Il Foro in pratica

Sulle modalità di assoggettamento all’imposta di registro atti giudiziari dei decreti ingiuntivi per compensi professionali

Diversi Colleghi hanno inoltrato in vari momenti al Consiglio dell’Ordine Forense di Bologna rimostranze in merito al criterio adottato dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio Registrazione Atti Giudiziari nella tassazione dei decreti ingiuntivi emessi per compensi impagati dai clienti agli avvocati.

In particolare, è stato rilevato che già da qualche anno il predetto ufficio liquida su tali atti una duplice imposta: la prima intesa a gravare l’atto giudiziario in sé e la seconda, di pari importo, sul “contratto verbale” presuntivamente sottostante alle prestazioni compiute.

A seguito di colloqui direttamente intercorsi tempo addietro fra alcuni consiglieri (Callegaro, Florio e Martinuzzi) ed il responsabile della liquidazione degli atti in seno all’Agenzia delle Entrate (Rag. Vandelli), quest’ultimo segnalò che il sistema della doppia imposizione si basava sull’applicazione dell’art. 22 del D.P.R. n. 131/1986, il quale sancisce il principio della tassazione delle disposizioni contrattuali (non soggette in origine a tassazione in termine fisso) se “enunciate” in un atto giudiziario.

A fronte delle eccezioni sollevate verbalmente dai consiglieri, il funzionario dell’Ufficio Registrazione Atti Giudiziari suggerì di inoltrare alla Direzione Regionale delle Entrate una interpellanza formale, cui il Direttore avrebbe certamente dato risposta esauriente.

In data 10 giugno 2013, pertanto, il Consiglio ha inviato alla Direzione Regionale delle Entrate di Bologna l’interpellanza che trascriviamo testualmente qui di seguito.

FORMALE INTERPELLANZA IN MATERIA DI TASSAZIONE DEI DECRETI INGIUNTIVI EMESSI PER IL PAGAMENTO DI ONORARI PROFESSIONALI

In dipendenza delle diverse richieste di chiarimento pervenute al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna dai propri iscritti in merito alle modalità di assoggettamento ad imposta di registro dei decreti ingiuntivi emessi sulla base degli opinamenti attestanti la congruità dei compensi professionali richiesti, si ritiene di sottoporre alla Direzione Regionale delle Entrate la seguente

INTERPELLANZA

In materia di decreti ingiuntivi conseguiti da avvocati per il recupero delle proprie spettanze professionali nei confronti di propri clienti, si assiste all’assoggettamento a doppia imposta di registro: viene infatti tassato sia il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale, o dal giudice di Pace, quale atto giudiziario, sulla base dell’opinamento reso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, sia il presunto contratto verbale di prestazione d’opera professionale, che costituisce il presupposto dell’attività svolta.

Il decreto ingiuntivo conseguito dai professionisti legali, però, non viene emesso dal Giudice sulla base di tale contratto verbale, né di tale conferimento di incarico viene fatta esplicita ed espressa menzione nel testo del ricorso per ingiunzione.

Il decreto, ingiuntivo, infatti, assume a prova scritta necessaria per la sua emissione il parere di conformità ed opinamento rilasciato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e, in un prossimo futuro, assumerà sempre più frequentemente, a proprio fondamento documentale, il preventivo dei compensi conseguito nei preliminari colloqui di trattazione cliente/avvocato.

Pertanto, ai fini dell’opinamento e dell’emissione del conseguente decreto ingiuntivo, non assume rilievo il contratto verbale sottostante alle prestazioni, ma unicamente il compimento di queste. Né soprattutto viene fatta menzione di tale presunto contratto verbale.

A parere di questo Consiglio, pertanto, non risulta possibile inquadrare la fattispecie innanzi presentata nell’ambito di applicabilità dell’art. 22 del D.P.R. 131/86 in materia di imposta di registro.

Tale norma, infatti, recita: “Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69.

L’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione.

Se l’enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso è contenuta in uno degli atti dell’autorità giudiziaria indicati nell’art. 37, l’imposta si applica sulla parte dell’atto enunciato non ancora eseguita”.

Se, pertanto, risulta pienamente legittima l’applicazione dell’imposta di registro sul decreto ingiuntivo emesso ex art. 37 DPR 131/86 che prevede l’assoggettamento all’imposta degli atti dell’autorità giudiziaria di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, la tassazione anche del contratto d’opera professionale verbale viene percepita come un’illegittima duplice, anzi addirittura triplice, imposizione sui compensi dovuti a seguito delle prestazioni professionali, che vengono gravate di tre imposte: l’IVA, quella di registro sul presunto contratto e quella di registro sull’atto giudiziario: un medesimo atto.

