Il Foro in pratica

Procedure di recupero del credito professionale

Il rapporto CENSIS sullo stato della professione, commissionato da Cassa Forense, le cui risultanze sono state illustrate alla XI conferenza di Rimini del decorso settembre, ha messo a nudo uno spaccato dell’avvocatura nelle secche della recessione, un’avvocatura che stenta a riprendere, che ha difficoltà ad innovarsi e a proporsi con servizi professionali adeguati ai cambiamenti della società, tanto da annoverare nella prossimità dello studio la gran parte della clientela.

Particolarmente, per quanto interessa il tema che intendiamo trattare, ha dato conto che circa l’80% del campione intervistato si duole delle difficoltà nell’incassare i propri “sudati” compensi.
Crediamo non ci sia POS [1] che tenga: le difficoltà delle aziende e della clientela privata, vere o presunte in taluni casi, hanno ricadute sui conti dei professionisti in toga.
Diffide e solleciti si sprecano ed occupano ormai una cospicua fetta delle giornate lavorative.
L’avvocato riflette prima di passare alle vie giudiziarie per far valere il proprio credito professionale: ha la certezza di perdere per sempre il cliente, teme di impantanarsi in contenziosi a volte delicati, rischia di spendere e di non ricavare alcunché, a volte teme di offuscare il proprio prestigio.
Vediamo allora quali le procedure cui può ricorrere l’avvocato nei confronti dell’ex cliente, giovando appunto dar conto che prima del passo estremo è necessario interrompere il rapporto professionale se l’incarico non fosse già concluso, al fine di evitare di pregiudicare le ragioni dell’assistito [2] poiché, magari, oltre al danno non si aggiunga la beffa di un procedimento disciplinare [3], accompagnato, non sia mai, anche da un’azione di responsabilità, autonoma o riconvenzionale che sia.
Prima di entrare nel vivo del tema si deve dar conto che nel DDL Concorrenza, all’esame del Parlamento, è prevista la modifica dell’art. 13, 5° della L. n. 247/2012 quanto al preventivo: sopprimendo l’inciso “a richiesta” verrà così imposto l’obbligo del preventivo in forma scritta, mentre all’attualità l’avvocato deve fornirlo soltanto ove richiesto dal cliente.
Ne discende che, anche in assenza di esplicita istanza, il professionista (dopo la definitiva approvazione della norma) sarà tenuto a rendere noto al cliente, il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento sino alla conclusione dell’incarico, nonché sempre in forma scritta “la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale”.

Proprio in funzione delle possibili azioni di recupero del credito sarà opportuno concludere con il cliente il contratto professionale poiché almeno an e quantum saranno pacificamente acclarati e la prova scritta incontestabile.
Il contratto potrà richiamare fasi e parametri di cui al D.M. 55/2014, che sembrano davvero più generosi di quelli di cui al D.M. 140/2012; chi scrive non ha particolari rimpianti per l’abolizione delle tariffe (complicate e farraginose quanto all’elencazione delle funzioni procuratorie) se non per l’abolizione, di fatto, dei minimi, non già e non tanto per problemi di concorrenza spinta o di dignità della professione ovvero di garanzia della qualità delle prestazioni, quanto perché ne hanno profittato i grossi gruppi finanziari, assicurativi e bancari.
A prescindere dall’obbligo normativo, in fieri, difficile non convenire sulla necessità della stipulazione del contratto nella genesi del rapporto professionale tale da rendere trasparente il sinallagma con anche una maggiore responsabilizzazione del cliente chiamato, magari, a sottoscrivere una clausola di arbitrato. In tal caso in forza della clausola compromissoria l’avvocato creditore potrà attivare la procedura di arbitrato rituale e di diritto in esito alla quale, in un tempo breve, potrà ottenere dal Presidente del Tribunale l’esecutorietà del lodo ai sensi dell’art. 825 c.p.c.
Non dimentichiamo poi che l’art. 3, 1°, della L. n. 162/2014 ha introdotto la negoziazione assistita obbligatoria, con il previo esperimento del tentativo di conciliazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale (salvo non ricorrere al monitorio ovviamente), ogni qual volta si voglia far valere in giudizio una pretesa: “chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro” deve, tramite avvocato, “invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita”[4].
Per venire al “conflitto” piace prima interrogarsi se la procedura di cui alla legge n. 794/1942, nel tempo non troppo coltivata dagli avvocati, sia ancora vigente.

