit., p. 114.

[14] Id. p. 125 (“In ogni caso, chiaramente, le raccomandazioni del “Ministry” saranno solo raccomandazioni e niente più”).

[15] Id. p. 117 (proponendo un codice che “formulerà principi generali, i quali, una volta enunciati, saranno sviluppati ed estesi nella misura in cui analogia, consuetudine, utilità e giustizia, opportunamente bilanciate in sede giurisdizionale, prescrivano le modalità di applicazione e i limiti di estensione”). Un simile atto avente forza di legge ricorda particolarmente i c.d. Restatements.

[16] Id. p. 116-17.

[17] Id. p. 119 (“Talvolta emerge la necessità di un osservatore distaccato, di una critica competente ed imparziale, che possa inquadrare il [diritto] nella sua complessità, e non, come fanno i giudici, nella sua realizzazione; qualcuno che, osservando e controllando, classificando e comparando, sia pronto, sotto la responsabilità del proprio ufficio, con avvertimenti e proposte.”).

[18] Id. p. 124 (“Di sicuro dovremo arrivare a qualche agenzia pubblica a meno che agenzie di iniziativa privata non si dimostrino idonee ad intenzionate ad osservare, avvisare e a risolvere le problematiche – sempreché l’Associazione Professionale Forense non si scopra averne i mezzi e il potere”).  A fronte di questa posizione di Cardozo pare opportuno rendere conto della recente istituzione presso il Consiglio Nazionale Forense italiano dell’Osservatorio sulla Giurisdizione sulla falsa riga dei noti Osservatori sulla Giustizia, di cui si dirà più approfonditamente infra. L’Osservatorio sulla Giurisdizione avrebbe lo scopo di rilevare tutte le problematiche che emergono dalla pratica forense e, soprattutto dall’esercizio della giurisdizione, ed elaborare conseguentemente proposte di riforma. Si veda al riguardo Regolamento CNF del 13 dicembre 2013 n. 4, Istituzione e funzionamento dell’Osservatorio permanente sulla giurisdizione. L’Osservatorio è presieduto dal presidente del CNF ed è destinato ad essere composto da giuristi, non solo italiani, espressamente invitati dal CNF. Dato il poco tempo trascorso dalla sua costituzione non è possibile trarre conclusioni sulla efficacia dell’attività di questo ente.

[19] Professor Dominick Vetri, consigliando la costituzione della Commissione per la Revisione Normativa dell’Oregon, ha caratterizzato l’idea del giudice Cardozo come esclusivamente riferita alla materia del diritto privato: Communicating Between the Planets: Law Reform for the Twenty- First Century, 34 WILLAMETTE L. REV. 169, 173-74 (1998), “Come membro della Corte d’Appello di New York, il giudice Cardozo ha riconosciuto che le corti necessitavano di una rivitalizzazione e di una nuova concezione nell’area del diritto privato.”.

[20] Cardozo (1921), cit., p. 114.  Vedi anche Zuckerman (2004), cit..

[21] Cardozo (1921), cit. (affermando che, in tale area, “il progetto è confluito nel mondo delle prassi consolidate”).

[22] Indlekofer, M. International Arbitration and the Permanent Court of Arbitration, Wolter Kluwer Law&Business, 2013; van den Berg, A. J., International Arbitration: the Coming of a New Age, (ICCA Congress Series 17), Kluwer Law International, 2013.

[23] Cardozo, (1921), cit., p. 115 (“Mi sono meravigliato e lamentato che le grandi aree del diritto private, dove la giustizia è distribuita tra uomo e uomo, debbano essere lasciate senza un custode.”).

[24] McKinney R. J., Basic Overview on How Federal Laws Are Published, Organized and Cited, FLICC Program on Federal Legislative Research (LLSDC), (2006).

[25] Vedi  2 U.S.C. 285b.

[26] Cardozo (1921), cit., p. 124 (“Come la commissione debba essere composta non è, certamente, un punto centrale del progetto”).

[27] Id. p. 123 (“E’ probabile che nessun uomo sia in grado di raccogliere in sé capacità così diverse. Raggiungeremmo, invece, migliori risultati se riponiamo tale potere in un gruppo, dove vi possa essere uno scambio di idee, e dove diversi punti di vista e diverse formazioni avrebbero la possibilità di prendere parte alla discussione.”).