In realtà, non sembrano ricorrere i presupposti per una simile imposizione atteso che, come detto, nel ricorso per ingiunzione il contratto d’opera professionale, sulla base del quale l’avvocato svolge la propria attività nell’interesse del cliente, non viene menzionato, anzi, costituisce solo un implicito presupposto logico, senza rivestire alcuna rilevanza tra i requisiti richiesti per l’emissione del decreto ingiuntivo, come, di contro, risulta rivestire il parere di opinamento emesso dal consiglio dell’Ordine.

E’ proprio tale parere di opinamento, documento formatosi tra soggetti diversi da quelli interessati dall’emissione del decreto ingiuntivo soggetto a tassazione, a costituire il presupposto utile e necessario per la concessione del decreto ingiuntivo da parte dell’Autorità giudiziaria, mentre il contratto di prestazione d’opera professionale, tuttora prevalentemente verbale, non riveste tale necessario ruolo.

Ad ogni buon conto, appare possibile l’applicazione del 2° co. del predetto art. 22, atteso che il contratto verbale di prestazione d’opera professionale, al momento dell’azione monitoria del professionista nei confronti del proprio ex-cliente, per il recupero di compensi insoluti, risulta di diritto cessato e, comunque, i relativi effetti sono già terminati.

Alla luce di quanto innanzi esposto, si chiede che venga cortesemente formulata una risposta scritta e motivata al seguente

QUESITO

Nell’ambito dell’assoggettamento all’imposta di registro dei decreti ingiuntivi emessi sulla base dei pareri di opinamento rilasciati dal Consiglio dell’Ordine in merito alla congruità degli onorai richiesti dagli avvocati nei confronti dei relativi clienti, sulla base di quale norma viene assoggettato all’imposta di registro il contratto verbale di prestazione d’opera professionale che non viene espressamente richiamato né menzionato nel testo del ricorso per ingiunzione e non costituisce il fondamento dell’emissione del decreto ingiuntivo ?”

Distinti saluti.

Avv. Sandro Callegaro
Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna”

Con apprezzabile sollecitudine, in data 26.8.2013 la Direzione Regionale delle Entrate ha fornito risposta, nel senso che riportiamo qui di seguito.

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La risposta fornita alla nostra interpellanza non è persuasiva.

Lasciamo, ovviamente, a colleghi più competenti in materia il compito di aprire, eventualmente, un “forum” sulla questione che è stata sollevata; tuttavia sembra logico contrapporre, agli argomenti della Direzione delle Entrate, quanto meno le seguenti, elementari osservazioni.

Al rilievo che il decreto ingiuntivo viene pronunciato a seguito di domanda che non si basa sul contratto verbale di patrocinio, bensì sul compimento delle relative prestazioni, viene risposto che comunque le obbligazioni inadempiute hanno fonte contrattuale ed è tale fonte che assume la veste di “disposizione” nel senso voluto dall’art. 22, comma 1, del DPR n. 131/1986.

L’argomento è forte solo in apparenza, perché, così posto, dovrebbe trovare applicazione in ogni caso di accertamento e/o di condanna all’adempimento di qualsiasi obbligazione che non sia di natura extracontrattuale. Invece non è questo che si riscontra. Al contrario, è di comune esperienza che il decreto ingiuntivo chiesto per il pagamento di una fornitura di merci non meno che di una prestazione di servizi eseguita da un’impresa dia luogo alla tassazione del solo provvedimento giudiziale, nella misura, molto spesso solo residua, dell’obbligazione inadempiuta.

In effetti, il principio della tassabilità dell’atto “enunciato” postula l’esistenza di un diverso atto enunciante: ma se l’atto giudiziario si limita a liquidare una obbligazione derivante da un unico rapporto contrattuale, ciò che l’imposta di registro dovrebbe colpire è solo l’atto giudiziario, a meno che l’obbligazione non trovi la fonte in un contratto che avrebbe dovuto essere (ma non fu) registrato in termine fisso. Il che non è nel caso della prestazione d’opera intellettuale.

Al rilievo che il decreto ingiuntivo relativo al compenso di prestazioni professionali non fa menzione alcuna del sottostante rapporto contrattuale di patrocinio, l’Ufficio ha risposto che “affinché si concretizzi una enunciazione è sufficiente che il contenuto negoziale sia chiaramente identificabile“.

