Pareri deontologici e ordinamentali

Testimonianza del difensore in sede penale su circostanze apprese nell’esercizio dell’attività – Limiti – Verbale delibera del 25/5/2016

Riferisce il Consigliere avv. Saverio Luppino che con istanza protocollata  in data 20.04.2016 e successivamente assegnata allo scrivente consigliere, il Collega prof. Avv. Tizio ha richiesto al Consiglio dell’Ordine, parere deontologico riguardo alla possibilità del difensore di astenersi dal rendere la testimonianza nell’ambito di un procedimento penale in cui risulta essere stato chiamato a deporre, su circostanze apprese nell’esercizio di attività professionale.

In particolare, il Collega rappresenta di assistere in sede civile la curatela del fallimento Zeta s.p.a., in causa civile riguardante la responsabilità nei confronti degli organi sociali della fallita, azione che si è accompagnata anche ad un sequestro conservativo ex articoli 671 c,p,c, e 146 Legge Fallimentare, misura diretta anche nei confronti del sig. Roberto Mevio.

In seguito ad indagini svolte dalla Procura di Rimini sulla persona dell’imputato sig. Roberto Mevio, nella di lui qualità di membro del consiglio di amministrazione di ENAC, nonché appartenente al collegio dei revisori di Zeta s.p.a. e relativamente ad una serie di reati contestati a quest’ultimo (articolo 317 c.p. – applicazione di misura cautelare reale di sequestro preventivo ai sensi dell’articolo 321, comma 2 c.p.p., in relazione  all’articolo 322 ter c.p.), il collega Tizio è stato citato quale testimone per l’udienza del 16.12.2014, poi rinviata al 11.3.2016 ed infine al 21.10.2016.

Così come dichiarato dal collega e, secondo quanto si legge dalla documentazione allegata all’istanza, il nominativo dell’imputato Mevio ed in parte i fatti ascritti alla condotta di quest’ultimo sembrerebbero in parte coincidere con le condotte tenute anche da quest’ultimo e che poi hanno comportato le conseguenze fallimentari di Zeta e per quanto consta anche le domande civilistiche proposte nei confronti di quest’ultimo, da parte della curatela del fallimento, assistita dal collega Tizio.

Per il vero, il provvedimento di decreto di sequestro per equivalente del Giudice per le indagini preliminari fa riferimento al ruolo di pubblico ufficiale e membro di ENAC del sig. Mevio, affermando che quest’ultimo, abusando del proprio ruolo di pubblico ufficiale, induceva il presidente e vicepresidente di Zeta Spa a consegnargli l’indebito importo di €.70.974,00 attraverso il conferimento di un incarico di consulente.

Tuttavia, si legge a pag.2 del provvedimento del GIP, che è emerso come: “la condotta ascritta all’indagato Mevio si colloca nell’ambito di più complesse ed articolate indagini che riguardano il dissesto finanziario di alcune società fra loro collegate e tutte operanti nella gestione dell’aeroporto “Federico Fellini”.

La Carta dei Principi Fondamentali dell’Avvocato Europeo individua lo speciale ruolo svolto dall’Avvocato in una società fondata sul rispetto della giustizia: “Il suo compito non si limita al fedele adempimento di un mandato nell’ambito della legge. L’avvocato deve garantire il rispetto dello Stato di Diritto e gli interessi di coloro di cui deve difendere i diritti e le libertà; l’avvocato ha il dovere non solo di difendere la causa ma anche di essere il consigliere del proprio cliente. Il rispetto della funzione professionale dell’avvocato è una condizione essenziale dello Stato di diritto e di una società democratica” (Codice Deontologico degli Avvocati Europei del CCBE, articolo 1.1).

Sul piano del diritto sostanziale la normativa l’art. 622 c.p. deve essere coordinata con l’art. 200 c.p.p., a tenore del quale gli avvocati e altri professionisti “non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria”, nonché con le leggi di disciplina delle varie categorie (leggi speciali di settore).

Nel caso specifico la norma di riferimento – individuata dallo stesso collega Tizio – è l’articolo 51 del nuovo codice deontologico (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 16 ottobre 2014 ed efficace a decorrere dal 15 dicembre 2014), il quale stabilisce che:”salvo casi eccezionali, l’avvocato deve astenersi dal deporre come persona informata sui fatti o come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e ad esse inerenti”.

Il nuovo testo dell’articolo 51, rispetto alla precedente versione, tipizza e specifica i doveri di riservatezza nell’ambito del perimetro della deposizione dell’avvocato, accentuandone “l’assoluta inopportunità” e superando la locuzione del testo precedente “per quanto possibile”; talchè si ritiene che ora il divieto possa ricomprendere ed essere esteso anche alle informazioni rivelate dal cliente in un momento anteriore al conferimento del mandato professionale.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito il paradigma che l’obbligo di astensione dipende dall’esistenza di un mandato professionale all’Avvocato, specificando che: “quest’ultimo debba astenersi dal deporre come testimone su circostanze che siano state apprese nell’esercizio della propria attività e siano inerenti al mandato ricevuto” (Cass. Pen., sez. VI, 02 aprile 2013, n. 15003 – MILO Presidente – PETRUZZELLIS Relatore).

