Aggiornamenti in pillole

La gravidanza dell’avvocato e ragionevole durata del processo – La nemesi

La Nemesi della mitologia greca, delegata dagli dei a ristabilire il giusto equilibrio punendo l’arroganza dell’uomo che crede di poter travalicare certi limiti consiste nel richiamo strumentale ad un concetto proprio della cultura classica.

Più all’attualità si ricorre alla nemesi storica quando una serie di eventi, considerati negativi, si concludono con risultati compensatori inattesi.

Appunto vogliamo scrivere di qualcosa di inatteso che compensa anni di giuste battaglie dell’avvocatura meno favorita.

La legge 27 dicembre 2017 n. 205, di bilancio, nel tempo denominata legge di stabilità e per fortuna giammai piano quinquennale (in russo pjatiletka, quinquennio) utilizzato nei regimi ad economia pianificata, in genere nel nostro paese è spesso da qualificare legge della memoria, quella che tra gli innumerevoli comma dell’articolo unico, tappa i buchi e sopperisce a qualche dimenticanza quantomeno nell’anno appena decorso.

Non vogliamo tenerla troppo lunga e comunque, almeno, questa volta l’avvocatura ha diverse cose di cui compiacersi con il legislatore prima tra molte, il legittimo impedimento per gravidanza, tanto nel processo civile che in quello penale.

Quanto al primo registriamo che l’art. 1 comma 465 ha modificato l’articolo 81-bis disp. att. c.p.c. aggiungendo il seguente comma: “quando il difensore documenta il proprio stato di gravidanza, il giudice, ai fini della fissazione del calendario del processo ovvero della proroga dei termini in esso previsti, tiene conto del periodo compreso tra i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi. La disposizione del primo periodo si applica anche nei casi di adozione nazionale e internazionale nonché di affidamento del minore avendo riguardo ai periodi previsti dall’articolo 26 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), con l’avvertenza, però, che “dall’applicazione del presente comma non può derivare grave pregiudizio alle parti nelle cause per le quali è richiesta un’urgente trattazione”.

Quanto al processo penale l’art. 1 comma 465 ha aggiunto all’art. 420-ter c.p.p., dopo il comma 5, il comma 5bis: “Agli effetti di cui al comma 5 il difensore che abbia comunicato prontamente lo stato di gravidanza si ritiene legittimamente impedito a comparire nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi ad esso”.

Norme che l’avvocatura deve salutare con favore per le donne avvocato, in prima battuta, e per la crescita del concetto di genitorialità, più in generale.

Alcune avvertenze e specificità tra i due riti, ovviamente con un generale obbligo di informativa tanto al Giudice, necessaria ai fini della sospensione, ed alle controparti all’evidente fine del rapporto di colleganza: la collega avvocato deve documentare lo stato di gravidanza al Giudice civile, che ne terrà conto nel formare il calendario del processo, mentre basterà la semplice comunicazione al Giudice penale.

Non sembri un fatto scontato che, anzi, consente di apprezzare quanto la “buona” politica non si sia stata, questa volta, ancillare alla magistratura, considerato che, recentissimamente la Cassazione, sez. III penale con la sentenza n. 919, depositata il 12 gennaio 2018, ha ritenuto legittimo l’impedimento idoneo al rinvio dell’udienza ai sensi dell’art. 16 d.lgs. n. 151/2001 solo se documentato, comunicato tempestivamente e con carattere di imprevedibilità, non potendosi il legale limitare, per il principio della ragionevole durata del processo, a domandare il rinvio dell’udienza per il sol fatto di essere in gravidanza.

Ci sarebbe da discutere sul concetto dell’imprevedibilità, ma considerato l’approdo legislativo meglio seppellire la polemica non senza però interrogarci sul perché le curie italiche ricorrano all’alto canone costituzionale della ragionevole durata del processo ma il numero dei processi prescritti non diminuisca (prova ne sia l’approvazione “sotto dettatura” della legge 23 giugno 2017, n. 103) per non dire che nel tempo abbiamo assistito a ricorsi per l’equa riparazione della legge Pinto che hanno generato altro contenzioso per l’eccessiva durata di quegli stessi procedimenti.

Speriamo dunque in una classe politica migliore che, magari, sempre per stare alla legge di bilancio 2018, rifugga il gioco dell’oca normativo ed a confutazione invitiamo il lettore a scorrere l’art. 1 comma 75 in materia doganale, spassoso se non fosse tragico con buona pace dell’anelata nemesi.

Giovanni Cerri
Stefano Gualandi
avvocati nel foro di Bologna

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