La legge, abrogata espressamente dal D.L. n. 200/2008 (uno dei tanti decreti di sfoltimento normativo), è stata resuscitata dal d.lgs. n. 150/2011, che ha modificato l’art. 28 e abrogato gli artt. 29 e 30 della legge 794/1942, disponendo nello specifico: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. Ergo rito sommario di cognizione ex artt. 702-bis e ss. c.p.c. con alcuni distinguo. La competenza spetta all’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera (Tribunale o Corte d’Appello in composizione collegiale); le parti possono stare in giudizio personalmente; non pare consentita la conversione del rito da sommario a ordinario; il giudizio è definito con ordinanza, contro la quale non è possibile proporre appello se non impugnarla con il solo ricorso straordinario per cassazione.
Ancora, il procedimento di cui all’art. 28 si applica anche in caso di opposizione a decreto ingiuntivo riguardante i compensi legali dovuti per prestazioni giudiziali. L’ambito di applicazione del procedimento è espressamente limitato alle prestazioni giudiziali civili; tale procedimento non è perciò utilizzabile per la liquidazione dei compensi per prestazioni spiegate in processi amministrativi (Cons. Stato Sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2133) o penali (Cass. Civ. Sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20293).
Discutibile infine se la procedura sia esperibile per la liquidazione di compensi relativi all’attività stragiudiziale. La Cassazione di recente ha dato risposta affermativa ove risulti che le prestazioni stragiudiziali fossero strumentali e connesse all’attività processuale spiegata dall’avvocato [5].
Venendo a cose più scontate, al pari di ogni creditore dunque l’avvocato può agire nei confronti dell’ex cliente ricorrendo alla procedura di ingiunzione di cui all’art. 633 cpc, al procedimento di cui all’art. 14, D.Lgs. n. 150/2011 (702 bis cpc), di cui più diffusamente abbiamo riferito, ovvero alla causa ordinaria di cognizione.

In considerazione della notorietà delle procedure non ci dilunghiamo salvo accennare che per il monitorio è sempre necessario l’opinamento della parcella da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati [6]. Considerato che l’opinamento viene, di fatto, rilasciato sulla cd “fede del richiedente” si deve dar conto che può essere messo in discussione dal Giudice nella causa di opposizione. Vero infatti che il parere del C.O.F. “… non si esaurisce in una mera certificazione della rispondenza del credito alla tariffa professionale ma implica la valutazione di congruità del quantum …” (Cfr. Cass., SS.UU., 12.3.2008 n. 6534) e che “… è atto soggettivamente e oggettivamente amministrativo, che non si esaurisce in una mera certificazione della rispondenza del credito alla tariffa professionale, ma implica una valutazione di congruità della prestazione” (Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23.12.2010 n. 9352; Cons. Stato, sez. IV, 24.12.2009 n. 8749), ma ciò ovviamente non si traduce in una certificazione della “veridicità sostanziale” delle prestazioni in quanto l’onere probatorio ex art. 2697 c.c. incombe sul professionista.
Infine una breve panoramica sui criteri di competenza per il monitorio, quasi una partita a scacchi.
L’avvocato può ricorrere al Giudice che sarebbe competente a conoscere della domanda in via ordinaria ex art. 637, 1°, cpc; a quello che ha deciso la causa civile in forza dell’art. 637, 2°, cpc, ovvero al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il Consiglio dell’Ordine presso il quale è iscritto ai sensi dell’art. 637, 3°, cpc, con l’avvertenza che si tratta del COA in cui l’avvocato è iscritto al momento dell’azione nei confronti dell’ex cliente e non già di altro ove precedentemente era iscritto, magari al momento delle prestazioni giudiziali svolte.
Resta da dire che tra il foro speciale alternativo di cui all’art. 637, 3°, cpc ed il foro esclusivo del consumatore di cui all’art. 33, 2°, lett. u), d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, la Corte di Cassazione [7] ha affermato che qualora si versi in fattispecie in cui, per la presenza sia dell’avvocato che del cliente-consumatore, entrambe le norme sarebbero astrattamente applicabili con prevalenza, però, del foro del consumatore.

Per passare dagli scacchi al labirinto vogliamo infine richiamare l’attenzione sul tema della prescrizione, presuntiva o ordinaria che sia.
La Cassazione di recente ha enunciato il seguente principio: “il diritto dell’avvocato al pagamento del compenso si prescrive a decorrere da quando, per qualsiasi causa, venga interrotto il rapporto con il cliente, anche in caso di morte dell’assistito …”[8].
Poco importa, poi, che permanga in taluni casi il dovere del difensore di continuare a gestire la lite, ad esempio nel caso in cui l’avvocato costituito in giudizio ometta la dichiarazione o la notificazione dell’evento [9].
A tutto ciò si aggiungano, una volta ottenuto faticosamente il titolo esecutivo, le problematiche dell’esecuzione coi limiti previsti dalla L.n. 132/2015, di conversione del D.L. 83/2015 circa il pignoramento presso terzi, per dirne una, di cui abbiamo di recente trattato [10].
Manca davvero solo il gioco dell’oca perché l’effetto monetario del Monopoli pare davvero assicurato.

Avv. Giovanni Cerri – Delegato di Cassa Forense
Avv. Caterina Cerri – praticante avvocato

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Giovanni e Caterina Cerri