Varie

Riflessioni sulla formazione universitaria e post lauream in ambito forense

Prolegomeni

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Dell’amministrazione e, di conseguenza, dei mali della giustizia in senso lato, si parla ormai da anni e non è questa la sede, né lo scopo, di sottolineare concetti che ormai da anni sono ampiamente acquisiti, basti pensare alle annuali relazioni che i Procuratori Generali pro tempore della Cassazione e di rimando quelli presso le Corti d’Appello illustrano in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario (da ultimo quella del Dott. Santacroce, quale sua ultima prolusione e lascito).

Se tutti i commentatori hanno indicato, indicano, e probabilmente indicheranno nella cronica mancanza di mezzi la causa dei mali dell’Amministrazione della Giustizia, oltre a varie singole problematiche, anche de jure condendo, all’analisi manca la visione di un disegno organico ed unitario che necessariamente deve presentare i caratteri dell’interdisciplinarietà, nell’ambito di una visione unitaria del problema. Scopo ambizioso e ambito di questi prolegomeni è proprio quello di cercare di affrontare l’argomento in un’ottica di multidisciplinarietà.

L’Università

Compito dell’Università è quello di offrire, negli studi, una formazione idonea ed un metodo per i compiti che i giovani laureati si apprestano a svolgere nella loro vita professionale. Una volta si diceva al giovane di scegliere Giurisprudenza per le ampie prospettive che tale Laurea offriva; alla luce della mutata situazione del mercato del lavoro e dei diversi livelli di professionalità che quel mercato richiede, sembra opportuno ipotizzare per il futuro tre tipologie di Laurea, che potremo chiamare laurea in Legge, laurea in Diritto e laurea in Giurisprudenza.

La laurea in Legge, conseguibile dopo un percorso di studi di tre anni, sarebbe volta a formare giuristi di impresa, consulenti del lavoro, quadri aziendali e nella pubblica amministrazione quali funzionari direttivi ma non dirigenti, cancellieri etc. La laurea in Diritto, d’altro canto, sarebbe volta a formare giovani per le carriere dirigenziali nella pubblica amministrazione, ambasciatori, funzionari parlamentari, prefetti e funzionari di polizia, etc. Infine, la laurea in Giurisprudenza, che formerà giovani che eserciteranno nel Foro, giudici, procuratori della Repubblica, avvocati ovvero notai. Va da sé che la laurea in Giurisprudenza assolverebbe le altre due; quella in Diritto coprirebbe quella in Legge, ma non, ovviamente, l’inverso.

Le tre lauree sorgerebbero dunque da un triennio comune, al quale si accederebbe tramite esame di ammissione che selezioni i futuri giuristi per mezzo di una prova di cultura generale e un test attitudinale. Al termine del terzo anno, allo studente verrebbe concessa la facoltà di scegliere se proseguire con il quarto anno, al termine del quale (e dopo aver sostenuto un esame finale), uscirebbe come dottore in Diritto; a questo punto, lo studente ambizioso e appassionato potrà proseguire con l’ultimo anno che gli permetterebbe di conseguire la laurea in Giurisprudenza.

La pratica forense potrà iniziare da sei mesi prima del conseguimento della laurea e continuerà nei sei mesi successivi; una volta compiuta, sarà possibile proseguire sostenendo l’esame di procuratore legale, esame che verrà gestito dall’Università che ha laureato in Giurisprudenza il giovane con l’apporto significativo, sia in tema di formazione che strettamente in sede d’esame, dell’Ordine degli Avvocati e dei Magistrati del circondario. Gli effetti di questa organizzazione sull’Università paiono essere di intuitiva evidenza: a seconda delle capacità personali dei giovani si opererà una formazione naturale e comunque gestita, più consona alle caratteristiche dello studente ed alle prospettive lavorative future, ed è chiaro che i programmi per la laurea in Giurisprudenza avranno il necessario spessore, in relazione a quanto verrà richiesto a quei laureati nella vita professionale.