[28] Savigny, F.K.,Vom Beruf unserer Zeit für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft (1814, 2nd rev. ed. 1828) (Eng. trans., Frederick Charles von Savigny, Of the Vocation of Our Age for Legislation and Jurisprudence, Abraham Hayward trans. [London: Littlewood, 1831]).

[29] Lasser M., Judicial Deliberations. A Commparative Analysis of Judicial Transparency and Legitimacy, New York: Oxford University Press (2004).

[30] In The Growth of the Law (1924) il giudice Cardozo ha affermato: “Il diritto dei nostri giorni si trova in una duplice condizione di necessità. La prima è la necessità di una qualche forma di riformulazione che porti certezza ed ordine nella selva dei precedenti. La seconda è la necessità di una teoria [mediating philosophy]che riesca ad equilibrare tra le contrapposte istanze di stabilità e progresso e che fornisca un principio di evoluzione.”

[31] Si veda, tra gli altri, il Professor Luc J. Wintgens (University of Leuven), il Professor Imer B. Flores (Universidad Nacional Autonoma de Mexico) e il Professor Vlad Perju (Harvard Law School).

[32] Perju, V., A Comment on “Legisprudence”, Boston University Law Review, Vol. 89, 427, (2009). Vedi anche Lasser (2004), cit.

[33] Wintgens, L. J., Legitimacy, and Legitimation from the Legisprudential Perspective, in LEGISLATION IN CONTEXT: ESSAYS IN LEGISPRUDENCE 3, 4 (Luc J. Wintegns & Philippe Thion eds., 2007), p. 10.

[34] Perju (2009), cit., p. 432.

[35] Cardozo (1921), cit., p. 113; vedi anche Cardozo (1924) laddove la teoria che riesca ad equilibrare tra le contrapposte istanze di stabilità e progresso e che fornisca un principio di evoluzione viene menzionata come ‘mediating philosophy’.

[36] Cardozo, (1924) cit.

[37] Adams, The American Law Institute (2007) cit., pp. 176- 177.

[38] Si veda  l’atto costitutivo dell’Istituto Giuridico Americano dove viene affermato chiaramente che  lo scopo dell’istituto è: “promuovere la chiarificazione e la semplificazione del diritto e il suo migliore adattamento alle esigenze sociali, al fine di assicurare la migliore amministrazione della giustizia, e di incoraggiare e portare avanti un lavoro giuridico di natura scientifica e di rilievo accademico.”.

[39] White G. E., The American Law Institute and the Triumph of Modernist Jurisprudence, 15 Law and History Review 1 (1997).

[40] Nel sistema italiano, il secondo compito è esplicitamente attribuito alla Suprema Corte di Cassazione dall’art. 65  r.d. n. 12/1941, con l’appellativo di “funzione nomofilattica “.

[41] Adams, K. D., Blaming the Mirror: The Restatements and the Common Law, 40 Ind. L. Rev. 205 (2007).

[42] Si veda Project Overview al sito web: www.ali.org .

[43] Vedi http://www.europeanlawinstitute.eu/home/ .

[44] Si veda al riguardo http://www.europeanlawinstitute.eu/projects/  .

[45] Adams, The American Law Institute (2007), cit..

[46] Friendly H. J., The Gap in Lawmaking- Judges Who Can’t and Legislators Who Won’t, 63, COLUM. L. REV. 787, (1963).

[47] Friendly (1963), cit., p. 804 (“Sembrerebbe elementare che un’agenzia il cui compito sia di formulare proposte legislative e di assicurare la loro approvazione debba essere affiliata agli organi legislativi.”).

[48] Art. 1, Law Commissions Act 1965, Chapter 22, available at http://lawcommission.justice.gov.uk/

[49] Art. 3, Law Commissions Act 1965, Chapter 22, available at http://lawcommission.justice.gov.uk/

[50] Art. 4, Law Commissions Act 1965, Chapter 22, available at http://lawcommission.justice.gov.uk/

[51] Sec. 3, Law Commissions Act 1965, indica il dovere principale “di sottoporre a costante revisione tutte le leggi [di Inghilterra e Galles]…tenendo presente le prospettive di sviluppo sistematico e di riforma, con particolare attenzione alla consolidazione di tale diritto, alla eliminazione delle anomalie, all’abrogazione degli atti obsoleti o non necessari, alla riduzione del numero degli atti isolati, e, in generale, la semplificazione e la modernizzazione del diritto…”.