Sarà vero: ma in un contributo dottrinale del Consiglio Nazionale del Notariato del 2010 si legge testualmente:

Per enunciazione deve intendersi l’espresso richiamo dei contraenti al negozio, contenuto in un atto scritto o un contratto verbale, dagli stessi posto in essere. Nell’enunciazione, quindi, devono essere evidenziati tutti gli elementi costitutivi dell’atto cui si fa riferimento, con una fedele ricostruzione conforme al suo contenuto e alla sua struttura originali, di modo che l’imposta possa essere applicata anche sul negozio enunciato, secondo gli effetti che è idoneo a produrre.

L’enunciazione deve cioè contenere tutti gli elementi essenziali del contratto enunciato che servono ad identificarne la natura ed il contenuto in modo tale che lo stesso potrebbe essere registrato come atto a sé stante.

La tassazione per enunciazione, dunque, non può operare nelle ipotesi in cui l’esistenza di un negozio sia desumibile solo da elementi indiretti e non in maniera certa e diretta per il richiamo espresso a tutti i suoi elementi fatto dalle parti. È tradizionalmente riconosciuto, infatti, che non possano considerarsi integranti l’ipotesi dell’enunciazione i richiami meramente storici o esplicativi. È stato infatti rilevato, ancorché in tempi risalenti, come non sia sufficiente che le parti enuncino circostanze dalle quali possa solo dedursi che esiste tra di esse il rapporto giuridico non denunciato, ma occorrerà sempre che le circostanze enunciate siano idonee di per sé stesse e quindi senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto a dare certezza di quel rapporto giuridico”.

E comunque resta il fatto che la “enunciazione” di un atto contrattuale, per assumere rilievo ai fini dell’imposta di registro, pensiamo che debba essere attuata in un diverso atto parimenti contrattuale intercorso fra le stesse parti e che solo per tale via possa entrare in un atto giudiziario a norma del terzo comma del menzionato art. 22. Del resto, quella, che l’Ufficio liquida due volte, di fatto non è frutto di una distinta tassazione di un atto giudiziario e di un contratto che non doveva essere registrato: bensì è sempre la stessa imposta di registro sull’atto giudiziario che viene addebitata due volte, di cui una volta su un rapporto contrattuale meramente presupposto, non enunciato da alcuno e non soggetto a registrazione.

Infine, era stato esposto dal Consiglio il rilievo che la doppia tassazione dovrebbe escludersi in virtù della norma secondo la quale “l’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione”, posto che la domanda giudiziale di pagamento del compenso postula la cessazione dell’incarico.

A quest’ultima eccezione, la Direzione Regionale delle Entrate replica, dopo una perplessa valutazione di possibile fondatezza, che in realtà ciò che viene tassata è la “parte dell’atto enunciato non ancora eseguita“, ai sensi del terzo comma del menzionato art. 22.

Neppure questo passo della risposta sfugge alla critica, anzi vi sfugge ancora meno dei passi precedenti, perché sembra incorrere in contraddizione.

Infatti, se il presupposto della doppia tassazione va colto in una distinzione fra obbligazione inadempiuta, che viene tassata con l’imposta sugli atti giudiziari, e rapporto contrattuale sottostante, che si pretende tassare in quanto contratto (ancorché non soggetto a tassazione) il concetto di “parte dell’atto enunciato non ancora eseguita” non si distingue affatto dalla obbligazione inadempiuta e può avere un autonomo significato solo se riferita, ancora una volta, ad un contratto altro e diverso da quello che dà origine alla condanna giudiziale: perché, diversamente ragionando, si confermerebbe proprio ciò che il Consiglio aveva rilevato: vale a dire una duplicazione di tassazione dell’atto giudiziario gravante sulla stessa obbligazione inadempiuta.

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Purtroppo, le battaglie col Fisco intraprese in via bonaria finiscono sempre allo stesso modo: gli Uffici non ammettono mai di avere adottato criteri errati.

In ogni caso, come già accennato poco sopra, può valere la pena aprire una sorta di “forum” sulla questione e prospettare, eventualmente, l’eventualità di una sorta di azione collettiva dinanzi ad una Commissione Tributaria.

Di certo, non sembra proprio che la Direzione delle Entrate sia propensa a cambiare indirizzo se non vi si trovi costretta.

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Gino Martinuzzi