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Una volta superato l’esame da procuratore legale, figura di cui fu decretata la scomparsa evidentemente sulla spinta di motivazioni che non tenevano conto della necessità di graduare l’ingresso nel mondo del lavoro considerando le concrete esperienze e passioni dei singoli, l’Università avrà esaurito il proprio compito formativo, ma l’esame, con la presenza nella Commissione giudicatrice anche di giudici e avvocati, stimolerà i professori universitari a curare la miglior preparazione dei propri allievi in quanto l’Università verrà giudicata anche per la formazione che sarà riuscita a dare ai propri aspiranti procuratori legali.

(Un inciso, che la natura stessa di questi prolegomeni ci autorizza a fare: invece che professori a tempo parziale o a tempo pieno, ipotizzare professori che tutti i pomeriggi siano in facoltà per le lezioni, le esercitazioni ed i tutorati ed anche per la loro attività professionale, se fruibile dagli studenti stessi come ulteriore opportunità di crescita? Lo studio di un procedimento penale, fatto da un professore universitario penalista, con la dovuta riservatezza rispetto alla privacy dell’imputato, può tranquillamente essere svolto quale attività didattica, con la partecipazione degli studenti quale esercitazione pratica di quanto un domani andranno a fare.)

Chiusa la parentesi, torniamo ai nostri procuratori legali, che potranno esercitare avanti ai Giudici di Pace, al Tribunale civile e penale in funzione monocratica ed in tutte le forme di mediazione. Saranno obbligatoriamente iscritti, oltreché al relativo Foro, anche alla Cassa Avvocati, ed avranno la possibilità di riscattare ai fini previdenziali, (si vorrebbe dire obbligatoriamente), gli anni di università. Poiché per i primi cinque anni dovranno operare esclusivamente in collaborazione con un avvocato anziano, un giudice o un procuratore della Repubblica, annualmente verrà stabilita l’entità del compenso, in esenzione da ogni onere fiscale ed a carico dell’Avvocato o dell’Amministrazione Pubblica, con la previsione che gli oneri di riscatto universitario e di previdenza siano compatibili con i redditi del giovane procuratore legale, necessariamente limitati.

Tale forma di organizzazione sembra idonea a favorire un percorso esperienziale assistito e tuttavia remunerato, di indubbio vantaggio sia per gli avvocati (che si potranno avvalere di collaborazione stabile e con rapporti economici chiari e predeterminati), sia per i magistrati, che potranno contare sulla collaborazione dei procuratori legali in maniera piena e nel rispetto delle giuste aspettative giovanili. La limitazione per il procuratore legale nell’esercizio delle sue attività trova una ratio sia nella tutela del cliente, sia nella sua stessa formazione per la quale sarà indotto a ricorrere in maniera piena e convinta agli istituti della mediazione e dunque alle esigenze deflattive del carico giudiziario.

Decorsi i cinque anni di effettiva pratica forense, sia presso uno Studio Legale, che presso una Procura della Repubblica o un Tribunale, la propria opera verrà giudicata sotto il profilo di quanto prodotto in termini di attività forense e stragiudiziale, in termini di formazione ed aggiornamento, in termini di deontologia. Solo a seguito del positivo giudizio espresso dalla Magistratura, dall’Avvocatura e dall’Università che lo ha dapprima laureato e poi fatto diventare procuratore legale, potrà sostenere un esame per avvocato, uno scritto con modalità a risposte multiple e presso l’Università stessa, esami da bandirsi ogni sei mesi. Una volta diventato avvocato potrà concorrere per l’ulteriore esame per il Notariato o alla magistratura, requirente o giudicante, mentre diverrà Avvocato abilitato al patrocinio avanti le Giurisdizioni superiori non prima dei quarantacinque anni di età e non meno di quindici anni di professione.

Avv. Mauro Pacilio
Ab. Giovanni Pacilio

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Mauro Pacilio

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Giovanni Pacilio