[52] Report n. 1/2002, Comitato per la Legislazione del Parlamento italiano. Primo Presidente, 21 Giugno 2001- 25 Aprile 2002.

[53] Art. 16- bis, § 2, Regolamento della Camera dei Deputati del Parlamento italiano.

[54] Sito web ufficiale: http://www.camera.it/leg17/50.

[55] Zaccaria, R., Fuga dalla Legge? Seminari sulla qualità della legislazione, Grafo Ed. Brescia, (2011).

[56] Bientinesi, F., Note sul funzionamento del Comitato per la legislazione , disponibile al sito web: http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/attualita/bientinesi.html .

[57] Report n. 1/2002, Comitato per la Legislazione  del Parlamento italiano. Primo Presidente, 21 Giugno 2001- 25 Aprile 2002.

[58] Si veda per un inquadramento generale : http://lawrevision.state.ny.us/.

[59] Capitolo 597 delle Leggi del 1934 che anno dato attuazione all’articolo 4-A del Legislative Law, §§70-72.

[60] John W. MacDonald e Simon Rosenzweig, Law Revision Commission of the State of New York Its Organization Procedure Program and Accomplishment , 20 Cornell L. Rev. 415 (1935). Available at: http://scholarship.law.cornell.edu/clr/vol20/iss4/1

[61] Si veda al riguardo  Commission on Revision of the Federal Court Appellate System, Structure and Internal Procedures: Recommendations for Change, 67 F.R.D. 195 (1975).

[62] Ginsburg, R. B. & Huber, P. W., The Intercircuit Committee, 100 HARV. L. REV. 1417 (1986). See also Ginsburg, A Plea for Legislative Review, 60 S. CAL. L. REV. 995 (1987).

[63] Calabresi, G. Il mestiere di giudice. Pensieri di un accademico americano, Ed. il Mulino, (2012).

[64] Traynor, R. J., Statutes Revolving in Common- Law Orbits, 17 CATH. U. L. REV. 401 (1968).

[65] Id. p. 427 (“Se bibliotecari e ricercatori organizzeranno lo studio delle leggi, se i guardiani affineranno il proprio controllo sui legislatori, se i commentatori esporranno qualità e difetti dei prodotti legislativi, i giudici faranno sicuramente un miglior uso delle leggi che ruotano nell’orbita della common law.”).

[66] In origine le conferenze di avvocati, giudici, funzionari ed accademici erano intitolate “Prassi Comuni”,  vedi nota Berti (2011) cit. infra.

[67] Berti Arnoaldi Veli, G., Gli Osservatori sulla Giustizia civile e i protocolli di udienza, Ed. Il Mulino, (2011).

[68] Il termine ‘protocollo’ è inteso in questo contesto come accordo sulle regole, patto, intesa; vedi Berti (2011) cit.

[69] Berti (2011), cit.

[70] Vedi protocolli di Genova, Milano, Monza, Termini Imerese e Verona.

[71] Vedi protocolli di Arezzo, Bologna, Cagliari, Grosseto, Milano, Roma, Venezia e Verona.

[72] Vedi protocolli di Bassano del Grappa, Bologna, Campobasso, Catania, Firenze, Milano, Pistoia, Pordenone, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Roma, Salerno, Venezia e Verona.

[73] Vedi protocollo di Venezia.

[74] Vedi protocolli di Torino e Verona.

[75] Vedi protocollo di Genova.

[76] Vedi protocolli di Bologna, Reggio Emilia, Roma, Torino e Verona.

[77] Vedi protocollo di Pescara.

[78] Vedi protocollo di Verona.

[79] Vedi Protocollo di Verona.

[80] Vedi protocollo di Verona.

[81] Vedi protocollo di Firenze.

[82] Vedi protocollo di Pordenone.

