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Pagamento del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello stato – Errore materiale in sentenza – Rimedi – Verbale delibera del 1/2/2017

Riferisce il Consigliere avv. Annalisa Atti sul quesito, sottoposto da un iscritto, in materia di patrocinio a spese dello Stato.

L’istante chiede di sapere “se un avvocato, la cui assistita, parte vincitrice, sia stata regolarmente ammessa al patrocinio a spese dello Stato, possa essere in qualche modo debitamente pagato o meno”. Ciò, in quanto la sentenza ha posto a carico della controparte soccombente il pagamento delle spese di lite, senza, si suppone, indicare “a favore dello Stato”, e l’iscritto si è allora avventurato in una ricerca, infruttuosa, della controparte stessa, per farsi pagare i propri compensi, come liquidati in sentenza.

Si deve premettere che accade frequentemente che le sentenze di condanna delle controparti degli ammessi al beneficio non rispettino, come dovrebbero, l’indicazione normativa ex art. 133, d.p.r. 115/2002 “Il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato”, ponendo semplicemente a carico del soccombente, senza specificazioni, le spese.  In questi casi, si rende quindi opportuno fare istanza di correzione del provvedimento, per far modificare il dispositivo nel senso indicato dall’art. 133 citato.

Ciò non significa, tuttavia, che un provvedimento in questi limiti errato permetta al difensore dell’ammesso di richiedere il pagamento delle spese direttamente alla controparte (la quale, peraltro, ben si potrebbe rifiutare di farlo, proprio perché, in base a quanto previsto dalla normativa vigente in materia, diversamente correrebbe il rischio di pagare – male – nelle mani della controparte e di dover pagare poi nuovamente nelle mani dello Stato, e poi ripetere dal primo percettore quanto sborsato).

Il difensore dell’ammesso, infatti, può solamente chiedere (come prescrive l’art. 83 d.p.r. 115/2002, con l’importante modifica apportata dalla legge cd. di stabilità 2016, l. n. 28 dicembre 2015 n.208) la liquidazione del compenso spettategli con apposita istanza, che sarà poi decisa con decreto di liquidazione da parte del magistrato, e che gli sarà poi pagato, nei tempi e modi previsti, dallo Stato.

Così recita l’art. 83: “ 1. L’onorario e le spese spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono liquidati dall’autorita’ giudiziaria con decreto di pagamento, secondo le norme del presente testo unico. 2. La liquidazione e’ effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorita’ giudiziaria che ha proceduto; per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. In ogni caso, il giudice competente puo’ provvedere anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione al patrocinio e’ intervenuto dopo la loro definizione. 3. Il decreto di pagamento e’ comunicato al beneficiario e alle parti, compreso il pubblico ministero. ((3-bis. Il decreto di pagamento e’ emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta)).

Merita particolare attenzione l’ultimo comma dell’articolo, novellato appunto con la l. 208/2015, in quanto dalla sua formulazione discendono alcune criticità per il difensore, evidenziate nella pronuncia Trib. Milano, decreto 22/3/2016 (http://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_22259_1.pdf):

il decreto di pagamento (pronunciato con atto separato e distinto dalla sentenza: v. Cass. Civ. 7504 del 2011) deve intervenire contemporaneamente alla pronuncia del provvedimento definitivo del giudizio, a seguito di rituale istanza (artt. 82, 83 d.P.R. 115 del 2002) del difensore; con il provvedimento che chiude il giudizio davanti a sé, il giudice si spoglia della potestas decidendi e non può più provvedere alla liquidazione avendo perso il relativo potere; in casi analoghi, la giurisprudenza è nel senso che l’eventuale provvedimento giudiziale di liquidazione del compenso erariale sia illegale o comunque abnorme (v. Cass. Civ. n. 18204/2008; Cass. Civ. 11418/2003); il difensore il cui compenso non sia stato liquidato nel corso del processo non decade dal relativo diritto potendo richiederlo con procedimento ordinario o con ingiunzione di pagamento (v., in casi analoghi, Cass. Civ. 7633 del 2006)”.

I primi commentatori hanno evidenziato cioè che “il magistrato è vincolato al principio della domanda e, pertanto, in mancanza della “relativa richiesta” lo stesso non potrà emettere d’ufficio il decreto di liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato per le attività prestate a favore del non abbiente; il magistrato, in caso di eventuale presentazione della richiesta di liquidazione successivamente alla definizione della relativa a “fase” processuale, è tenuto a considerare la richiesta medesima come tardiva e, pertanto, dichiarare la stessa inammissibile; l’eventuale provvedimento giudiziale di liquidazione del compenso emesso a fronte di istanze di liquidazione tardivamente depositate è da ritenersi illegale o comunque abnorme, secondo la prevalente giurisprudenza sul punto pronunciatasi 3; il difensore che non presenta ovvero tardivamente presenta la richiesta di liquidazione non decade dal relativo diritto potendo richiedere il compenso spettategli con procedimento ordinario o con ingiunzione di pagamento”. http://www.altalex.com/documents/news/2016/09/05/gratuito-patrocinio-novita-su-liquidazione-compensi-avvocati#sdfootnote2sym

Il Consiglio, all’esito, delibera di fare proprio il parere reso per il quale ringrazia il Consigliere Annalisa Atti.

 

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