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Gli investimenti di Cassa Forense – lontani dal passato e prima del futuro

Le Casse Previdenziali, fondazioni di diritto privato, è bene ripeterlo, debbono ben amministrare patrimoni in esponenziale crescita per assicurare le prestazioni promesse. Questo e solo questo, in ossequio al dettato di cui all’art. 38 della Carta Costituzionale, è l’imperativo categorico, la mission, come amano ripetere i loro amministratori.

Le Casse previdenziali debbono dunque garantire (nel tempo) l’erogazione dei trattamenti previdenziali ed assistenziali. Non potendo contare sul sostegno pubblico debbono accumulare patrimonio che per la gran parte deriva dal differenziale avanzo sedimentato tra i contributi riscossi e le prestazioni erogate, cui sommano i rendimenti degli investimenti.

Piacerebbe ridurre la contribuzione, ma questo non è possibile perché le varie leggi di stabilità, da ultimo nell’anno 2011[1], hanno nel tempo sempre più alzato l’asticella imponendo alle Casse Previdenziali di adottare sistemi sostenibili in proiezione cinquantennale[2].

Del resto il patto intergenerazionale impone di guardare innanzi, molto più avanti del naso, avere ben chiaro che i bilanci attuariali, di cogente scrittura ogni tre anni, debbono orientare le scelte, le decisioni, a volte anche impopolari.

Cassa Forense negli anni, almeno da quando siedo sugli scranni del Comitato dei Delegati (un lustro e poco più), credo abbia dato prova di ben comprendere che, per allontanarsi dall’abbraccio statuale (basti pensare alle ambizioni dell’INPS di fagocitare floride casse) e garantire una sostenibilità del sistema, fosse necessario contenere la spesa pensionistica ed abbandonare lentamente il sistema retributivo puro, quello del rigido pro-rata per intenderci, riducendo i trattamenti generosi dei tempi passati, imponendo ai pensionati in attività una contribuzione quasi a fondo perduto che avvantaggiasse pro-futuro le giovani generazioni, prevedendo per queste vantaggi all’ingresso nel ceto forense, viepiù dopo l’obbligatorietà dell’iscrizione a Cassa Forense siccome disciplinata dal regolamento di cui all’art. 21 della legge 247/2012.

Se la curva, lo squilibrio nominalistico tra le entrate contributive e le prestazioni da erogare, subirà come si ipotizza (a dar retta ai bilanci attuariali) una inversione transitoria intorno al 2040, è giocoforza confidare nei profitti degli investimenti e riempire i granai prima dell’arrivo dei tempi di “vacche magre”.

Dirò subito in via diffusa che sembrerebbe facile amministrare CF con questi numeri, con queste entrate, con questi avanzi di gestione con un patrimonio ormai prossimo a 10 miliardi di euro.

Soffocando la superbia dei miei pensieri mi rendo conto, però, che così non è, e se è vero che gli avanzi, gli utili, in parte prudentemente appostati a riserve, mi rendono orgoglioso dell’azione degli amministratori che, pur nel delicato periodo congiunturale, accumulano scorte per fronteggiare il momento della curva discendente tra entrate contributive e di gestione con i costi per le prestazioni.

Anche se diversi sono i sistemi di formazione dei documenti contabili, potrebbe sembrare che le “alchimie” del bilancio tecnico inducano qualche ansia soprattutto per alcuni dati distonici tra previsioni attese e risultati concreti, del resto, però, i moderni attuari non sono forse, alla prova dei fatti, gli antichi interpreti dei sogni?

Sia allora l’Egitto del faraone di Giuseppe di biblica memoria a fornire l’esempio e non quello attuale di Morsi (magari quelli della fame e delle tenebre del diritto).

Per la cronaca ho provato a documentarmi ma pare non sia possibile avere certezza del nome di quel faraone, nemmeno il sacerdote che ricostruisce le dinastie d’Egitto, Manetone, ci riesce e qualche traccia dell’interpretazione del sogno fornita da Giuseppe la si ritrova solo nel libro della Genesi.

Comprenderete allora che pur con le regole del “bail in” in agguato, con le casseforti piuttosto irrobustite e con l’ansia e la responsabilità del futuro, sono e saranno gli investimenti (recte le rendite degli investimenti) a irrobustire le riserve per il momento della discesa.