[83] Vedi protocollo di Reggio Calabria.

[84] Vedi protocollo di Reggio Calabria.

[85] Vedi protocolli di Milano e Reggio Emilia.

[86] Berti (2011), cit.

[87] Caponi, R., L’Attività degli Osservatori sulla Giustizia Civile nel Sistema delle Fonti del Diritto, 57- 64, In Gli Osservatori sulla Giustizia civile e i protocolli di udienza, Ed. Il Mulino, (2011).

[88] Sulle tabelle predisposte dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano si veda Spera D., Tabelle milanesi 2013 e danno non patrimoniale, Milano, 2013.

[89] Vedi nuovo art. 81bis disp. att. c.p.c., destinato a essere ancora più incisivo, in forza di quanto recentemente stabilito dalla Corte costituzionale, con la sentenza 18.7.2013, n. 216.

[90] Vedi nuovo art. 195 c.p.c.

[91] Corte Cost., ordinanza di inammissibilità n. 157/2011 (Giudice relatore Finocchiaro).

[92] Si veda al riguardo C. Cass. sentenza n. 1175/1993.

[93] Più specificamente, i presidenti dei Tribunali de Grande Instance o delle Cours d’appel; see Canella, M. G., Gli Accordi Processuali Francesi volti alla Regolamentazione Collettiva del processo Civile, pp. 399- 434 in Berti (2011) cit.

[94] Si veda Rapport Magendie: Magendie, J.C. Célérité et qualité de la justice. La gestion du temps du procés, Paris, (2004).

[95] Magendie, (2004) cit.

[96] Si veda Ginsburg & Huber (1986), cit. e Ginsburg  (1987), cit.

[97] Tudela, R., Décret du 28 décembre 2005: vers une contractualisation de la procédure civile?, in Gazz. Pal., 2006, Doctr. p. 789.

[98] Cadiet, L., La Legalité procedurale en matiére civile, in Bull. Inf. Cass. n. 636 March, 13, 2006.

[99] Huls N., Adams M. e Bomhoff J., The Legitimacy of the Highest Courts’ Rulings. Judicial Deliberations and Beyond. TMC Asser Press (2009), p. 257 e ss.

[100] La descrizione offerta dal Professor Kramer in merito alla sua proposta è coerente con questa caratterizzazione dal momento che si riferisce all’ambito di competenza dell’agenzia come “housekeeping matters“, ovvero questioni di manutenzione interna.

[101] Il giudice italiano Luciana Breggia ha usato questo termine in Berti (2011), cit.

[102] Adams, A Ministry of Justice (2007) cit., p. 184.

[103] Feinberg, W., A National Court of Appeals?, 42 BROOK. L. REV. 611 (1976).

[104] Stevens, J. P., Some thoughts on Judicial Restraint, 66 JUDICATURE (1982).

[105] Stevens, (1982), cit. .

[106] Huls, Adams e Bomhoff (2009), cit., 297.

[107] Punzi, Il processo civile (Sistema e problematiche), Torino, 2010, II, p. 459;  Calamandrei, La Cassazione civile, cit., I, p. 395

[108] Oakes, J. L., Grace Notes on “Grace Under Pressure, 50 OHIO ST. L. J. 701 (1989); si veda anche , Flores, I. B. La técnica jurìdica en la aplicacìon del derecho, Revista de la Facultad de Derecho de México, Vol. XLV, Nos. 201- 202, (1995) riguardo al concetto di “legislative quality checklist”.

[109] Radaelli, C. M., L’analisi di impatto della regolazione in prospettiva comparata. Rubettino, (2001).

[110] Gouvin, E. J., Truth in Savings and the failur of Legislative Methodology, 62 U. CIN. L. REV. 128, 1370 (1994).

[111] Copeland Nagle, J., Corrections Day, 43 U.C.L.A.L. REV. 1267, 1268 (1996).

[112] Id p. 1268.

[113] Vedi Punzi (2010), cit.

[114] Poi Direttore Esecutivo dell’American Bar Association.

[115] All’epoca giudice della Corte Suprema del Colorado.

[116] Vedi Wintgens, Flores e Perju cit.

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Alessandro Martinuzzi