Ciò nondimeno, per consolidata giurisprudenza del CNF e della Corte di Cassazione, il rapporto tra il ruolo di difensore e quello di testimone non si presta ad essere disciplinato in termini assoluti ed astratti ed in maniera apodittica, ma va contestualizzato e valutato, caso per caso, non trattandosi di incompatibilità assoluta ma relativa e rilevando esclusivamente sotto il profilo deontologico e non processuale.

La ratio del divieto va ricercata nella necessità di garantire che, attraverso la testimonianza, il difensore non venga meno ai canoni di riservatezza, lealtà e probità cui è obbligato ad attenersi nell’ attività di difesa, rendendo pubblici fatti e circostanze apprese a causa della sua funzione e coperte dal segreto professionale espressamente da ricondursi all’articolo 28 del codice deontologico.

La relazione illustrativa al codice deontologico e la stessa giurisprudenza del CNF, antecedente all’ingresso della riforma del codice stesso, specifica come: “Il divieto non può che operare nel medesimo processo che vede l’avvocato svolgere l’ufficio di difensore, ruolo che è obbligato a dismettere nel momento in cui decide di avvalersi della facoltà di rendere testimonianza e precedentemente alla sua escussione, al fine di evitare la commistione dei ruoli stessi. In altre parole l’avvocato non può trovarsi contemporaneamente a rivestire i due ruoli nel medesimo processo”.

In generale è possibile affermare che l’obbligo di rendere testimonianza si ricollega ad un dovere vigente per l’avvocato, come per qualunque cittadino “di presentarsi al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 198 c.p.p., tenuto conto che l’articolo 51 del deontologico nulla dice, e può dire, in relazione all’eventuale testimonianza da rendersi in processo diverso da quello nel quale si è difensore, non essendo in grado certamente di vietare in senso assoluto il diritto-dovere del cittadino comune, seppure avvocato, di rendere testimonianza e prevedendo il solo correttivo del potersi avvalere del vincolo del segreto professionale per sottrarvisi.

Nel caso specifico, pur se il Collega Tizio ha avuto conoscenza – come dichiara egli stesso – di informazioni, specificamente nell’ambito di questioni legate al mandato defensionale ed aventi oggetto il fallimento della società Zeta spa, nella quale il Mevio risultava fare parte del collegio sindacale e non svolgeva attività dichiaratamente amministrativa, fatti peraltro dichiaratamente conosciuti, come afferma il difensore stesso, “ de relato”, risulta altresì che il curatore del fallimento con comunicazione email del 14.12.2014, a richiesta del difensore, ha comunicato per iscritto la non contrarietà alla deposizione, non sussistendo ragioni ostative di tutela della parte assistita.

Peraltro, nel caso di specie appare di tutta evidenza la non riferibilità della fattispecie concreta all’istituto di cui all’art. 200 c.p.p., non essendo l’Avvocato chiamato a deporre su fatti appresi per la migliore difesa tecnica dell’assistito, né su circostanze obiettivamente segrete, la cui rivelazione possa nuocere al proprio mandante.

Invero, pare il caso di ricordare che la stessa Corte Costituzionale ha affermato: “L’esenzione dal dovere di testimoniare non è, dunque, diretta ad assicurare una condizione di privilegio personale a chi esercita una determinata professione. Essa è, invece, destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che ad un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza è necessaria o utile per l’esercizio di un efficace ministero difensivo. Da questo punto di vista la facoltà di astensione dell’avvocato non costituisce un’eccezione alla regola generale dell’obbligo di rendere testimonianza, ma è essa stessa espressione del diverso principio di tutela del segreto professionale. Il legislatore, disciplinando la facoltà di astensione degli avvocati, ha operato, nel processo, un bilanciamento tra il dovere di rendere testimonianza ed il dovere di mantenere il segreto su quanto appreso in ragione del compimento di attività proprie della professione. L’ampiezza della facoltà di astensione dei testimoni deve essere interpretata nell’ambito delle finalità proprie di tale bilanciamento (così Corte cost. 08-04-1997 – C.C. 25-03-1997, n. 87 – Pres. Granata – Rel. Mirabelli).

Tenuto conto delle circostanze di cui sopra e valutato che la deposizione del collega nel processo penale possa favorire l’attività di indagine, senza compromettere la violazione degli obblighi deontologici sopra indicati nè venire meno agli articoli di riferimento 28 e 51 codice deontologico, per le superiori ragioni indicate – valutabili caso per caso e  non ricorrendo né la facoltà di astensione né l’incompatibilità assoluta, non trattandosi del medesimo processo nel quale il collega presta la propria attività defensionale, si ritiene che il collega Tizio non incorra in violazione di obblighi deontologici ove assuma la qualità di testimone nel processo penale in cui è citato come teste e che l’obbligo di astensione pare nella specie non potersi invocare per le ragioni ed i motivi ut supra indicati non sussistendo inconciliabilità assoluta tra le funzioni di testimone e difensore nel caso di specie.

Si richiama a giurisprudenza del CNF n.172 del 8.10.13 in banca dati CNF

Il Consiglio, all’esito, ringrazia il Consigliere Luppino per il riferimento e delibera di esprimere parere nei termini sopra riportati, mandando agli Uffici di Segreteria per la comunicazione al prof. avv. Tizio.

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