Dovrei dilungarmi sull’aberrante doppia imposizione, sul carico fiscale davvero insopportabile sulle rendite degli investimenti, che l’ingordo erario ha elevato dal 12 al 26% in pochi anni, ma mi riservo di tornare in argomento in altro appuntamento ricordando che il 25 maggio presso la sede di CF si terrà una interessantissimo seminario sulla “Sostenibilità fiscale delle Casse di previdenza”.

È allora giocoforza poter contare su amministratori sempre più dedicati che possano confidare su strutture e collaboratori di avanguardia con provata esperienza e capacità professionali di eccellenza, perché grande è la loro responsabilità nel gestire così rilevanti patrimoni.

Mi pare di poter affermare, senza alcun incensamento, e certo che si potrà fare sempre meglio, che Cassa Forense ha dimostrato di “essere lontana dal passato e prima del futuro”, con investimenti nell’economia reale del paese che, alla prova dei fatti, stanno fornendo lucrose rendite[3].

Passo a bomba sull’occasione del presente contributo che mi è fornito dall’investimento di € 10 mln di Cassa Forense nel CAAB di Bologna che ha suscitato le perplessità di qualche iscritto. Riporto il post più mediaticamente d’impatto che ho ritrovato sui social: “Vergogna, noi stiamo morendo di fame e voi investite nell’agroalimentare!”.

Dapprima, a parziale confutazione, in modo algido, rinvio alla notizia siccome riportata dall’Ansa del 16 marzo 2016[4].

Resta il quesito di fondo: gli iscritti possono chiedersi se sia giusto che CF investa nell’economia reale del paese?

Le proteste, davvero poche, e scarsissimi i cd “mi piace”, lasciano il tempo che trovano anche se abbaiare alla luna pare lo sport del momento.

Piuttosto si potrebbe convenire su una qualche asimmetria informativa. La forza della ragione deve imporre, in modo sempre più stringente e tempestivo, di dar conto al ceto forense, pur nel rispetto di clausole di riservatezza, degli investimenti tali, da un lato, di permettere una piena discovery e, dall’altro, di impegnare gli amministratori alle loro scelte e responsabilità.

A tacere del complesso e stringente sistema dei controlli[5], non dubitino gli iscritti che anche il Comitato pretende maggiore consapevolezza e al contempo non vuole lasciare solo il CdA nell’intraprendere, ma ancor più nel perseguire, politiche di investimento lungimiranti che, oltre al rendimento, tengano conto della sostenibilità e abbiano anche qualche eco di caratura etica.

È vero che l’investimento nel CAAB di Bologna in un primo momento ha sorpreso i più me per primo ma, con il doveroso approfondimento che mi è stato consentito nel partecipare all’evento, ha evidenziato una interessante prospettiva e fors’anche un ritorno futuribile in opportunità di lavoro per i colleghi nell’ambito (forse meglio per simpatia nel campo) della sicurezza alimentare.

Si tratta di investimento di natura immobiliare nel fondo PAI (parchi agroalimentari italiani) perché, non dimentichiamo, il nostro petrolio, con buona pace di quello coast to coast della Basilicata, resta quello del turismo e dell’agroalimentare[6].

La conoscenza mi ha consentito di lodare l’investimento. È vero che la sua circolare, magari non così approfondita, conoscenza per gli iscritti avrebbe consentito di tacitare i rumors di alcune frange dell’avvocatura, attive nel web o eccitate sul web che sia, magari con una nota del nostro organo amministrativo (da considerare anche in chiave di massa critica e voce del nostro padrone – la collettività degli iscritti sia chiaro – cui dobbiamo rispondere).

Concludo l’argomento significando che si tratta di un ottimo investimento, come detto di carattere immobiliare, dove il progetto FICO (quello del cibo per intenderci) è ancora in divenire e di assoluto contorno tanto che sono davvero orgoglioso di custodire un frammento del nastro tricolore dell’inaugurazione.

Anche per un senso di appartenenza territoriale mi piace inoltre segnalare, nel solco di quanto ho sopra enunciato, che la Fondazione Forense Bolognese ha organizzato il primo Corso di diritto agroalimentare.

Ci si deve rendere conto che l’industria agroalimentare occupa il secondo posto in Italia, subito dopo quella metal meccanica, ed è in costante e rapida crescita, e rappresenta una delle eccellenze del “made in Italy” a livello mondiale.

Tutte le branche del diritto sono coinvolte, nessuna esclusa e gli avvocati saranno sempre più chiamati ad occuparsi di un mercato grande ed in espansione, che si trova ad affrontare problematiche spesso inedite o poco conosciute, dalla nuova frontiera della ” agro pirateria” alla tutela della origine dei prodotti, alle infinite problematiche rappresentate dal cibo ” Halal” ed alla esportazione in Paesi come la Cina e gli USA.

Il Corso, tra i primissimi organizzati in Italia, ha come obiettivo quello di dare agli avvocati una formazione di base, ma ampia e certamente utile per approcciarsi a questo cruciale settore della economia, dove vi sono amplissimi spazi professionali ancora da occupare.

Mi piace abbandonare la tastiera riportando le parole di Brooks: “Bisogna smettere di parlare (solo) di pil, tasse spesa e debito: bisogna smetterla di farci presentare come contabili senza sentimenti, e occorre invece rivendicare puntigliosamente e sempre le ragioni umane e umanistiche (di libertà, di dignità, di opportunità) che sono alla base dei nostri programmi.”[7].

Non è forse vero che i liberali non sanno spiegarsi pur avendo programmi che, non sprecando, aiutano i più deboli?

[1] legge n. 214/2011 Monti-Fornero, c.d. Salva Italia.

[2] La stampa dell’epoca all’indomani del 30 settembre 2012 riportava lusinghieri apprezzamenti del ministro Fornero che ha sottolineato anche la particolare attenzione riservata alle esigenze di tutela delle nuove generazioni, ha giudicato i provvedimenti adottati dalle Casse «una risposta corretta e responsabile». In prospettiva, però, il ministro «formula l’auspicio che il percorso intrapreso possa arricchirsi attraverso l’avvio di sinergie e di iniziative di condivisione tra i medesimi enti, a partire dalla realizzazione di strumenti di welfare allargato, nell’ottica di un moderno disegno di sostegno solidale».

[3] Basti citare l’investimento in Bankitalia. Cassa Forense ha investito 225 milioni per il 3% del capitale e insieme ad altre casse ha raggiunto l’11,2% del capitale. Il dividendo è stato pari a 35 milioni per le Casse a fronte di un investimento complessivo di 840 milioni , si veda Quotidiano Sanità 29 aprile 2016.

[4] Dieci milioni dalla Cassa Forense per il progetto Fico Eataly World, pari a un decimo dell’investimento complessivo. Si può con piacere registrare un ulteriore e importante investimento nel Fondo Pai: è la Cassa Forense ad aver deliberato la partecipazione con 10 milioni. In questo modo l’investimento complessivo delle Casse previdenziali italiane arriva a 50 milioni, traducendo così nella città di Bologna quell’esortazione a investire nell’economia reale del Paese che era arrivata dal Primo Ministro Matteo Renzi e dal Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan”.

[5] Basti citare i controllori di CF: il Collegio dei revisori nominati dai ministeri vigilanti e dal CNF; la Covip (commissione parlamentare di vigilanza sulla spesa previdenziale); la Corte dei Conti.

[6] da IlSole24ore dell’1/4/2016: Il progetto è complesso e vi troveranno spazio campi coltivati e allevamenti dimostrativi, mercati e botteghe, 40 laboratori di trasformazione di materie prime, 20 ristoranti, 10 aule per la didattica e la formazione e 4mila metri quadrati di padiglioni per eventi, iniziative culturali e didattiche legate al cibo, per scoprire l’ Italia e le sue biodiversità. “Sarà la vetrina dell’agroalimentare italiano – ha aggiunto Segré – un settore che già oggi vale oltre 30 miliardi di euro ma che in prospettiva può crescere di molto”. Promosso dal Comune di Bologna, il progetto sarà gestito da Eataly World, la società costituita da Eataly e Coop Adriatica. Il fondo immobiliare invece è gestito da Prelios.

[7] Arthur C. Brooks, The conservative heart.

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Giovanni Cerri